Insegnanti e cura della propria salute professionale, un giro di sofferenza al femminile. Esperienze

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La formazione che svolgo a favore degli insegnanti sulle malattie professionali fa registrare oramai dinamiche scontate e prevedibili. Quella più sorprendente, tuttavia, riguarda il rifiuto di alcuni docenti nel credere ai dati scientifici nazionali e internazionali sullo stato di salute della categoria.

Guardare in faccia la realtà è indiscutibilmente difficile se all’alba del terzo millennio si pensa ancora che le disfonie (laringiti, corditi etc) siano le uniche affezioni che colpiscono i docenti. Francia, Inghilterra, Germania, Giappone, USA e altri Paesi parlano chiaro affermando che i danni dell’usura psicofisica esitano in numerosissime patologie psichiatriche, alto rischio suicidario e frequenti malattie oncologiche (spiegabili con l’alta increzione di cortisolo a seguito dello stress cronico). I pochi studi scientifici italiani, pur non essendo nazionali per il diniego del Ministero Economia e Finanze a rilasciare i dati ai sindacati che ne hanno fatto richiesta, confermano il trend degli altri Paesi, facendo registrare l’80% di diagnosi psichiatriche nei provvedimenti d’inidoneità all’insegnamento.

Eppure, alcune voci dissentono recisamente dai contenuti della mia esposizione nei seminari di formazione sulla prevenzione dello Stress Lavoro Correlato (SLC) ribattendo che “la situazione non è così drammatica come la dipingo”. Mi sono chiesto il perché di questo categorico rifiuto a riconoscere una realtà drammatica che è poi documentata da dati scientifici. Questa ostinata e immotivata negazione della realtà da parte di molti docenti trae verosimilmente origine dai seguenti motivi:

  1. Gli insegnanti, proprio perché parte dell’Opinione Pubblica, nutrono inconsapevolmente gli stereotipi gravanti sulla loro stessa categoria professionale.
  2. I docenti nutrono un’ignoranza globale sulle loro malattie professionali, per giunta non riconosciute ufficialmente dalle istituzioni. Questa condizione rafforza ulteriormente la negazione di un fenomeno tanto distruttivo quanto reale.
  3. La spasmodica necessità di esorcizzare dati scientifici altamente allarmanti l’opinione pubblica e la categoria professionale alimenta la negazione della realtà fattuale.
  4. Il ricorso alla “dissimulazione”, quale risposta tipica del docente di fronte al disagio mentale professionale per nascondere al mondo e soprattutto ai colleghi la propria condizione di malessere, induce la categoria a seppellire definitivamente una situazione che resta esplosiva e si accresce pericolosamente.

Ne consegue pertanto che gli insegnanti non si occupino della loro salute professionale, i dirigenti scolastici affidino la prevenzione di legge a questionari che contraddicono dati scientifici nazionali e internazionali, le RSU non sappiano cosa proporre in sede di confronto nel proprio istituto nonostante l’art. 22 del CCNL, nel DVR non si preveda alcuna azione seria di contrasto alle malattie professionali e infine che nessun ministro, incluso l’attuale, non abbia mai affrontato l’argomento “salute professionale dei docenti”.

L’anno scolastico è appena ripreso e già sono sommerso da richieste di aiuto, di informazioni, di spiegazioni, di consigli per fare fronte al disagio mentale professionale. Forse insegnanti, istituzioni pubbliche, sindacati e politici sono poco avvezzi a leggere i numeri di pubblicazioni scientifiche ma di sicuro non mancherà la dimestichezza a leggere le testimonianze significative che seguono.

Gentile dottore, sono un’insegnante di scuola Primaria e da qualche anno mi sento stanca e svuotata. Quando penso al lavoro che faccio mi prende una grande tristezza perché non mi sento più all’altezza di affrontare gli impegni e le responsabilità che questa professione comporta. Questo mi provoca a volte tachicardia e notti tormentate in cui mi sveglio ad ogni ora e conto il tempo che manca al dovermi svegliare per andare a lavorare. Sono andata da una psicoterapeuta che mi ha prescritto delle gocce per il mio stato ansioso depressivo dovuto a burnout lavorativo (questo è ciò che c’era scritto sulla ricetta). Ora, mi trovo nella situazione di non voler più rientrare in classe perché anche se sono cosciente di dover iniziare un percorso di psicoterapia ciò che mi fa stare male è il pensiero di dover andare a scuola. Vorrei richiedere un cambio di mansioni o un accertamento per una inidoneità relativa permanente. Ho chiesto ai sindacati di darmi una mano, ma brancolano nel buio e non sanno darmi indicazioni precise. Può aiutarmi lei per favore a capire ciò che devo fare? Grazie

Gentile dottore, sono un’insegnante che sta attraversando un momento molto critico della propria carriera. Lavoro nella scuola da 29 anni, ma, pur soffrendo di depressione, nei momenti in cui stavo bene riuscivo a svolgere bene il mio lavoro come titolare di classe. Tuttavia. ho fatto diverse assenze, talvolta lunghe un mese, che erano sicuramente un problema per i bambini e i colleghi. In questi ultimi anni le crisi sono aumentate sia in numero che in durata. Quest’anno non sono riuscita nemmeno a iniziare il primo giorno di scuola con i miei allievi di seconda. E non ho ancora ripreso il lavoro. Se penso di dover insegnare italiano ai 27 alunni della mia classe mi vengono forti attacchi di panico e mi sento ancor di più un’incapace. Ora volevo capire sia a livello sindacale sia chiedendo un colloquio alla mia dirigente se secondo lei potrebbe essere possibile, già da quest’anno, avere un’altra collocazione nella scuola. Mi vedrei come supporto alle classi che non hanno il sostegno, ma ragazzi in difficoltà…insomma una figura di aiuto alle colleghe che hanno specifiche esigenze e particolare bisogno di aiuto. Insomma, una figura tutta da definire, non proprio di potenziamento, ma anche disponibile a fare brevi supplenze. Vorrei chiederle se una simile richiesta mi può essere rifiutata o rimandata al prossimo anno dalla dirigente.

Gentile dottore, vorrei, cortesemente, solo qualche consiglio. Sto valutando seriamente di richiedere un accertamento medico in Collegio Medico di Verifica (CMV) e mi spiego: vorrei chiedere il passaggio permanente ad attività lavorative di segreteria per problematiche psicologiche e psichiatriche, che mi impediscono un proficuo lavoro nel campo dell’insegnamento. Fortunatamente, ho potuto affrontare la questione col dirigente con la massima serenità e lui stesso mi ha dato, per l’anno scolastico in corso, un incarico “più leggero” e mi ha consigliato l’accertamento medico in CMV. Quali passi devo fare per non sbagliare?

Tutte docenti innamorate della loro professione che chiedono di essere messe in condizione di lavorare ancora, dando quello che ancora possono, in forza della salute loro rimasta. Un grido di sofferenza al femminile acuito da scellerate riforme previdenziali che hanno portato nel giro di 20 anni dalle baby-pensioni ai 67 anni senza mai aver effettuato un solo controllo sulla salute professionale.

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