Il sostegno è lavoro usurante, fateci andare prima in pensione. Lettera

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Inviato da Luca Casati – Gentile Ministro e cara collega,
siamo degli insegnanti di sostegno della scuola secondaria di primo grado e le scriviamo queste semplici righe con l’intento di sottoporle un problema mai affrontato in precedenza e che riguarda, in primis, noi professori piuttosto “datati”.

Nel corso di questi anni la funzione docente, per svariati e molteplici motivi, è molto cambiata ed è diventato sempre più difficile stare al passo con i tempi, specialmente per coloro che hanno un’anzianità di servizio avanzata. Per far fronte al crescente disagio socio-familiare ed ambientale dei nostri ragazzi, gli insegnanti devono impegnare molto tempo in attività collaterali al di fuori della didattica e nella gestione di queste nuove problematiche, che riguardano indistintamente tutti gli allievi, i docenti di sostegno sono in prima linea. Essi rappresentano il fulcro di una “didattica allargata ”, in virtù sia del loro titolo di specializzazione, che si aggiunge al tradizionale percorso accademico e abilitativo comune a tutto il corpo docente, sia a un modo di fare scuola al di là dei rigidi confini professore – alunno, che ricorda in parte lo psicopedagogista di qualche anno fa.

Molto è cambiato rispetto agli anni ottanta quando i colleghi curriculari, specialmente quelli più anziani, consideravano il sostegno con una certa diffidenza facendo capire ai nuovi arrivati che erano degli “intrusi”, deputati all’esclusiva cura dei ragazzi certificati.
Oggi al docente specializzato viene riconosciuta una professionalità ricca di competenze trasversali che, quotidianamente con abnegazione, si fa carico dei discenti con percorso individualizzato, dei ragazzi più svantaggiati e di tutta la classe.
L’attuale status, per contro, comporta un notevole sforzo fisico e psichico , a causa della variegata tipologia di situazioni che devono essere affrontate nel corso di una lunga carriera scolastica. Ascoltare, accogliere, consigliare, incoraggiare, lavorare sulla scarsa autostima, dirimere conflittualità, prevenire situazioni difficile, essere figure di riferimento, svolgere una funzione affettiva parentale, accudire bambini non autosufficienti, essere sempre pronti a gestire situazioni di imprevedibilità, salvaguardare la propria incolumità fisica in particolari circostanze, mantenere sempre la calma, preparare una didattica individualizza e per piccoli gruppi, spaziare da una disciplina all’altra e molto altro ancora, comporta un enorme impegno, associato alla lunga ad un forte stress emotivo, assai pesante da tollerare quando ci sono numerosi anni di attività sulle spalle.

D’altronde, è ampiamente dimostrato da numerosi trattati di eminenti studiosi che l’insegnamento è un lavoro usurante, anche se è stato riconosciuto solo parzialmente dai governi precedenti. Infatti hanno avuto la possibilità di andare in pensione anticipatamente soltanto i docenti delle scuole materne e degli asili nido, senza minimamente considerare la gravosità delle attività di sostegno e ciò che comporta svolgere questo lavoro per 20-30 anni consecutivi. Premesso che ogni docente dovrebbe vedersi riconosciuto il diritto a non diventare un insegnante-nonno riteniamo, a maggior ragione, che gli operatori del sostegno, vista la delicatezza e la specificità dei compiti svolti in una fascia di età molto particolare (preadolescenza 11-14 anni ), abbiano la medesima possibilità dei colleghi degli ordini inferiori di lasciare l’insegnamento con gli stessi benefici.

Confidando in lei, in quanto collega specializzata all’Università di Pisa e certi della sua sensibilità, la preghiamo di fare il portavoce delle nostre istanze presso la Commissione Lavori Usuranti, affinché gli insegnanti di sostegno della scuola secondaria vengano equiparati a quelli della scuola dell’infanzia e degli asili nido. Rivendichiamo con forza il diritto di poter lasciare anticipatamente il lavoro, quale segno concreto di riconoscimento di una professione altamente qualificante, ma nel contempo molto gravosa.

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