Il giudice ai genitori, “i docenti non sono il vostro nemico”

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“I docenti, cari genitori, non sono la vostra controparte. Sono semmai dei pubblici ufficiali incaricati di collaborare con voi nell’educazione dei vostri figli. Quindi non dovete delegare, poiché la responsabilità è vostra, non c’è pezza. E se l’insegnante vi dice che vostro figlio dorme in classe non va preso a botte. Vi sta dicendo che la notte chatta”.

E ancora: “Date pure lo smartphone ai vostri figli minorenni, ma sappiate che c’è un Tribunale dei minori e pure un carcere minorile, nel caso vengano commessi reati attraverso l’uso sbagliato di queste tecnologie”. Ai docenti presenti si chiede invece di evitare di partecipare a gruppi whatsapp di genitori: “Ognuno stia nel proprio orticello, anche perché come pubblico ufficiale il docente che dovesse appurare ad esempio che un genitore ha picchiato il proprio figlio è poi tenuto a denunciare”.

E’ un confronto costruttivo quello organizzato ieri sera nella sala mensa del plesso scolastico dal Comitato genitori della scuola primaria “Saliceta Panaro” di Modena, con un intervento molto apprezzato del giudice onorario del Tribunale dei minori di Bologna, Luca Degiorgis, sul “Cyberbullismo, social network, legalità e sicurezza”. Proprio in queste ore la città è alle prese con le notizie che vedono coinvolte in procedimenti giudiziari giunti ormai alla fase della chiusura delle indagini e che vedono coinvolte molte studentesse protagoniste di video e di foto oscene finite nella rete, con loro che con disinvoltura chiedono agli investigatori: “Che male c’è? Ero pure venuta bene”.

Sarebbe “fuori dalla storia”, ammette il giudice Degiorgis, “non dare il cellulare ai propri figli minori. Mi viene in mente quando arrivò sul mercato la lavatrice e molti dicevano che lavandola a mano la biancheria sarebbe venuta più pulita. Ma dal momento in cui permettiamo ai ragazzi di affacciarsi ai social, da magistrato si possono osservate – e io le ho riscontrate da magistrato – tante occasioni in cui un minorenne si è trovato immischiato in situazioni che riguardano l’utilizzo sbagliato dei social. Il problema è che se di fronte a un furto ognuno decide se commettere un reato oppure no,cioè può scegliere e se ne prende la responsabilità ben sapendo che se ti beccano pagherai, quando invece si usa lo smartphone questa consapevolezza è molto più sfumata tra i ragazzi e pure tra gli adulti”.

I tanti incresciosi episodi tratti dalla sua esperienza professionale colpiscono molto i genitori presenti. Come quello che ha visto coinvolto un ragazzino che dopo aver studiato tanto e nonostante questo ha poi preso un 4 nella verifica torna a caso arrabbiato, accede a Whatsapp e scrive aggettivi irripetibili rivolte all’insegnante, ripresi e commentati con ulteriore virulenza dai compagni. “E secondo voi la docente cosa deve fare in questi casi? – chiede il giudice alla platea ammutolita – Può non fare nulla, ma siccome è magari ormai stanca di sopportare, ed è un pubblico ufficiale con l’incarico importante di educare i vostri figli, non ammetterà che la propria reputazione venga offesa. E qui ci troviamo infatti davanti a una diffamazione e c’è stato un processo presso il Tribunale dei minori a Bologna. E guardate bene che una frase di questo tipo, solo di avvocati, costa almeno cinquemila euro. Però l’abitudine di parlare in un certo modo li porta a scrivere testi che poi non si cancellano più. Bisogna usare il cervello”.

