I ragazzi, tra precocità e solitudine

Di Lalla
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Luciano Verdone – “Mamma, posso andare in discoteca o in pizzeria? Posso truccarmi, mettermi lo smalto scuro alle unghie, farmi i colpi di sole ai capelli?”. Le domande prima o poi arrivano. Il problema è che ormai arrivano troppo presto. A 13 anni, anziché a 16. E la richiesta poggia sempre su una rivendicazione subdola ed equivoca: “Perché tutti possono ed io no?”. Si tratta di un test che pone il genitore sotto esame: Sono retrogrado o moderno? Egli si chiede. Insensibile o comprensivo?

Luciano Verdone – “Mamma, posso andare in discoteca o in pizzeria? Posso truccarmi, mettermi lo smalto scuro alle unghie, farmi i colpi di sole ai capelli?”. Le domande prima o poi arrivano. Il problema è che ormai arrivano troppo presto. A 13 anni, anziché a 16. E la richiesta poggia sempre su una rivendicazione subdola ed equivoca: “Perché tutti possono ed io no?”. Si tratta di un test che pone il genitore sotto esame: Sono retrogrado o moderno? Egli si chiede. Insensibile o comprensivo?

Ma le domande che gli adulti dovrebbero porsi sono, invece, altre: Sono un educatore capace di accompagnare i figli verso l’indipendenza in modo graduale? Oppure, sono convinto che sia necessario che i ragazzi facciano tutte le esperienze per crescere, lasciando persino che corrano dei rischi?

C’è una corsa furiosa, da parte di certi genitori, a spingere in avanti l’età dei figli. Quando non si tratta di qualcosa di peggio. Di una permissività irresponsabile che si avvicina all’abbandono. Di trascuratezza affettiva ed educativa. In fondo, è più comodo che i bambini vadano a giocare nell’appartamento vicino per non sporcare casa, o in cortile senza seguirli. O abbandonarli di fronte alla tv privi di controllo. O spedirli in pizzeria. “Sono state dislocate fuori casa tutte le esperienze che creavano legame, come preparare una festa insieme”, scrive il pedagogista Andrea Canevaro.

E allora? Anziché dire dei no secchi ai nostri figli, è opportuno proporre loro mete alternative. Fare esperienze in famiglia o nell’associazionismo guidato, invitare gli amici in casa. Preparare una festa insieme, con giochi di gruppo, coinvolgendo i ragazzi, costa fatica ma è più educativo che abbandonare dei tredicenni a loro stessi. Ed in molti casi più divertente.

Spostare avanti le lancette della crescita non è benefico per i ragazzi. Se a 13 anni fanno la vita di un sedicenne, a 16 essi vorranno andare oltre. “Basta vedere – osserva la psicologa Maria Teresa Pedrocco Biancardi – qual è ormai l’età del primo rapporto sessuale e che tipi di competenze hanno questi ragazzini sulla sessualità e la profilassi. O il consumo che si registra di pillole del giorno dopo. Tutte cose che prendono di sorpresa i genitori, spaventandoli. I genitori non sanno nulla dei loro figli sedicenni, né di quello che fanno, né di quello che pensano. I figli così vivono queste esperienze in solitudine, aggrappandosi fra loro”.

Ma le esperienze precoci non sono prive di conseguenze sulla psiche di una personalità immatura. I ragazzi subiscono pressioni emotive difficilmente sostenibili per la loro età. Non hanno lo spazio per riflettere sul vissuto, rivisitarlo, valutarlo. L’accumulo di emozioni non elaborate suscita in loro ansia, si riflette sulla capacità di apprendere e di concentrarsi. Li porta ad essere sempre più prepotenti per ottenere quello che vogliono. Di conseguenza, il confronto tra genitori e figli, anziché essere un dialogo sui valori, sul senso di ciò che si fa, si riduce ad un gioco di permessi e negazioni.

Abbiamo mai detto ai nostri figli che non avere un certo vestito non è un segno di menomazione sociale? Che può esserci orgoglio anche nel non omologarci ai modelli correnti? Parliamo con loro del film che vedranno o che hanno appena visto?

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