Educazione alimentare, scuole e famiglie devono fare di più. Il nutrizionista

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L’educazione alimentare, se anche non divenisse mai materia curriculare, sicuramente deve entrare fra gli insegnamenti scolastici e fra quelli familiari.

A sostenerlo è Andrea Segrè, docente di Alma Mater di Bologna, con l’approvazione di Andrea Vania, pediatra nutrizionista e responsabile del centro di diabetologia pediatrica del Policlinico Umberto I di Roma.

Occasione del dibattito è stato il 75° congresso italiano di pediatria, in calendario a Bologna. Secondo Segrè l’educazione alimentare comprende anche educazione al non spreco. Non a caso, il docente è stato fondatore anche dell’Osservatorio sullo spreco alimentare.

Intervistato dall’agenzia Dire, Segrè ha detto: “Dal punto di vista istituzionale si potrebbe fare molto di più e anche scuola e famiglia possono fare molto di più“. Segrè ha indicato anche il luogo dove effettuare educazione alimentare: le mense scolastiche, cioè il posto dove si verifica il maggiore spreco. Nella sua visione, “anche gli insegnanti andrebbero riallineati; diventa un investimento per il futuro“.

Segré guarda all’aspetto salutistico, ma anche alle disponibilità alimentari. Ricorda, vantando la sua competenza da economista, che “nel 2050 saremo 10 miliardi di persone e la produzione agricola dovrà aumentare del 60%. Già oggi un terzo di quello che viene prodotto non arriva sulla tavola: sono sprechi che vanno ridotti. A mangiar male si spende uguale rispetto a sapere cosa comprare al supermercato. Dobbiamo ritrovare il modo per cui sia la domanda a guidare l’offerta. Non puo’ essere il carrello della spesa che ci spinge, dobbiamo essere noi a guidarlo. Per questo bisogna agire sulle scuole“.

Secondo il professore, sono da rimettere in riga anche le famiglie e rivela che “da pediatra passo molto tempo a fare il nonno, a insegnare ai genitori come fare i genitori. Bisogna mettere delle regole. Ci gloriamo di avere lo stile di alimentazione migliore, quella mediterranea, ma in realtà non lo seguiamo. Tendiamo di più a mangiar male e a fare una via di mezzo con la dieta americana”. In questo senso, afferma il pediatra, le battaglie per l’educazione alimentare fatte “a spot aiutano poco, rispetto all’impatto che hanno altre cose. Ad esempio, la pubblicità“.

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