La cultura umanistica migliora le qualità intuitive e percettive dei medici. La ricerca di due Università americane

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Usare con maggiore precisione un bisturi o diagnosticare in maniera corretta una malattia potrebbe riuscire meglio a quei medici che sono soliti andare per musei, contemplare quadri o ascoltare musica, viaggiare, eccetera. In altre parole, coltivare la cultura in tutte le sue forme. 

Il segreto alla base di questo fenomeno

Gli stimoli forniti dalle espressioni artistiche sarebbero in grado di fornire sollecitazioni a livello intuivo. Nel caso dei medici, la loro competenza scientifica migliorerebbe grazie a una percezione particolare sviluppata con la cultura umanistica.

Le Università alla base della ricerca

L’idea di verificare se la cultura possa migliorare la sensibilità di un medico – come riporta il Corriere.it – è venuta a due scuole americane storiche di medicina: la Thomas Jefferson University di Philadelphia e la Tulane University di New Orleans, che hanno condotto l’indagine su un campione di 739 studenti. I risultati sono stati subito chiari e confortanti. I soggetti che hanno frequentato i luoghi della cultura sono risultati fra i più saggi e i meno depressi.

I medici acculturati fanno la differenza

Come riportato sul quotidiano online, i medici acculturati sviluppano in particolare tre qualità importanti nel mondo della medicina: l’empatia, la saggezza e la cosiddetta tolleranza dell’ambiguità. Sarebbero coloro che riescono ad agire nel miglior modo possibile nelle situazioni di stress e di forte criticità. Non si tratta di una caratteristica da poco se si considera che un medico ha sempre a che fare con le persone.

Prendere una decisione al posto di un’altra può significare nei casi più drammatici salvare o perdere una vita umana. Nei casi meno drastici, la scelta giusta nella diagnosi induce il medico a prescrivere le analisi o esami diagnostici mirati con un risparmio nelle spese sanitarie e minore ansia nel paziente.

Le dichiarazioni dell’autore della ricerca

“E’ una qualità importantissima – ha spiegato il direttore della ricerca, Salvatore Mangione – che le nostre università purtroppo non coltivano . I test multiple choice insegnano a pensare che una cosa è nera o bianca. Ma così quando i nostri studenti si trovano finalmente davanti a un letto di ospedale non sanno più cosa fare. E nell’ansia da controllo prescrivono al paziente un esame dopo l’altro. Non solo non fanno il suo bene, ma finiscono anche per costare più del necessario».

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