Il caso giudiziario della virologa Capua e le analogie con i casi di “presunti maltrattamenti” a scuola

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Impressionante! Nessun altro aggettivo calza meglio nel descrivere le analogie tra i casi delle maestre accusate di Presunti Maltrattamenti a Scuola (PMS) e la vicenda giudiziaria di Ilaria Capua, virologa italiana di fama internazionale, che ci è stata definitivamente scippata dai soliti Stati Uniti d’America. Ma andiamo per ordine.

Consiglio innanzitutto di vedere per intero l’intervista di Giovanni Minoli nella trasmissione Mixer perché difficilmente i lettori crederanno ai fatti che mi limito a riportare.

La storia

Ilaria Capua, virologa di rinomata fama mondiale, viene eletta in Parlamento con Scelta Civica di Mario Monti nel 2013 ma, già dal 2006 a sua insaputa, è sottoposta a intercettazione per gravissime ipotesi di reato quali: concussione, corruzione, abuso d’ufficio, falso in bilancio, procurata epidemia, falso ideologico, associazione a delinquere, contraffazione di sigilli e via discorrendo. Galera quasi certa, forse ergastolo o pena di morte se ci si trovasse negli Stati Uniti, conclude la dottoressa, che ha avuto tanta paura per queste accuse assurde.

Dice di aver ricevuto solidarietà solo a titolo personale ma non istituzionale o dai singoli politici. La comunità scientifica internazionale si è mostrata solidale, ma quella italiana ha girato la testa dall’altra parte. “Se sei indagato, accusato dalla magistratura, sei appestato, radioattivo, contagioso e ti vergogni persino di esistere perché per i giornali sei colpevole fino a prova contraria” afferma la virologa con sdegno e amarezza. Sentita in commissione la dottoressa è stata attaccata con veemenza da alcuni deputati fino a indurla a piangere per l’umiliazione subita mentre, in aula, è stato votato subito a favore delle sue dimissioni andando contro la prassi abituale.

Sulle intercettazioni e il loro uso indiscriminato (“anche coi miei familiari, marito, padre…”) la Capua vuole essere ancora più diretta: “Un virologo parla di virus ricorrendo al suo gergo e quando dice che quello è un virus che scotta, non intende dire che vuole scatenare un’epidemia”. Circa la trascrizione delle intercettazioni, si raggiungono vette di ineguagliabile indecenza perché – racconta la virologa – è stato fatto copia e incolla anche di momenti diversi, confondendo un virus con un altro ma che non c’entrano per nulla tra loro. Il tutto a opera dei soliti inquirenti non-addetti-ai-lavori cioè di “persone che ascoltavano ma non capivano perché completamente senza le basi scientifiche necessarie a comprendere una materia così complessa”.

Non può poi mancare la “drammatizzazione e interpretazione delle trascrizioni” per la quale gli inquirenti – aggiunge la dottoressa – arrivavano a trasformare per incanto un numero (444 nella fattispecie) da semplice “centro di costo” in “società segreta”.

Quello che la dottoressa non riesce a spiegarsi – e noi confermiamo il suo stupore – è che le intercettazioni siano del 2006 e l’articolo con le accuse del 2014. “Possibile che – conclude la Capua – gli inquirenti attendano 8 anni per intervenire quando l’accusa è di procurata epidemia col rischio di far morire migliaia di persone? È davvero tutto surreale: stavano giocando con la mia vita perché avrei potuto fare gesti estremi”.

Ilaria (prima dei suoi numerosi titoli viene il nome) oggi rivela di frequentare una psicoterapeuta alla stregua – dice – di una vittima di stupro perché si è sentita spogliata, denudata, impotente di fronte a una violenza. Afferma risolutamente che in simili circostanze si rischia di mettere in atto gesti estremi, quelli che noi medici, con un certo pudore chiamiamo “gesti anticonservativi”. Dopo dieci anni, Ilaria è stata prosciolta perché il fatto non sussiste e la triste vicenda non può che culminare con la denuncia dell’uso strumentale della giustizia e della stampa. La querela al giornalista e al suo direttore, nonché la richiesta di un risarcimento per i danni subiti, sono l’inevitabile epilogo di un’amara vicenda.

Il mio è un caso drammatico, ma spero che serva a qualcosa – conclude la virologa – sono comunque diventata una persona migliore dentro perché ho imparato a mettermi in discussione. Le cose hanno tutta un’altra prospettiva quando rischi di andare in prigione o all’ergastolo. Ti scivolano addosso le vicende della vita e tu devi mantenere dritta la barra del timone e trovare la forza in te stessa per rialzarti in piedi. Si resta comunque artefici del proprio destino perché la battaglia è tua!”.

Ho scritto il libro – conclude Ilaria Capua – per un senso di responsabilità civile e perché la magistratura, quando tratta simili argomenti, lo faccia a ragion veduta e non con inquirenti non-addetti-ai-lavori che confondono i virus tra loro”.

Analogie coi casi di Presunti Maltrattamenti a Scuola (PMS)

Ma cosa hanno in comune le maestre italiane accusate di PMS con la virologa protagonista di questa storia di malagiustizia? Cogliamo le analogie.

  1. L’indagine comincia con le solite intercettazioni all’insaputa dell’indagato.
  2. Dalle intercettazioni sono estrapolate sequenze riorganizzate in trailer, a uso e consumo degli inquirenti che operano un’attività incontrollata di “taglia e cuci”.
  3. Gli inquirenti sono dei perfetti non-addetti-ai-lavori, totalmente all’oscuro della materia che riguarda le indagini, che trascrivono le intercettazioni interpretandole e drammatizzandole, infine avvalendosi di troppi “copia e incolla”.
  4. L’intervento in slow motion della giustizia che interviene dopo mesi o anni, tenendoti in ostaggio anche quando vengono ipotizzati, a tuo carico, reati gravi e infamanti.
  5. La gogna mediatica, la latitanza istituzionale, l’esclusione dalla società degli uguali
  6. La vergogna patita, la violenza verbale subita, l’accanimento degli sciacalli che sono soliti accanirsi su chi ha perso tutte le forze per lottare e resistere all’ingiustizia.
  7. Il desiderio di scomparire per sempre fino a sperare di morire per porre fine all’ingiustizia.

Probabilmente sono ancora molti i parallelismi tra la vicenda della virologa e quelle delle maestre. Speriamo che per le maestre possa esserci l’analogo epilogo dell’avventura giudiziaria con un’assoluzione piena perché il fatto non sussiste. Questo potrà però avvenire solo combattendo per molti anni, soffrendo, disperandosi, piangendo ma senza mai arrendersi. Soprattutto senza ricorrere ai riti alternativi (patteggiamento e rito abbreviato) e affrontando a testa alta il processo ordinario che, più di tutti, garantisce la possibilità di vedere riconosciuta la propria innocenza dopo lunghissimi anni. Un’esperienza giudiziaria di questo tipo segna indelebilmente e trasforma una persona – ci ricorda Ilaria Capua – che può rinascere però più forte di fronte alle prove della vita.

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