I precari della scuola e il gioco delle tre carte

Di Lalla
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Franco Buccino – Carta vince, carta perde. Al gioco delle tre carte, indovina dov’è la supplenza: a Napoli, Bologna o Milano? Molti precari subodorano il trucco ma nullafacenti nella piazza della Conoscenza, loro che vivono di punteggi e disoccupazione, si prestano pure al gioco del subdolo prestigiatore e dei suoi compari che affollano la scena. Per molti la supplenza non c’è, e l’immissione in ruolo resta un miraggio. I tagli continui di risorse e posti, il mancato (o ridotto al minimo) turn over, stanno mettendo in ginocchio le scuole, alzando in modo preoccupante l’età media degli insegnanti, portando all’implosione il sistema supplenze.

Franco Buccino – Carta vince, carta perde. Al gioco delle tre carte, indovina dov’è la supplenza: a Napoli, Bologna o Milano? Molti precari subodorano il trucco ma nullafacenti nella piazza della Conoscenza, loro che vivono di punteggi e disoccupazione, si prestano pure al gioco del subdolo prestigiatore e dei suoi compari che affollano la scena. Per molti la supplenza non c’è, e l’immissione in ruolo resta un miraggio. I tagli continui di risorse e posti, il mancato (o ridotto al minimo) turn over, stanno mettendo in ginocchio le scuole, alzando in modo preoccupante l’età media degli insegnanti, portando all’implosione il sistema supplenze.

Il quale fino a non molto tempo fa ha funzionato nel modo seguente: precari con punteggi bassi andavano al nord, precari con punteggi alti, ma anche medi e bassi, rimanevano al sud (o anche al centro). I precari al nord lavoravano senza problemi, e poi molti ritornavano al sud con punteggi elevati o ormai di ruolo. I precari al sud si arrabattavano per rimanere in corsa con, in ordine cronologico: seconde lauree, titoli di sostegno, master e perfezionamenti, scuole private. Ogni tanto una legge sul precariato con una consistente immissione in ruolo sfoltiva l’elenco dei precari e lasciava in equilibrio il rapporto nord sud.

Negli ultimi anni le cose sono cambiate in seguito alle politiche scolastiche dei governi, soprattutto l’ultimo. Per via delle supplenze sempre più ridotte e delle immissioni in ruolo fatte con il contagocce, si spostano al nord precari con punteggi più alti scombinando le graduatorie lì esistenti. Al sud i punteggi derivanti da titoli e servizi non bastano più, anche perché il decreto salvaprecari dell’altr’anno ormai riconosce a quasi tutti il punteggio a prescindere dal servizio. Norme pensate a loro favore, in realtà, eliminando una sorta di selezione naturale che differenzia le posizioni di chi ha la fortuna di lavorare e di chi non lavora, stanno ingolfando le graduatorie nella parte medio alta.

Ormai al precario della scuola che non ha un punteggio stratosferico, che non ha il concorso a cattedre del 2001 (l’ultimo!), che non è tutelato dalla legge sul collocamento obbligatorio, rimane una sola strada, quella dei ricorsi. Lo sanno bene strane associazioni, pseudo sindacati e pseudo patronati, che sorgono come i funghi. D’altra parte i precari della scuola sono una riserva razziata sistematicamente, oltre che dal Ministero che se ne serve quando vuole, da enti di formazione, università pubbliche private o online, case editrici specializzate, uffici legali in proprio o appoggiati a comitati e liberi sindacati, tutti interessati a questa grossa fetta di mercato. Adesso vanno forte i ricorsi. Il più delle volte non portano da nessuna parte, ma qualche volta vanno in porto: allora vuol dire che un precario si prende il posto di un altro precario. L’Amministrazione scolastica è indifferente con i precari come la Natura con l’Islandese di leopardiana memoria.

Non c’è una soluzione migliore di un’altra: inserire chi si vuol spostare in un’altra provincia in coda o “a pettine”, congelare le graduatorie, scongelarle. Gli aspetti politici delle diverse opzioni sono inventati di sana pianta, e in ogni caso sono strumentali. I precari vogliono lavorare, al nord come al sud. Per lavorare ci vogliono i posti. E ci vogliono le immissioni in ruolo per esaurire le graduatorie dette, appunto, ad esaurimento. Non la scomparsa dei precari o il loro coinvolgimento in un nuovo sistema di reclutamento. Lo vuol fare l’attuale governo? E quello che verrà? Scorrimento delle graduatorie con massicce immissioni in ruolo, una diversa organizzazione del lavoro per evitare che si riformi precariato di tali dimensioni, e poi per gli aspiranti insegnanti, per loro sì, un nuovo modo di reclutarli. Le immissioni in ruolo su posti liberi e vacanti, l’hanno dimostrato in parecchi, sono a costo zero. Costerebbe un po’ favorire il pensionamento dei docenti più anziani e potenziare almeno alcuni settori dell’istruzione come l’educazione degli adulti. Ma ne varrebbe la pena.

La verità è che per la scuola non è un bel momento. Il presidente del consiglio ha preso di mira la scuola pubblica. Dopo tagli indiscriminati e pseudo riforme di copertura, da lui l’accusa infamante di traviare i giovani e la proposta indecente del “bonus” alle famiglie per iscrivere i figli alle scuole private. Per fortuna nel nostro paese sulle questioni della scuola cadono i governi. Ma la battaglia politica sulla scuola pubblica che è stata ripresa con rinnovato ardore non deve, paradossalmente, distrarre e far dimenticare che i precari ormai non reggerebbero una nuova ondata di tagli. Urge per loro una soluzione ad horas: tocca a questo parlamento, a questo governo, a questa opposizione affrontare il problema. Perché il gioco delle tre carte può avere risvolti drammatici.

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