Fondo integrativo alla pensione: che rendita dà, quando conviene aprirlo

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CEDAN – Considerato il periodo di incertezza lavorativa e che sempre più lavoratori si vedranno corrispondere un trattamento di quiescenza calcolato secondo i parametri del sistema contributivo, il numero dei lavoratori che opta per un fondo pensione è in netta crescita. Visionata tale doverosa premessa, è necessario far chiarezza su cos’è e come funziona il fondo pensione.

Cos’è il fondo pensione

Il fondo pensione rappresenta un’integrazione della pensione; potrebbe essere definito come un paracadute da poter utilizzare in caso di necessità e in ogni caso a fine carriera lavorativa.

Per poter costruire tale forma di garanzia occorre che il lavoratore decida di versare una parte del proprio stipendio in uno di questi fondi che hanno lo scopo di raccogliere e investire in modo sicuro il denaro del risparmiatore ed erogarglielo successivamente; nel momento in cui questi smetterà di lavorare, di conseguenza a maturazione dei requisiti della pensione, verrà erogato dalla parte finanziatrice/contraente un reddito ulteriore rispetto alla pensione erogata dall’ente previdenziale (a cui si aggiunge e da cui è completamente separato).

Il titolare del fondo pensione avrà comunque facoltà di chiedere e ottenere a determinate condizioni anticipi e riscatti e potrà anche decidere di destinare il proprio TFR a un fondo pensione.

Esistono due categorie di fondi:

  • fondi pensione chiusi: ogni settore ha il suo fondo e sono legati al contratto collettivo di lavoro. Sono denominati anche fondi di categoria L’adesione e la liquidazione della somma spettante al fondo è subordinata alla sottoscrizione del CCNL di categoria da parte del datore di lavoro;
  • fondi pensione aperti: sono invece destinati a tutti i lavoratori dipendenti e autonomi.

Esistono anche i piani individuali pensionistici (Pip): non sono fondi ma un tipo di assicurazione con finalità pensionistiche. Tutti possono sottoscriverli, ma non sempre sono convenienti.

Quale rendita ha un fondo pensione?

La rendita dei fondi pensioni è variabile secondo le diverse tipologie:

  • fondi pensione con rendita vitalizia: viene somministrata una rendita sino al decesso del contraente. Alla sua morte si estingue e gli eredi non hanno diritto ad alcuna “reversibilità”. In via forfettaria, la rendita ogni mille euro di investimento ammonta a circa 66 euro;
  • fondi pensione con rendita reversibile: il pagamento della rendita viene corrisposto al titolare finché è in vita e, alla sua morte, i soldi vengono erogati a un beneficiario indicato precedentemente dal titolare stesso del fondo, fino alla morte anche di quest’ultimo. Dopo si estinguono. Si ha quindi una sorta di reversibilità. La rendita in questo caso è di circa 48 euro ogni mille euro di investimento;
  • fondi pensione con rendita certa per 5 o 10 anni e poi vitalizia: questi fondi hanno una durata limitata pari a 5 o 10 anni. In caso di decesso del titolare durate il periodo scelto la rendita verrà corrisposta al beneficiario fino alla scadenza del periodo. Dopo di ché non viene erogato più nulla. Se il beneficiario della pensione vive più del periodo scelto, la rendita diventa vitalizia, ossia gli viene erogata fino alla morte. La rendita è di circa 65 euro per 5 anni e di 64 euro per 10 anni;
  • fondi pensione con rendita vitalizia controassicurata: la rendita viene pagata finché il titolare è in vita. Al suo decesso, ai beneficiari viene versato il capitale residuo. La rendita è pari a 58 euro;
  • fondi pensione con rendita long term care: la rendita viene pagata finché il beneficiario è in vita e prevede un aumento dell’importo in caso di perdita di autosufficienza. L’importo è di circa 64,3 euro.

Trattamento fiscale del fondo pensione

Ciò che si versa all’interno dei fondi pensione può essere portato in deduzione per un importo massimo annuo di 5.164,57 euro. Il reddito imponibile si abbassa e di conseguenza le tasse da pagare; su tali cifre viene comunque applicata una tassazione agevolata compresa tra il 9% e il 15%, percentuali più basse rispetto all’aliquota con cui viene tassata la liquidazione lasciata in azienda.

