DS Fondriest “Ci sarebbe bisogno di insegnanti stabili, classi meno numerose, edifici dignitosi. Rivedere anche orario di lavoro”

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“Nella mia scuola, quando si assentava un insegnante, siamo arrivati a fare 250 telefonate al giorno per trovare un supplente con enorme stress e costi per il personale.

“Nella mia scuola, quando si assentava un insegnante, siamo arrivati a fare 250 telefonate al giorno per trovare un supplente con enorme stress e costi per il personale.

Una volta, per fare i supplenti nella scuola elementare occorreva avere il domicilio o la residenza nella provincia e ci si poteva iscrivere in una graduatoria di una sola scuola. Quindi, ogni istituto aveva una graduatoria composta da un numero contenuto di supplenti ormai ‘fidelizzati’.

Con quel sistema erano facilitati tutti: i supplenti, i loro colleghi, le segreterie. Poi è stato abrogato l’obbligo del domicilio ed è salito a 25 il numero di scuole dove un supplente si poteva iscrivere.

Pertanto le scuole, anche per pochi giorni di supplenza, sono costrette a cercare supplenti in tutta Italia, rispettando l’ordine della graduatoria. Per cui al mattino la segretaria che deve sostituire un maestro deve telefonare in tutta Italia per cercare un supplente che magari stanno cercando anche le altre 24 scuole. Questo insegnante spesso prende tempo oppure risponde, giustamente, che per pochi giorni non si trasferisce da lontano. A volte il posto resta sguarnito, oppure ci pensano i colleghi magari suddividendo gli alunni nelle altre classi, oppure arriva un supplente che è già mezzogiorno”.

Tutto questo ci raccontava nel 2010 Franco Fondriest, Direttore dell’8° Circolo didattico di Modena, un dirigente scolastico apprezzato e da sempre impegnato sulla qualità dell’offerta formativa.

Ed ora che è pensione (ma non molla) aggiunge: “Questo accadeva quando sindacati poco lungimiranti, una burocrazia acquiescente e un potere politico clientelare si mettevano d’accordo. Questo sistema moltiplicava le supplenze o i posti di lavoro?

No! Ma ne creava l’illusione, causando disagi a tutti, in particolare agli studenti. Un sindacato responsabile non avrebbe mai accettato, una burocrazia responsabile lo avrebbe subito bloccato, una classe politica responsabile li avrebbe mandati al diavolo in nome dei cittadini”.

Direttore Fondriest, allora è vero che c’è bisogno di riforme urgenti?

“Più che di riforme, ci sarebbe bisogno di una miglior organizzazione del servizio: inizio regolare delle lezioni, insegnanti stabili nelle scuole e nelle classi, insegnanti che si aggiornano, insegnanti che fanno nelle scuole corsi di recupero sia durante l’anno che d’estate, insegnanti incapaci lasciati a casa, classi meno numerose, edifici dignitosi. Forse non ci vorrebbe tanto. Tutte cose da paese normale”.

Ma veniamo al tema più dibattuto. Il dirigente potrebbe risolvere i mali della scuola grazie ai super poteri previsti dal progetto di Riforma e in particolare grazie alla possibilità per il preside di scegliersi maestri e professori?

“Il tema è delicato e necessita di qualche precisazione. Occorre innanzitutto constatare che, attualmente, dopo l’approvazione delle leggi sull’autonomia scolastica, c’è un forte squilibrio tra responsabilità – molte sulla carta, ma poche nella verifica – e poteri – molti sulla carta e quasi nessuno nella realtà – dei dirigenti scolastici. Occorre sicuramente un maggior equilibrio, ma da qui alla chiamata diretta degli insegnanti, c’è il mare. Basterebbe per il momento che, come accade in molte amministrazioni, i trasferimenti in entrata ed in uscita dalle scuole fossero sottoposti al preventivo assenso del dirigente e magari ad una dichiarazione scritta di accettazione del piano dell’offerta formativa. Non possiamo guardare ad altri sistemi scolastici europei, in particolare anglosassoni, e trasportali qui in modo automatico ed acritico. Ognuno ha la propria storia. E poi siamo sinceri, di cosa rispondono ora i presidi? Di qualche carta fuori posto o della qualità del servizio? ma su, non scherziamo! I dirigenti delle fabbriche rispondono dei risultati e quindi sono direttamente interessati ad assumere personale qualificato e se le cose non vanno sono i primi a perdere il posto; accade lo stesso nella scuola?”.

Lei non è tenero con i sindacati, che ora chiedono la stabilizzazione di oltre centomila precari.

