Invalsi, misureranno anche tratti personalità e contesti familiari

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Tre articoli di Rossella Latempa pubblicati alla fine di ottobre su ROARS, Return on Academic ReSearch, aprono prospettive inquietanti sulla partecipazione dell’Invalsi a due nuove indagini sperimentali OCSE.

Indagini che coinvolgono bambini e adolescenti tra i 6 e i 15 anni, dei quali si misureranno non più – e non solo – competenze disciplinari e trasversali, ma specifici tratti di personalità, elementi caratteriali e socio-emozionali in grado di delineare, attraverso di essi, contesti familiari e ambienti educativi ottimali per ”sviluppare/promuovere un bambino talentuoso, motivato, determinato e socievole”, che “affronterà meglio le tempeste dell’esistenza, avrà prestazioni lavorative migliori e, di conseguenza, una vita di successo”, come afferma il rapporto Ocse “Skills for social progress”.

Il bambino del XXI secolo, dunque. Perfettamente adattato, destinato al successo, competitivo nel lavoro e nei guadagni, circondato da una famiglia perfetta, in una società perfetta, in grado di garantirgli felicità e benessere.

Raccogliendo e incrociando, attraverso la somministrazione dei test accompagnati da questionari di contesto, i dati di famiglie, studenti, scuole e territorio, sarà infatti possibile identificare “le pratiche genitoriali e gli ambienti familiari domestici che favoriscono le character skills”, i curricoli scolastici, le attività didattiche e le metodologie pedagogiche più efficaci, oltre che le “risorse delle comunità [capaci] di arricchire la società e produrre cittadini attivi”. Perché l’attivismo è una competenza fondamentale nella società contemporanea: non a caso, una delle 8 competenze chiave indicate dall’Unione Europea è la capacità imprenditoriale, da misurarsi e certificare con il metro dello spirito d’iniziativa fin dai banchi della scuola primaria. E quando si parla di educazione alla cittadinanza, essa è sempre attiva, meglio ancora proattiva, anzi agentiva, perché ogni individuo, fin da piccolissimo, ormai sa che deve cavarsela da solo (e se non lo sa, è bene che la scuola glielo insegni quanto prima) in un ambiente altamente selettivo e competitivo, in cui l’unico responsabile del suo destino è lui stesso, con il suo set di competenze adeguato o inadeguato al mondo in cui vive. Un mondo completamente sussunto dalle nuove tecnologie informatiche, dall’intelligenza artificiale e dalla robotica; un mondo monodimensionale, senza civiltà e senza storia, in cui non esistono più la società e le classi come contesto culturale e relazionale, ma solo singoli uomini e singole donne in un contesto globale, configurati come autopoietiche start up.

Le due nuove indagini Ocse-Invalsi (denominate SESS – Study of Social and Emotional Skills e LSEC – Longitudinal study of Socio-Emotional skills in the Cities) servono a questo: misurare nei più piccoli quelle che vengono considerate “le dimensioni di base di una personalità normale”, ovvero performatività, regolazione delle emozioni, collaborazione, apertura mentale, impegno con gli altri, onde predire – e regolare – la società adulta del futuro.

Rossella Latempa parla, correttamente, di un protocollo universale che delinea una nuova, agghiacciante, utopia sociale, basata sulla de-politicizzazione del soggetto che studia, che lavora, che vive. Una nuova forma di totalitarismo, che non agisce più dall’esterno attraverso pratiche di controllo, divieto o censura ma che è agita dall’interno, per mezzo di comportamenti conformi al sistema spontaneamente attivati dal soggetto. Per questo serve una nuova pedagogia delle competenze e una nuova didattica per competenze, e a questo servono le misurazioni delle competenze cognitive, psicologiche, caratteriali e psico-attitudinali, che retroagiscono sull’attività formativa: è sui banchi di scuola che si forgia l’abitante del Brave New World, un mondo in cui si pratica sport, si è buoni consumatori di merci, si allontanano i pensieri negativi con la droga, si parla per slogan e non si esprimono riflessioni critiche. Distopia o realtà?

La riflessione sulle implicazioni legate alla somministrazione di test che misurano aspetti del carattere e dell’interiorità dei bambini e degli adolescenti si accompagna, negli articoli di Latempa, all’analisi dell’ultimo questionario studenti 2018. Ricordate? Era quello in cui si ponevano a bambini delle elementari domande che detarono ampio scandalo nell’opinione pubblica, relative ai guadagni economici futuri, alla percezione dell’autoefficacia e autostima, alle aspettative di realizzazione personale. Non sappiamo come siano stati utilizzati tutti quei dati psicologico-comportamentali e non sappiamo se e come verranno utilizzati i nuovi quantitativi di dati che Invalsi si appresta a ricavare dai questionari Ocse di prossima somministrazione.

In un importante articolo di pochi mesi fa Ben Williamson, docente dell’Università di Stirling, spiegava che proprio il modello delle Big Five, ovvero delle cinque macro-categorie della personalità  esplorate attraverso i test sulle soft skills da OCSE-INVALSI, è stato al centro del recente scandalo dell’azienda di consulenza Cambridge Analytica, la società entrata in possesso dei dati personali di circa 50 milioni di utenti Facebook, utilizzati senza autorizzazione.  La “psicologia computazionale” o “psico-informatica”, spiega Williamson, sta alimentando un nuovo approccio algoritmico all’educazione, da lui definito “psyco-policy approach”, ossia la pretesa di sviluppare tecniche di “quantificazione e governo delle vite affettive degli studenti, allo scopo di modificarne i comportamenti nelle direzioni ritenute “positive” [..] una vera e propria nuova fonte di autorità e di controllo nel campo dell’istruzione”.

Tutto questo nella più totale mancanza di trasparenza da parte dell’Invalsi, che si è limitato a far pervenire alle scuole delle città coinvolte nelle rilevazioni una semplice circolare che comunica l’avvenuta selezione: sotto il profilo linguistico, più allusiva che informativa; sotto il profilo politico, drammaticamente inquietante.

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