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Imparare versi a memoria è fonte di gioia

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Chi ha avuto la fortuna di leggere le autobiografie dei grandi letterati del passato sa che la pratica del “mandar giù a memoria” versi su versi è una costante nel loro percorso formativo.

Nel delicato frammento La giovinezza (la cui lettura è senz’altro da consigliare a studenti liceali), il critico Francesco De Sanctis, per esempio, racconta di gare di memorizzazione con i compagni di studi. Lo stesso Alfieri, nella sua Vita, scrive: “[…] migliaia e migliaia di versi altrui mi collocai nel cervello”. Celebri gli aneddoti sulla memoria prodigiosa di Dante, per non parlare dei druidi, che secondo la testimonianza di Cesare, nel De bello Gallico, imparavano “magnum numerum versuum”, una gran quantità di versi.

Gli esempi potrebbero continuare, ma fermiamoci pure qui e fidiamoci almeno di Dante, Alfieri e De Sanctis, se non altro per i risultati ottenuti.

Pratica costante nel percorso formativo dei grandi, dunque, pratica antica, quella di imparare versi a memoria. Antico non significa necessariamente da scartare e non tutto il vecchio è vecchiume, anzi, quando una pratica è molto antica significa che ha resistito alla prova del tempo, è valida e occorre salvaguardarla. Da decenni nella scuola italiana si assiste invece a una demonizzazione dell’imparare a memoria le poesie, prassi ritenuta antiquata e poco formativa.

Abbiamo quindi una situazione di questo tipo: da una parte società e scuola remano contro la pratica del memorizzare, dall’altra eminenti studiosi e personalità di un certo spessore culturale (cito il solo Umberto Eco) invitano a riappropriarsi della memorizzazione. Che fare, dunque? Seguire le tendenze di massa o fidarsi dei grandi intellettuali e sperimentare quanto propongono?

Per quanto mi riguarda, non ci sarebbe proprio da discutere e proprio per questo vorrei soffermarmi su un unico vantaggio dell’imparare poesie a memoria. Un vantaggio di cui non parla quasi nessuno, anche perché solitamente sfugge ai più. Un vantaggio legato alla salute della psiche.

Per comprenderlo appieno, basta riflettere un attimo sul funzionamento di base della mente umana, che in sostanza interpreta il presente e fa previsioni sul futuro in base alle esperienze del passato depositate nella memoria.

Ecco, per una mente che funziona in questo modo, il recitare ad alta voce brani precedentemente imparati si rivela una fonte di gioia in quanto passato (l’aver memorizzato), presente (il recitare ad alta voce) e futuro (la previsione esatta dei versi successivi) concordano. In altri termini, quando riesco a dire una poesia ad alta voce la mia mente è felice, in quanto le sue previsioni trovano conferma nella realtà. Tutto ciò è tranquillizzante (pensiamo ai bambini, che amano sentire le storie raccontate ogni volta con le stesse parole) e produce soddisfazione mentale. Non dimentichiamo che il carburante del cervello è principalmente il glucosio, ma quello della mente è soprattutto la gioia.

Gli insegnanti che tengono ai propri alunni non li privino di un’attività altamente formativa e – consapevoli del fatto che lo sforzo iniziale dello studente sarà ripagato su più fronti – assegnino (continuino ad assegnare) poesie da imparare a memoria. In piena tranquillità e senza timore di andare controcorrente rispetto alla società massificata della memoria digitale.

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