E ancora. Il minore che costruisce un falso profilo facendosi passare per un’altra persona: “Se qualcuno pensa di aver trovato il software che rende invisibili – avverte il giudice – sappia che non è così e ricordi che i carabinieri in genere arrivano alle sette del mattino quando state svolgendo con la solita fatica mattutina i preparativi per la colazione e per uscire. E magari sequestrano, come è successo, il pc, gli smartphone, il modem, che diventano oggetto di indagine penale”. O gli alunni che avevano trasformato sulla rete il cognome di un compagno in “pattume”, tanto che lui “si ritrovava lo zaino pieno di bucce di frutta e di cartacce, fino a che, esasperato, non ha spaccato con un pugno il naso a uno di loro. Non ha certo fatto bene ma la situazione era diventata insostenibile, lo aveva detto alla docente ma non era servito. Questo succede quando non si parla, quando non c’è dialogo con i genitori, quando ci si limita a chiedere com’è andata a scuola e si sente rispondere bene non abbiamo fatto niente e la conversazione finisce lì, poi ognuno nella sua cameretta. Guardate che i figli fanno fatica a confessare ai genitori di star male per questi soprusi , ma, credetemi, stanno male: la rete è virtuale ma nelle conseguenze è molto reale e se crediamo che situazioni di questo tipo passano da sole sbagliamo”.

E poi i siti porno. “Un tempo avevamo i giornalini – insiste il giudice – e come allora c’è la curiosità di vedere il sito o il video. Ma l’esposizione nel vedere certe immagini può essere pericolosa per la crescita dei nostri ragazzi, perché li si confonde. Voi credete che siano in cameretta a giocare con Super Mario e invece stanno navigando su Youporn. Vi consiglio di mettere dei paletti affinché non finiscano su siti che confondono, ci sono dei filtri chesi scaricano da Google. Rischiano di non capire che per stare con una ragazza c’è una lunga procedura” e perdono la testa alla prima occasione. Un’altra cosa che i genitori non devono fare è quella di delegare. Ad esempio gli insegnanti: “I genitori non devono delegare nessuno, non c’è pezza. Ai docenti si chiede di collaborare costantemente, non sono delle controparti, non sono la spia, ma ci aiutano a educarli. Degiorgis ha pure parlato dei rischi legati alla frequentazione di certi siti diffusi tra gli adolescenti, specie quelli che hanno come unico obiettivo quello di prendere in giro i coetanei nascondendosi dietro l’apparente anonimato e che potrebbero portare le vittime a grave sofferenza se non a gesti estremi. E ha chiesto agli insegnanti presenti di evitare di partecipare ai gruppi di whatsapp dei genitori: “ognuno stia nel proprio orticello – ha concluso – anche perché come pubblico ufficiale il docente che scopre che un genitore ha picchiato ad esempio il proprio figlio è tenuto a denunciare”. Whatsapp è uno strumento comodo ma segnalo che ci sono tanti altri modi di comunicare. Ognuno stia nel proprio. E’ successo che nel gruppo classe dei genitori si discutesse della sparizione di pennarelli, alla fine sono stati ritrovati”. Ma nel frattempo era stato incriminato un altro bambino sulla base di supposizioni e indizi infondati sbandierati in tanti messaggi. “Per non parlare della caccia all’untore dei pidocchi. E l’amministratore di un gruppo sappia che è responsabile di quel che si scrive anche a sua insaputa”

E poi, quella propensione a mettere foto e raccontare tutto in rete. Arrivati a una certa età c’è la tendenza ad aprire un profilo, nulla di male, e condividere notizie e commenti con amici e followers. Il problema è che ci mettiamo un sacco di informazioni e materiali e notizie e questo diventa pericoloso. Dire che siamo in ferie e poi ci svaligiano la casa in nostra assenza. “Una mamma era andata in gita con la classe – racconta Degiorgis – e ha visto un’altra mamma che si divertiva a riprendere tutto. A un certo punto l’ha bloccata e quando ha scoperto che era sua intenzione pubblicare in rete le immagini le ha fatto presente che non aveva piacere che la sua bambina fosse vista dai suoi amici”

Il consiglio finale per figli minori è quello di mettere dei paletti, scaricando i filtri dalla rete e parlandone con i figli, non all’ultimo momento, alla soglia dei 18 anni, perché allora è tardi. Dirlo subito fina da piccoli. Concordare sul fatto che “sì, il telefono è tuo, è un regalo, ma la linea la pago io e inoltre io adulto ho delle responsabilità, quindi se vuoi il telefono tu mi dai la password”. Ma più di tutto conta l’esempio. Non sono credibili quei genitori che chiedono regole ai figli e invece sono loro che portano il telefono a tavola, conversano mentre guidano, chattano in pizzeria davanti ai figli invece che parlare con loro e con gli amici a tavola.

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