Genitore 1 e genitore 2 a posto di padre e madre. Lotta al sessismo tra i banchi. È iniziata l’ “operazione gender”?

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di Eleonora Fortunato – “Superamento degli stereotipi di genere”: ecco il codicillo della nuova legge sulla scuola che ha fatto infuriare i giornali cattolici e che impensierisce i genitori del Moige. Soprattutto ora che in alcune scuole sono state abolite le diciture ‘padre’ e ‘madre’. Soprattutto ora che nuovi modelli educativi guardano con diffidenza alle distinzioni di genere e strizzano l’occhio alla teoria che non esista corrispondenza biunivoca tra sessualità biologica e identità sessuale.

di Eleonora Fortunato – “Superamento degli stereotipi di genere”: ecco il codicillo della nuova legge sulla scuola che ha fatto infuriare i giornali cattolici e che impensierisce i genitori del Moige. Soprattutto ora che in alcune scuole sono state abolite le diciture ‘padre’ e ‘madre’. Soprattutto ora che nuovi modelli educativi guardano con diffidenza alle distinzioni di genere e strizzano l’occhio alla teoria che non esista corrispondenza biunivoca tra sessualità biologica e identità sessuale.

La lingua, si sa, è un sistema fortemente conservativo e prima che certi neologismi entrino a far parte del vocabolario comune di tempo ce ne vuole. Ma qualche volta succede il contrario, e si punta a usi linguistici innovativi per far metabolizzare alla svelta processi che altrimenti riuscirebbero molto più lenti. Così nel prestigioso liceo “Mamiani” di Roma – ma non è l’unico caso in Italia – già dal settembre 2012 sui libretti delle giustificazioni si chiede la firma del “primo e del secondo genitore” e non più del “padre” e della “madre”. Poi è successo anche che si sia parlato di stanziamento di fondi per la formazione dei docenti in merito al ‘superamento degli stereotipi di genere’ nel decreto scuola 104 convertito in legge appena qualche settimana fa. E le reazioni non si sono fatte attendere: dopo le levate di scudi dei giornali di area cattolica (ilsussidiario.net ha titolato: “Un blitz della Carrozza e il gender diventa Educazione di Stato”), è di qualche giorno fa la notizia di una proposta di legge a firma del deputato leghista Emanuele Prataviera che prevede l’obbligo, per tutti i documenti della Pubblica Amministrazione, di utilizzare la tradizionale denominazione padre e madre, vietando il ricorso ad altre formule come per esempio ‘genitore 1’ e ‘genitore 2’.

A noi lo aveva già fatto notare Maria Rita Munizzi, Presidente nazionale del Moige, in un’intervista di qualche giorno fa (“Ci preoccupa, ad esempio, lo stanziamento di fondi previsto per la formazione dei docenti in tema di educazione sessuale. Crediamo che l’educazione sessuale o meglio, all’affettività, sia così piena di valenze culturali, valoriali ed etiche che debba competere, come auspica la carta universale dei diritti dell’uomo, prima di tutto ai genitori ed eventualmente integrata dai docenti solo previo consenso dei primi”), perciò siamo andati a rivederlo il passaggio incriminato del decreto, dove al punto “d” del comma 1 dell’articolo 16 si parla di “aumento delle competenze relative all’educazione all’affettività, al rispetto delle diversità e delle pari opportunità di genere e al superamento degli stereotipi di genere”. Espressioni che suonano tutto sommato generiche e che rispondono in modo coerente alla necessità di incoraggiare nei ragazzi una cultura della tolleranza e della responsabilità individuale per stroncare sul nascere fenomeni inquietanti come l’omofobia e la violenza sulle donne. Qualcuno, invece, forse incuriosito forse allarmato dall’insistenza sul termine ‘genere’, si è preso la briga di una scrupolosa lettura filologica e ha potuto così verificare che nella sua formulazione originaria l’emendamento, presentato da una parte del Pd, Sel e Movimento 5 Stelle, era molto più esplicito e prevedeva che la formazione avesse come oggetto il ‘gender’, teoria secondo cui non c’è un legame biunivoco tra sessualità biologica e identità sessuale. “Il riferimento al gender – ha scritto Paolo Ferrario sulle colonne di Avvenire – non era riservato soltanto alla formazione ma a tutti gli ambiti dell’educazione scolastica. Nei testi l’espressione più ricorrente era ‘educazione sentimentale’, diventata poi educazione all’affettività’. Nell’articolato definitivo il termine ‘gender’ è stato poi tradotto con ‘genere’, ma è rimasto il riferimento agli stereotipi”.

E già, stereotipi sessisti sotto accusa in gran parte dei paesi evoluti, o industrializzati, o ricchi, dove i nuovi modelli educativi già da qualche decennio smorzano le differenze di genere per cercare di ridurre, per esempio, l’aggressività verso le donne. Legittimata a livello accademico, specialmente negli USA, a partire dagli anni Settanta con la fine dello strutturalismo e l’affermazione del decostruzionismo, oggi la teoria del gender, sostenuta in particolare dallo schieramento LBGT (Lesbian, bietero, gay, trans), sta diventando un riferimento culturale imprescindibile anche in Europa (non a caso è francese uno dei padri del pensiero debole, Jacques Derrida, ed è in un asilo parigino che, su modello di una realtà svedese, sono stati totalmente aboliti i colori blu e rosa e si è passati all’assunzione del pronome neutro per riferirsi indistintamente a bambini e bambine). L’Italia si è sempre sentita al riparo dall’invadenza di questo genere di teorie, ma è plausibile che qualcosa negli ultimi anni stia cambiando anche da noi. E così le istituzioni cattoliche del nostro Paese, da sempre in prima fila nell’educazione e nell’istruzione, sono preoccupate di fronte a tanto imperversare nella pubblicità, nella moda, nella musica, nei film dell’azzeramento della differenza tra maschile e femminile. Lo sgomento degli ambienti cattolici è stato ben sintetizzato negli ultimi giorni anche da una nota della presidenza nazionale della Fidae, la Federazione delle scuole paritarie cattoliche, che ricorda alla supposta “operazione gender” del Miur un “limite di fondo”: non tenere conto che il sistema scolastico è integrato, composto cioè da scuole statali e scuole paritarie. “Pertanto – si legge nel documento – i dispositivi che questo disegno di legge mette in campo per la scuola statale dovrebbero essere a sostegno dell’intero sistema senza alcuna discriminazione di uno dei soggetti che lo costituiscono, cioè la scuola paritaria”.

Insomma, la battaglia del ‘gender’ è iniziata anche da noi e sarà interessante monitorarla anche dal punto di vista linguistico, ora che il politically correct non basta più.

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