Italia penultima in UE per giovani laureati. Manca una buona opera di orientamento?

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Pochi giorni fa Eurostat ha diramato i suoi dati circa la percentuale di laureati nei Paesi Membri dell’Unione.

Per l’Italia, purtroppo, non proprio una gran bella figura, se è vero che nel nostro Paese, a fronte di una media europea del 40,7%, ha una laurea soltanto il 27,8% dei giovani in fascia d’età 30-34 anni. Peggio di noi fa soltanto la Romania, con una percentuale di giovani laureati pari al 24,6%. Al Nord del continente, invece, si raggiungono anche vette che sfiorano o addirittura oltrepassano il 50%, come nel caso dell’Irlanda, che può vantare una media pari al 56,3%.

Al contrario, se andiamo a vedere i dati riguardanti l’abbandono degli studi, l’Italia è ai primi posti, facendo registrare una percentuale pari al 14,5% di giovani in fascia 18-24 anni che abbandonano il percorso di studi. Dato che, se confrontato con quello medio europeo (10,6%), crea ulteriore imbarazzo.

Ma perché questi due infelici fenomeni (la bassa percentuale di laureati e l’alto tasso di abbandono degli studi) sono così presenti in Italia? Perché quasi ovunque, in Europa, si fa meglio?

Una risposta semplice, ovviamente, non esiste. Né il problema va analizzato cercando facili soluzioni. Tuttavia è un fatto, da più parti sottolineato, che nel nostro Paese ci sia bisogno di mettere in piedi e implementare una diffusa e ramificata opera di orientamento universitario e al lavoro, in modo da indirizzare i giovani verso i giusti percorsi formativi, così da scongiurare per quanto possibile l’abbandono e da favorire contemporaneamente l’acquisizione di titoli di formazione terziaria.

Spesso, infatti, le ragazze e i ragazzi non sanno cosa amano fare né hanno davanti a sé un quadro chiaro circa gli obiettivi e le posizioni professionali da raggiungere nel loro contesto di appartenenza. Quindi, dopo il diploma superiore, capita sovente che si trovino a scegliere un percorso universitario senza conoscere le possibilità di inserimento successive nel mercato del lavoro. E quando un percorso universitario viene scelto in base a umori passeggeri, ai consigli dei parenti o a false credenze, senza conoscere le dinamiche che caratterizzano il mondo delle professioni e i suoi fabbisogni né le proprie reali inclinazioni, allora ecco che esso può durare molto meno del dovuto, e dar luogo all’abbandono per sfiducia o per delusione.

Ci si metta, poi, un’ulteriore ragione, che ha a che fare con le disponibilità economiche delle studentesse e degli studenti. In Italia, la media dell’ammontare delle tasse universitarie annuali è attorno ai 1.300 euro, la terza più alta in tutta Europa, e solo l’11% degli iscritti riesce a ottenere una borsa di studio. E in mancanza di sussidi o in presenza di sussidi insufficienti, le studentesse e gli studenti in molte occasioni sono portati a sospendere gli studi.

Insomma: soluzioni facili non ce ne sono, ma aumentare i finanziamenti per l’assegnazione di borse di studio e incrementare su tutto il territorio nazionale concreti programmi di orientamento alla formazione possono senza dubbio rappresentare due antidoti ai mali dell’abbandono agli studi e del basso numero di laureati.

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