Il MIUR reitera i contratti dei presidi incaricati? Ricorso!

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red – Anche i presidi incaricati, dopo i precari storici, si organizzano per lanciare un ricorso che prenda le mosse dalla normativa europea che impone, anche per le pubbliche amministrazioni, la trasformazione del contratto da tempo determinato a indeterminato nel caso di assunzioni reiterate per tre o più anni.

red – Anche i presidi incaricati, dopo i precari storici, si organizzano per lanciare un ricorso che prenda le mosse dalla normativa europea che impone, anche per le pubbliche amministrazioni, la trasformazione del contratto da tempo determinato a indeterminato nel caso di assunzioni reiterate per tre o più anni.

Si tratta di quei presidi incaricati che restano regolarmente in servizio, da precari della dirigenza, in applicazione dell’articolo 1-sexies del decreto-legge n. 7 del 2005, convertito con modificazioni, dalla legge n. 43 del 2005 che statuisce: "dall’anno scolastico 2006-2007 non sono più conferiti incarichi di presidenza, fatta salva la conferma degli incarichi già conferiti".

Si tratta di presidi che svolgono l’attività dirigenziale a tempo determinato anche da 10 anni, quindi ben oltre i limiti per la trasformazione del contratto da tempo determinato ad indeterminato, come indicato in sede europea. E il loro compito è stato svolto senza motivazioni di natura straordinarie o che siano state esplicitate le ragioni tecniche, produttive, organizzative o sostitutive che giustifichino un rapporto di lavoro a termine. Di conseguenza un ricorso non potrebbe che trasformarsi in una condanna per il MIUR, dal momento che sulla base della normativa vigente in materia, il contratto è da ritenersi fin dall’origine concluso a tempo indeterminato.

Per tali ragioni, i parlamentari Di Giuseppe e Zazzera hanno rivolto una interrogazione parlamentare chiedendo se non sia il caso di intervenire assumendo questi presidi prima dell’avvio di un ricorso che porterebbe ad una certa condanna del MIUR e ad un congruo risarcimento danni per i ricorrenti.

Una procedura che riguarderebbe, tra l’altro e a differenza dei precari, un numero non eccessivo di lavoratori, circa 112, la maggior parte dei quali in Lombardia, Sicilia e Lazio.

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