Immissione in ruolo nella statale o restare nelle paritarie: il dilemma del docente

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Per il docente che si trova a scegliere se accettare l’immissione in ruolo nella scuola statale o rimanere nel sistema paritario di eccellenza si tratta di una scelta radicale, dalla quale non si può più tornare indietro. 

Non accettare l’immissione in ruolo significa essere depennato per sempre dal sistema di insegnamento statale, rimanendo esclusivamente nel sistema delle paritarie.

Stando a quanto scritto da Suor Anna Monia Alfieri sul quotidiano Il Giornale.it, molti docenti sono presi da dubbi e incertezze nel momento in cui ricevono la telefonata con cui viene loro comunicata l’immissione in ruolo in una scuola statale.

Le ansie nei giorni d’estate

La telefonata arriva nel pieno dell’estate, cioè quando le è già pianificato l’anno didattico che si va ad aprire dove è già stato fatto anche l’orario scolastico, salvo alcune questioni da definire nel Collegio Docenti di inizio anno.

Suor Anna Monia si domanda nel suo articolo se esiste libertà, quando non si concede tempo, se non pochi giorni, a un docente impegnato in una scuola pubblica paritaria di scegliere il suo destino. La Suora trova ingiusto che la scelta non possa essere rinviata nel tempo.

Il ragionamento è semplificato in questo concetto: non è giusto che il docente che non accetta immediatamente il ruolo statale venga estromesso dalle graduatorie e non possa più riprendere in considerazione in futuro quella opportunità.

Aut aut inaccettabile

Secondo la Suora, che a ogni richiesta di consiglio invita ad agire nella massima libertà, il condizionamento è troppo forte. Lamenta che negli ultimi quattro anni si è verificata una migrazione spaventosa di docenti che sono passati dalle scuole paritarie a quelle statali. E ricorda le parole di un funzionario Miur che già nell’ottobr e 2015 aveva profetizzato un futuro funesto per le scuole pubbliche paritarie: “Sarete distrutti”.

Sicuramente il problema del precariato, vergognoso tale e quale la mancanza di libertà di insegnamento, andava affrontato ma – scrive Suor Anna Monia – la soluzione è stata peggiore del problema: assunzione in massa di docenti che non sono entrati in classe, ma sono rimasti in sala professori ad aspettare la malattia del collega o a ideare il progetto fumetto, il progetto mandolino, il progetto vetri colorati della scuola… Tutte attività degnissime, ma realizzate con docenti pagati per 18 ore settimanali. Esaltante, nell’attesa di decine di migliaia di pensionamenti… per tornare ad insegnare. Se proprio ci si vuole divertire, sono molto spesso i presidi delle scuole statali a riconoscere il valore culturale ed educativo apportato dai docenti abituati a lavorare nelle scuole pubbliche paritarie“.

La soluzione

La conclusione e soluzione al problema consisterebbe nella garanzia della libertà di scelta educativa pubblica o privata della famiglia con un sistema scolastico che guardi a un’impostazione di stampo europeo. In pratica le famiglie dovrebbero poter scegliere in base all’offerta formativa fornita anche dalle scuole pubbliche paritarie senza dove ricorrere al pagamento di una retta. Per completare il progetto sarebbe anche necessario, ispirandosi al modello francese, ricorrere a una graduatoria distinta per i docenti interessati (a parità di stipendio) a insegnare nelle scuole pubbliche paritarie. Insomma, si tratterebbe, come consiglia la Suora, di creare “due graduatorie separate, il docente decide in quale graduatoria immettersi e viene chiamato di conseguenza direttamente dai presidi. Questo sarebbe un sistema libero, civile e rispettoso dei cittadini, tutti. Si arriverà un giorno ad un sistema veramente libero? L’alternativa è il degrado. O il regime“.

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