“No, non lo sono. Dove erano, in passato, tutti quelli che oggi chiedono miracoli a questo governo? Dove erano quando Lei stesso, anni fa, denunciava queste cose? Sinceramente credo che a loro interessi poco dei precari e, forse, poco della scuola. Credo che a loro interessino le tessere – ed il precariato è una buona fucina – ma soprattutto il potere che nella scuola, come in nessuna altra istituzione pubblica, hanno avuto in questi anni. In poche parole, credo che questa, sia da parte di Renzi che da parte dei sindacati, sia una semplice prova di forza i cui contenuti vengono in secondo, anzi, in ultimo piano”.

Ma i sindacati sono i soli ai quali i docenti sanno di potersi aggrappare in questi giorni. Hanno proclamato uno sciopero, poi riuscito e annunciano altre iniziative eclatanti e imminenti. Ci sarà comunque qualcosa di buono nei sindacati. S'immagina davvero un apparato struttura da oltre un milione di lavoratori privi di tutele sindacali?

“Certo, per gli insegnanti, i sindacati sono e dovranno essere un presidio fondamentale; la democrazia si fonda sull’ equilibrio dei poteri; ma non hanno ancora il potere di veto sulle leggi; è giusto che facciano le loro battaglie dimostrando le loro ragioni e convincendone i dubbiosi.

Ma attenzione, sono i sindacati dei lavoratori della scuola, non degli utenti; e i loro interessi non sempre, come vedremo anche più avanti, coincidono, anzi spesso confliggono, con quelli più generali.

Comunque, credo che occorra modificare le norme sullo sciopero, rendendo obbligatoria la dichiarazione preventiva di adesione o meno allo stesso. Cerchiamo di capire come funzionano ora le cose: esso è riconosciuto come servizio pubblico in cui stanno dei minori, quindi gli insegnanti sono invitati a comunicare prima le loro intenzioni, affinchè i dirigenti scolastici possano a loro volta preavvertire le famiglie. Ma attenzione alle parole: perché questa comunicazione ‘deve’ essere fatta ‘volontariamente’, quindi nessuno è obbligato a farlo, come ricordano spesso i sindacati del settore”.

Sì, certo, questo lo stabilisce la legge. E allora?

“E allora una buona parte di insegnanti non comunica nulla, i dirigenti scolastici, non potendo garantire il servizio, lo sospendono e poi, una parte di insegnanti si reca al lavoro – o meglio sul posto di lavoro – , a volte non fa nulla, non perde lo stipendio, ma causa un disservizio alle famiglie. Forse l’ unico caso al mondo in cui chi non sciopera provoca un disagio all’utenza pari a chi sciopera. E’ cosa scandalosa a cui, i sindacati, in particolare quelli confederali, dovrebbero opporsi”.

Secondo Lei, quali sono stati i principali errori dei sindacati della scuola negli ultimi anni?

Domanda difficile e risposta complessa; vado per titoli: in generale aver spesso rilanciato al ribasso: più personale e bassi stipendi; appiattimento salariale; e poi pensi all’ aggiornamento, reso un diritto e non un dovere in un contratto di una quindicina di anni fa; una follia inaccettabile, una vergogna, che un sindacato responsabile avrebbe dovuto rigettare in nome della dignità dei lavoratori.

Un dovere che, giustamente, Renzi ha rimesso al posto giusto

E delle preannunciate forme di lotta, cosa pensa?

“Sono contrario allo sciopero degli scrutini. Comunque, se sarà approvata, questa è una legge – non un contratto di lavoro – e come tale va rispettata. Punto e basta. Questo vale per gli insegnanti come per i giudici. Aggiungo che dovrebbero anche esserci severe sanzioni per i docenti che non hanno somministrato le prove Invalsi o che hanno invitato gli alunni a sottrarsi alle prove stesse. Gli educatori devono, innanzitutto, dare esempio di rispetto delle norme anche quando queste non rispondono completamente alle loro convinzioni. Se poi le norme dello Stato non piacciono, esiste sempre la possibilità di provare, per via democratica, a cambiarle, o, se proprio ci sono problemi gravi di coscienza, di licenziarsi”.

Ma Lei non è tenero neanche con il governo Renzi.

“No, credo che abbia sbagliato molto. Premetto innanzitutto che penso che sarebbe auspicabile che le riforme della scuola, come quelle istituzionali, fossero più condivise con le diverse forze presenti in parlamento. Comunque, questo, oramai da decenni non accade più e quindi, è inutile insistere. Nella Buona scuola, però, sono confluite in modo disorganico troppi argomenti”.

Quali?

“Innanzitutto il problema dei precari, che giustamente richiedono la stabilizzazione. Un problema, ricordiamolo, non causato da questo governo, ma dalle inerzie e complicità di tanti (anche di quelli che ora gridano) nel passato”.

Poi?

“Poi c’è la questione dell’autonomia e della dirigenza, temi molto complessi, anche vedendo le esperienze di altri paesi.

E ancora?

“E altri provvedimenti come il – giusto – potenziamento di alcune materie.

Quindi il governo farebbe bene a fare una retromarcia?

