Figli della rete

Di Lalla
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Luciano Verdone – Le onde elettromagnetiche di televisione, radio, cellulari, hi-phone, e-mail, chat, blog, forum… costituiscono la novità più rivoluzionaria della nostra epoca. Come primo effetto, la comunicazione mediatica ha generato un modo nuovo di relazionarsi.

Luciano Verdone – Le onde elettromagnetiche di televisione, radio, cellulari, hi-phone, e-mail, chat, blog, forum… costituiscono la novità più rivoluzionaria della nostra epoca. Come primo effetto, la comunicazione mediatica ha generato un modo nuovo di relazionarsi.

Essa, infatti, non è più basata su una “comunità territoriale”, tra persone che condividono lo stesso luogo ed hanno legami concreti, ma su una “comunità relazionale”, tra individui che si riconoscono affini per interessi, gusti, amicizie on line.

I media possiedono due grandi meriti. Quello di informarci ed istruirci (cronaca), e quello di divertirci (fiction), attraverso mondi immaginari che producono “la dilatazione del nostro orizzonte di esistenza” (Paul Ricoeur). Ed altri meriti ancora: la valorizzazione delle competenze dei giovani, la possibilità degli stessi di divenire protagonisti consapevoli della comunicazione digitale, l’opportunità d’informarsi, di stabilire relazioni orizzontali con i coetanei…

Ma, ammettiamolo. La realtà mediatica si è sovrapposta al mondo delle relazioni faccia a faccia, ai tempi ed agli spazi della vita quotidiana, con conseguenze pedagogiche notevoli.
Un’indagine del Telefono Azzurro rivela che il 16% dei bambini, tra i sette e gli undici anni, guarda da solo programmi con il bollino rosso. Fenomeno preoccupante se si considera che a quell’età il bambino identifica la realtà con la televisione, senza la capacità di rielaborazione critica di ciò che vede e ascolta.

“Per il ruolo che oggi hanno assunto nella vita di tutti e soprattutto dei più giovani, i media interferiscono nel processo educativo, possono assecondarlo e sostenerlo come renderlo più arduo e rischioso. Spesso genitori e insegnanti esprimono un senso d’impotenza e frustrazione di fronte a concorrenti affascinanti e dotati di quello che appare un inesorabile vantaggio competitivo” (Comitato progetto culturale CEI, La sfida educativa).

I media, inoltre, privilegiano il linguaggio delle emozioni, promuovendo il modello dell’apparire e della notorietà, selezionando come più interessanti fatti e situazioni che costituiscono un’infrazione alle norme, secondo il criterio della negatività. Tale stile comunicativo ha due effetti negativi:

Il primo è quello di creare giovani con grande capacità di empatia e di compassione, ma privi di centro interiore, insicuri e poveri d’identità, vittime del primato del desiderio, sganciati da orizzonti di senso, eticità, ragionevolezza.
Il secondo è generare una delegittimazione degli adulti, inducendo ad un’anticipata sfiducia verso gli stessi. Il bambino, per crescere con una personalità equilibrata e per poter instaurare relazioni fiduciarie verso gli altri, ha bisogno di credere nel mondo dei grandi. Ma se gli adulti, stando alla cronaca e alle immagini televisive, sono sistematicamente corrotti, mentitori, violenti, ladri, infedeli…, egli realizza che i modelli comportamentali che essi presentano sono una specie di finzione non praticabile.

Come può un educatore contrastare questi rischi? Puntando al principale tallone d’Achille dei media. Quello di non poter costringere nessuno a connettersi o sintonizzarsi. Le famiglie, oggi, devono attrezzarsi per un uso positivo e critico dei media. Sia con la pedagogia delle “difese esterne” (vigilanza sull’esposizione dei ragazzi a contenuti inadatti e pericolosi), sia con quella delle “difese interne” (accompagnamento nell’uso dei media fino alla graduale maturazione della capacità autonoma dei figli ad interagire con essi).
Siamo nell’epoca in cui un padre ed una madre esercitano il loro compito di educatori, seduti, con i figli, di fronte ad uno schermo televisivo e ad un monitor di computer.

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