Esami di Stato, Ichino: così non servono e costano. Sì a test standardizzati con accesso diretto ad Università

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Esami di Stato al via senza grandi intoppi, a fronte dell’incertezza denunciata alla vigilia delle prove.

Ma c’è chi non apprezza quasi nulla di un esame che, così come è concepito da decenni, non servirebbe praticamente a nessuno, tantomeno agli studenti. Studenti che, assieme a professori interni e a commissari esterni, si stanno misurando con la nuova versione della maturità, attuata in corso d’anno dal nuovo Governo in applicazione della riforma redatta con la Buona scuola. Dopo le prove scritte, ed evitata la terza prova, abolita da quest’anno, si è entrati nel vivo con le prove orali.

Quesiti preparati nelle riunioni preliminari delle commissioni, chiusi in buste sigillate, da sorteggiare di volta in volta dal candidato. Non più interrogazioni sulle discipline, ma una valutazione del maturando chiamato a interpretare il senso di un testo o di un documento estratto dalla busta e a discutere su un percorso relativo a un progetto di “Cittadinanza e Costituzione”, del quale peraltro non tutti hanno compreso le modalità richieste da legge. Fortemente critico verso questo tipo di esame è il professor Andrea Ichino, docente di Economia politica all’Università di Bologna. In una nostra recente intervista era stato molto severo verso la condizione attuale del sistema scolastico italiano e ancor di più verso il sistema di assunzione degli insegnanti. Ora tocca alla maturità: “Così com’è non serve”.

Professor Andrea Ichino, gli studenti sono alle prese con l’esame di Stato. Le piace la nuova versione introdotta di recente dal governo, con le domande chiuse in una busta da sorteggiare?

“Questa nuova versione è solo l’ennesimo esempio di riforma dell’esame di maturità che cambia dettagli marginali senza incidere in modo significativo su un esame di Stato che, nel suo stato attuale, non serve a nessuno e costa molto. Purtroppo quasi tutti i governi hanno ritoccato marginalmente questo esame, cosicché oggi l’opinione pubblica non vuole saperne di una nuova riforma anche se fosse finalmente più incisiva; ma è proprio di un cambiamento radicale che si sente il bisogno”.

Può spiegare perché l’attuale esame di stato non le piace?

“Per almeno quattro motivi. In primo luogo, non consente di confrontare tra loro studenti di scuole e classi diverse. In secondo luogo, obbliga i corsi di laurea con numero chiuso a trovare soluzioni alternative e costose per selezionare gli studenti da ammettere. Il terzo motivo è che non offre agli studenti uno strumento per conoscere le proprie capacità e quindi per scegliere il migliore percorso universitario o lavorativo alla fine della scuola. Infine, priva il ministero , e la società civile, di un’informazione rilevante – certo non l’unica necessaria – per valutare scuole e insegnanti”.

Ma se l’esame è lo stesso per tutti, perché non dovrebbe consentire il confronto tra studenti e classi diverse?

“Perché anche se le domande d’esame sono le stesse per tutti gli studenti, le valutazioni delle risposte non sono confrontabile quando le commissioni d’esame sono diverse e non seguono griglie di misurazione molto strette e tali da garantire uno stesso metro di giudizio. Quindi due studenti che ricevano lo stesso voto in scuole diverse, o anche in classi diverse della stessa scuola, potrebbero in realtà avere competenze, conoscenze e capacità molto diverse. Poiché stiamo parlando dell’esame di Stato che conclude l’intero ciclo scolastico, è invece importante che chi dovrà successivamente valutare i diplomati possa farlo sulla base del voto ricevuto in questo esame”.

Intende le università?

“Certamente, ma non soltanto le università. I corsi di laurea a numero chiuso o programmato risparmierebbero risorse finanziarie e umane se potessero utilizzare direttamente, senza test aggiuntivi, i risultati dell’esame di maturità per decidere quali studenti ammettere. Così accade in molti Paesi nei quali l’esame di maturità, anche nelle sue parti non a risposta multipla, come un tema, una versione o uno studio di funzione, viene corretto in modo standardizzato e centralizzato, non da commissioni diverse nelle singole scuole. Tuttavia il vantaggio di una valutazione standardizzata non si limita agli atenei. Anche per le imprese un esame che fornisse informazioni confrontabili tra studenti diversi sarebbe ovviamente molto utile per la selezione del personale da assumere”.

Peraltro, lei ritiene che anche gli studenti avrebbero bisogno di una valutazione standardizzata per avere informazioni adeguate sulle loro capacità, tali da aiutarli a scegliere meglio il proprio percorso universitario. E’ così?

