Esami di Stato II grado. Perché non dare il massimo dei voti quando si meritano? Lettera

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Inviata da Fulvio Lo Cicero – Gentile Abravanel, sono un docente in servizio da 30 anni (insegno Materie giuridiche ed economiche negli Ite) e da vari anni sono presidente di commissione agli esami di Stato.

Oggi sono rimasto sconcertato nel leggere il suo editoriale sul Corriere della sera, nel quale lei testualmente afferma: “Restituire dignità all’esame di maturità (non si chiama più così, ma fa niente) ha un senso morale per ripagare le ansie e l’impegno degli studenti”.

Da cui ricavo che attualmente questo esame non ha dignità e, dunque, per la proprietà transitiva, non abbiamo dignità (né senso morale) nemmeno noi insegnanti che lo conduciamo. Io spero che lei si renda conto di quanto siano offensive questa parole. Ho letto altre cose da lei scritte e ho sempre pensato che lei non sia mai entrato in un’aula scolastica, che, insomma, non abbia mai insegnato e quindi non abbia alcuna esperienza diretta di istruzione scolastica. Ciò dovrebbe renderla un tantino più cauto nei suoi giudizi, che gettano una palata di fango su centinaia di migliaia di insegnanti accusati di regalare i “100” e i “100 e lode”. Che la Puglia e il Sud registrino più 100 rispetto al Nord agli esami di Stato non significa nulla oltre al dato quantitativo. Nessuno può escludere che gli studenti del sud siano più preparati di quelli del nord, a meno che a tale conclusione non si arrivi a causa di un evidente pregiudizio antimeridionalistico che mi sembra in lei assai evidente. Ma, ammesso pure (e non concesso affatto) che sia così come lei dice, bisogna considerare che l’attribuzione di un “100 con la lode” è possibile solo in casi limitatissimi, dati i parametri matematici imposti dal regolamento d’esame. Così, i 100: gli alunni devono aver registrato un profitto elevato negli ultimi tre anni (credito scolastico), oltre naturalmente ad aver condotto un esame superlativo.

Nella commissione da me presieduta quest’anno, nel Lazio, la commissione ha assegnato quattro 100 su un totale di 44 alunni. In un paio di casi abbiamo deciso di assegnare il bonus. Ho imposto il rigore nell’attribuzione del punteggio ma questi alunni avevano condotto un eccellente esame (oltre ad avere un percorso scolastico con la media del 9); una di questi era stata l’unica a scrivere un’analisi testuale perfetta del testo di Giorgio Caproni, sconosciuto ai più. Ora, nulla può dimostrarci (almeno non le sue inesistenti argomentazioni) che i voti più bassi al Nord non derivino da schemi mentali ottocenteschi secondo i quali più al ribasso sono le valutazioni e più i docenti sono considerati rigorosi, più si esclude e più si è considerati autorevoli.

Mi piacerebbe comprendere in base a quale logica si dovrebbero limitare i “100” – quando ovviamente sono presenti i parametri richiesti dalla legge – se non quella di favorire i pochi che otterrebbero questo punteggio, quindi, diciamo, in funzione antinflazionistica, come se avessimo di fronte non giovani dal futuro incerto ma una massa di liquidità monetaria e non fossimo rappresentati dell’Istruzione pubblica ma della Banca centrale europea. Nella mia non breve esperienza di insegnante ho spesso appurato che il “rigore meritocratico” che i suoi articoli sempre richiamano si fonda soprattutto su una scuola che vuole “escludere” e non “includere”, come imporrebbe la nostra Costituzione.

Mentre, la scuola italiana avrebbe bisogno di interventi finanziari massicci (di cui lei si disinteressa del tutto), di investimenti sulla qualità dei docenti (ma non con i ridicoli corsi di aggiornamento in inglese o sulla dispersione scolastica), di infrastrutture e, soprattutto, sugli stipendi per attirare i migliori neolaureati nelle varie discipline. Ora questi stipendi (e non i troppi 100) ci relegano fra i “paria” della pubblica istruzione. Persone che, come lei sostiene, non hanno una dignità.
Cordiali saluti.

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