Come chiedere un anticipo sul fondo pensione

Anche per i fondi pensioni, secondo l’osservanza di alcune regole è possibile chiedere un anticipo. Ecco i casi e le regole sufficienti a richiedere l’anticipo del fondo pensione:

  • per spese sanitarie (del lavoratore, del coniuge o del figlio): l’anticipo può sempre essere richiesto a fronte di una richiesta pari al 75%. La tassazione varia dal 15% al 9% del Tfr versato più i contributi del lavoratore e dell’azienda dedotti annualmente nella dichiarazione dei redditi;
  • per acquisto prima casa: prevede un’iscrizione minima (versamenti effettivi) di 8 anni di iscrizione al fondo e fino al massimo del 75%. Per quanto riguarda la tassazione essa è al 23% del Tfr versato più i contributi del titolare e dell’azienda dedotti annualmente in dichiarazione dei redditi;
  • per ristrutturazione prima casa: devono essere osservati sempre gli 8 anni di iscrizione al fondo e fino al massimo del 75%. Per quanto riguarda la tassazione essa è al 23% del Tfr versato più i contributi del titolare e dell’azienda dedotti annualmente in dichiarazione dei redditi;
  • per qualunque altro motivo: si può avere solo dopo 8 di iscrizione al fondo e fino al massimo del 30%. Per quanto riguarda la tassazione essa è al 23% del Tfr versato più i contributi del titolare e dell’azienda dedotti annualmente in dichiarazione dei redditi.

Si può riscattare il fondo pensione?

In alcuni casi la legge consente il riscatto del fondo pensione, ossia di tutta la somma versata negli anni anche se ancora non è maturato il diritto alla pensione:

  • invalidità permanente che comporti la riduzione della capacità lavorativa a meno di un terzo;
  • morte (richiedibile dagli eredi);
  • disoccupazione per un periodo di tempo superiore a 48 mesi;
  • perdita dei requisiti di partecipazione, ad esempio il cambio di lavoro e di contratto collettivo.

L’eventuale adesione al fondo di categoria Espero, riapre tuttavia l’annosa questione dell’illegittimità della trattenuta sul Tfr; la questione è abbastanza controversa, cerchiamo di far chiarezza e capire perché è necessario aderire al ricorso proposto dall’associazione di categoria Anief.

Era il 29 ottobre del 2012 quando dalle silenti stanze di Piazza Colonna veniva emanato il decreto legge della vergogna: stiamo parlando del Decreto Legge 185/12 recante “Disposizioni urgenti in materia di trattamento di fine servizio dei dipendenti pubblici”.

Attraverso l’emanazione di tale decreto, il governo, in maniera del tutto arbitraria decide di ripercuotere il dictat contenuto all’interno dell’art 12 c.10 della legge 122/10 con la quale si trasformava il TFS dei dipendenti delle amministrazioni statali in regime TFR, pur mantenendo la contribuzione del 2,50% a carico degli stessi. Tale decreto dispone il ripristino del trattamento di fine servizio (TFS) a decorrere dal gennaio 2011 e la riliquidazione del trattamento di fine rapporto (TFR), ora di nuovo TFS, per dipendenti che sono stati collocati in quiescenza dagli enti pubblici nel biennio 2011-2012. Il DL 185/12, che presuppone il ritorno alla previgente indennità di buonuscita (TFS), decreta di fatto legittima la trattenuta previdenziale. Tale escamotage messo in atto dai tecnici di Piazza Colonna ha evitato la restituzione, ad ogni dipendente, di una cifra stimata tra 1000-1100 euro, continuando nel contempo ad effettuare mensilmente la trattenuta del 2,50% ai dipendenti pubblici assunti in servizio prima del 31 dicembre 2000.

È di fondamentale importanza comprendere che tale decreto apre comunque importanti scenari, ovvero, l’opportunità di recuperare le somme illegittimamente trattenute a coloro che, invece, sono in regime di TFR, ovvero coloro che sono stati assunti dopo il 1 gennaio 2001 e quelli che hanno optato per il sistema previdenziale del Fondo Espero.

Ne consegue che queste due categorie di lavoratori devono chiedere la restituzione del prelievo indebito all’INPS (ente previdenziale che dal 1 gennaio 2012 ha incorporato l’INPDAP). I docenti coinvolti sono gli incaricati annuali assunti dopo il 31 dicembre 2000, mentre quelli di ruolo, essendo in servizio anteriormente a tale data, rientrano nel regime della buonuscita (TFS). Avviare il ricorso in questione è importantissimo, oltre che necessario, per recuperare tali cifre sia nel breve periodo che per vedersi riconosciuto un legittimo trattamento di quiescenza.

Vai alla pagina di adesione al ricorso TFR

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