No, penso che sarebbe bene apportare alcune necessarie correzioni, in primis la chiamata diretta degli inseganti e poi, se questo disegno del governo avrà la maggioranza nei due rami del Parlamento, andare avanti rapidamente. Al contrario c’è solo la palude”.

Intanto, oltre al Ddl in dirittura d’arrivo, il governo ha in mano molte deleghe. Tra queste, quella sull’orario di lavoro dei docenti, altro nervo scoperto.

“Penso che in una ottica di riforma, occorrerebbe metter mano ai diritti e doveri dei docenti, in particolare, occorre prevedere una rimodulazione degli obblighi di presenza degli insegnanti, anche per poterli impegnare per supplenze brevi e per veri corsi di recupero, anche estivi, per gli alunni in difficoltà”

Insisto, questo è un tema spinoso. Si spieghi meglio.

“Serve un orario di lavoro onnicomprensivo di 36 ore settimanali per 47 settimane, da distribuire, come monte ore, nel corso dell’anno, fermo restando l’orario di insegnamento che, quindi, non dovrà essere aumentato. Si dovrebbe prevedere un ragionevole aumento di stipendio, in quanto verrebbe riconosciuto il disagio di dover fare nelle scuole quello che – alcuni? tutti? – fanno , o dicono di fare, a casa. Agli insegnanti che hanno materie con scritti si potrebbe dare un abbuono di un certo numero di ore settimanali per attività individuali, a seconda delle materie insegnate e delle classi assegnate”.

Siamo al limite della provocazione, mi pare. Non ci sono alternative più soft?

“In alternativa, da subito, vedrei una differenziazione stipendiale tra gli insegnanti che hanno compiti scritti da correggere a casa e gli altri e comunque, istituirei un ‘monte orario annuale’ pari a 18 ore per 47 settimane, da distribuire secondo esigenze in non meno di dieci mesi, quindi chi vuole fare vacanze lunghe, deve lavorare di più durante l’anno scolastico. Il nuovo sistema orario potrebbe essere opzionale per i vecchi ed obbligatorio per i nuovi. In questo modo si porrebbe fine all’idea che l’insegnamento sia un mezzo lavoro per mezze mamme-casalinghe, magari con la possibilità di andare in pensione – una volta! – dopo 15 anni di lavoro, in cui erano compresi i periodi di gravidanza, puerperio, malattie, nonché di studi universitari. Potrebbe essere l’occasione, con orari a tempo pieno e stipendi adeguati, per riportare a scuola gli uomini, che ora rappresentano meno del 20 per cento dei docenti. Questo provvedimento sì che potrebbe essere un vero incentivo a chi nella scuola vuole impegnarsi, altro che il premio al merito…”.

E magari più che premiare i docenti meritevoli Lei sarebbe favorevole alla rimozione di quelli non meritevoli…

“Occorre rendere più realizzabile la licenziabilità o lo spostamento d’autorità ad altre mansioni, dei docenti che, per vari motivi, non siano più in grado di svolgere dignitosamente il proprio lavoro. Stessa cosa, ma ancor più severa, nei confronti dei dirigenti incapaci. Occorre pensare a dei percorsi che assicurino nel contempo, garanzia al personale, ma tempestività degli interventi. Premiare i ‘bravi insegnanti’ non pare una un’idea geniale; la scuola è comunità professionale e la differenziazione di merito non credo possa servire a migliorare il clima. Ai bravi inseganti, basterebbe già che venissero tolti di mezzo coloro che non lo sono più”.

Un altro tema spinoso riguarda la mobilità. Il 22 per cento dei docenti ogni anno cambia scuola.

“Occorre eliminare tutti gli accordi che prevedono facili mobilità, garantendo prioritariamente la continuità didattica per tutti gli alunni, in particolare quelli handicappati”.

Mi pare che il governo stia seguendo questa strada…

“Pare, vedremo… Ma qui occorre proseguire il ragionamento sul ruolo dei sindacati della scuola. Essi, a differenza di quanto a volte sostengono, non rappresentano gli interessi dei cittadini e della comunità, ma – giustamente – quelli dei lavoratori. E tali interessi non sempre coincidono, anzi spesso confliggono. Quello della mobilità è un esempio classico: agli insegnanti (giustamente) interessa lavorare vicino a casa e, a volte, in scuole non difficili. Alla comunità interessa che gli insegnanti siano stabili e che i più bravi siano collocati (anche con premi economici) nelle scuole più difficili”.

Lo Stato ha un debito di riconoscenza verso i precari della scuola, abusati per anni e anche per decenni. E Lei ha sostenuto che gli insegnanti precari dimostrano una flessibilità mentale straordinaria dovendosi adattare ogni anno a contesti diversi. E’ ancora di questa opinione?

Certo che lo sono, ma penso anche che sia giunta l’ora di darci un taglio netto. Va bene essere flessibili, ma ora basta.

E’ ora di fare e di dare giustizia.

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