“Sì, è così. Alcune indagini hanno rivelato che oltre il 30 per cento degli studenti universitari italiani è scontento della scelta fatta. Tra questi studenti insoddisfatti ci sono quelli che hanno ricevuto voti altissimi dai propri professori, ad esempio nella prova di matematica o fisica, e per questo si ritenevano, erroneamente, pronti ad affrontare corsi di laurea particolarmente difficili in facoltà scientifiche. O viceversa, ci sono studenti che si ritenevano inadatti a quei corsi per avere ricevuto valutazioni mediocri da professori molto severi ed esigenti, finendo quindi a studiare materie in realtà per loro meno adatte. Votazione standardizzate fornirebbero ad ogni studente indicazioni molto più informative sulle proprie capacità”.

Lei sostiene che sarebbe più utile avere una maturità sulle singole discipline invece che su un intero corso di studi. Come funzionerebbe?

“Supponiamo che l’INVALSI venga incaricato di disegnare delle prove valutabili in modo centralizzato e standardizzato in un insieme ampio di materie. Lo studente che sostiene la prova in una materia specifica riceve un punteggio da 1 a 100, indipendentemente dal suo percorso scolastico. Ossia la prova di matematica è esattamente la stessa per tutti – con domande di diversa difficoltà – indipendentemente dalla scuola frequentata, e lo stesso vale per italiano, inglese, storia, filosofia, fisica, disegno tecnico, e altre materie. Questo punteggio da 1 a 100 deve misurare il grado di conoscenze e competenze dello studente, in ciascuna materia. Lo studente dovrà sostenere le prove, nelle materie che preferisce e in quelle obbligatorie, alla fine di ciascuno degli ultimi tre anni delle superiori. La possibilità di ripetere la prova tre volte consentirebbe di minimizzare gli errori di misurazione delle capacità dello studente: è ovviamente pericoloso basare un risultato così importante per il futuro dei ragazzi su una prova sostenuta in unico giorno, che potrebbe anche essere influenzata da stati non ottimali di salute. La ripetizione delle prove riduce questo problema e inoltre consente di misurare il gradiente di miglioramento dello studente nel tempo. Un ulteriore vantaggio di un esame di Stato suddiviso per singole materie, è che si combinerebbe meglio con la mia proposta di ‘scuole á la carte’ invece che a ‘menú fisso’, di cui ho parlato in una mia precedente intervista a Orizzonte Scuola ”.

In che modo le università potrebbero poi utilizzare i risultati di un tale esame?

“Ogni corso di laurea dovrebbe poi decidere i requisiti per l’ammissione ai suoi programmi di studio. Ossia decidere in quali materie uno studente che voglia iscriversi deve sostenere le prove e il punteggio minimo necessario nelle prove stesse per essere ammessi. Per esempio, un corso di laurea in medicina di un dato ateneo potrebbe richiedere le prove di italiano, inglese, fisica, chimica, e biologia, con un punteggio minimo medio per materia di 90, sui tre anni in cui la prova viene sostenuta dallo studente. Corsi di ingegneria o di letteratura, invece, potrebbero richiedere materie e punteggi diversi”.

E per gli studenti quali sarebbero i vantaggi?

“Ogni studente otterrebbe in ciascun anno una misura chiara e confrontabile delle sue conoscenze e competenze in ciascuna materia. Potrebbe confrontare questa misura con quanto richiesto dai diversi corsi di laurea e dai diversi atenei. Potrebbe quindi capire gradualmente quale corso di laurea o carriera lavorativa sia per lei o lui preferibile. Inoltre, non ci sarebbero bocciati o promossi: solo misurazioni delle conoscenze e delle competenze al termine della carriera scolastica. Infine, la ripetizione delle prove in ciascuna materie durante i tre anni finali delle superiori consentirebbe di ricevere in tempo segnali utili per decidere sul proprio futuro, di recuperare un eventuale deficit iniziale e di correggere possibili disavventure nella prova specifica di un anno”.

Poi c’è la questione della valutazione. Si riesce in queste condizioni ad arrivare, attraverso l’osservazione dei risultati degli esami, a una vera valutazione delle singole scuole e degli insegnanti?

“Come ho spesso affermato, anche recentemente nella citata intervista a Orizzonte Scuola, la valutazione delle scuole dovrebbe essere fatta dalle famiglie mediante le loro scelte nell’iscrivere i figli. Ma queste scelte devono essere effettuate con tutte le informazioni necessarie, fornite e certificate dallo Stato. Tra queste anche il valore aggiunto dato agli studenti da ogni singola scuola e dai suoi insegnanti. Per misurare il valore aggiunto sono necessarie prove successive per ogni singolo studente, capaci appunto di misurare gli incrementi di apprendimento e i miglioramenti per date condizioni iniziali. Un esame di maturità basato su prove in ciascuna materia ripetibili negli ultimi tre anni di scuola superiore e confrontabili tra tutti gli studenti indipendentemente dalla scuola sostenuta offrirebbe esattamente questa possibilità. Sia per valutare le scuole nel loro complesso sia per valutare gli insegnanti di ciascuna specifica materia”.

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