Il docente è come come un top gun. Lettera

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inviata da Arianna Mandolfo – Chi di noi non si è mai trovato in aula con un minimo di malessere e non è riuscito a portare avanti decentemente la propria lezione?

Per insegnare bisogna avere una buona salute fisica e psichica. Ogni docente, ogni giorno, solcato il portone della scuola, mette da parte i propri problemi e affronta la classe cercando di trovare sempre la soluzione più idonea. Ma chi pensa al docente? Se non si è abbastanza forti, se non ha qualcuno che lo sostiene e crede in lui, si corre il rischio di sentirsi soli.

Il lavoro del docente è stato da sempre paragonato al lavoro del pilota. L’insegnante deve avere sempre un alto grado di concentrazione per tenere tutto sotto controllo e nel migliore dei modi.

L’ambiente scolastico è spesso un luogo ad alto rischio di usura e l’attenzione dell’intero sistema guarda solo i problemi degli alunni. E i docenti? Per quale motivo, oggi, i docenti soffrono? Per la violenta maleducazione di molti alunni, per le critiche spietate da parte dei genitori, per essere diventati il “capro espiatore” di tutto quello che non funziona. È fragile il docente o è sbagliato il sistema?

Quando un dirigente scolastico sostiene che un prof con una patologia cronica diventa un peso e un problema per la scuola, quale sostegno ha il lavoratore? Esiste un sindacato umano? Quando l’insegnante chiede aiuto, chi lo aiuta?

Insegno da oltre due decenni, mai ho visto un’indagine sulle dinamiche relazionali all’interno della scuola. Le persone sensibili tendono ad essere triturate da un sistema glaciale e privo di comprensione emotiva. In passato, proprio orizzontescuola.it, citando l’Istat, ha scritto che tra il 2015 e il 2017 si sono suicidati 37 insegnanti.

Dalle statistiche recenti risulta che molti docenti chiedono il part time; tanti colleghi optano per la riduzione oraria e questo perché, come dicono in tanti che non sanno cosa significa stare in classe, abbiamo “due mesi di ferie.”

Di fronte a docenti che manifestano serie patologie, i dirigenti scolastici dovrebbero trovare il modo di valorizzare le qualità di ognuno, fornendo un aiuto valido per quegli aspetti che si fa fatica a gestire. Quando un dirigente (per fortuna, non molti) è sordo a un grido di aiuto del proprio docente, sembra gestire un esercito e non una comunità educante.

Si è persa la sacralità dell’insegnamento. Oggi siamo operai del sapere e non educatori e portatori del sapere. Dobbiamo produrre e fare numero. Serve gareggiare a chi tira di più, a chi fa più cose, a chi sa vendere meglio. Come un top gun: mai perdere il controllo, altrimenti è finita!

Eppure, basterebbero una sola parola gentile, un incoraggiamento e uno sguardo accogliente per caricare i propri piloti e farli volare nuovamente verso alte vette.

Da queste riflessioni potrebbe apparire una visione senza spiragli: “docente vittima e dirigente carnefice.” Non è così, perché la scuola ha anche un altro volto.

Occorrerebbe aprire le porte a laboratori per docenti, con spazi e momenti dedicati al confronto e al dialogo, con il supporto di figure di esperti esterni (psicologi, pedagogisti, sociologi) all’affettività, alla comunicazione e all’inclusione.

Come diceva Albert Einstein (“non ho mai insegnato ai miei allievi, ho solo cercato di fornire loro le condizioni in cui possono imparare”), io non mi arrendo e auguro che la scuola possa diventare un luogo di benessere per tutti.

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