Dottorato di ricerca, in caso di proroga: nessun trattamento economico previdenziale e di quiescenza

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Se un dipendente ottiene il congedo per dottorato di ricerca e questo viene prorogato, alla scadenza ordinaria, dall’Università, ha diritto o meno a conservare il trattamento economico, previdenziale e di quiescenza in godimento da parte dell’amministrazione pubblica presso la quale è instaurato il rapporto di lavoro?

Risponde, a ciò, in modo negativo, la Cassazione Civile Sent. Sez. L Num. 432 del 2019

Fatto

Un dipendente ammesso a frequentare presso il Politecnico di Torino un dottorato di ricerca, per il quale non era prevista borsa di studio, aveva chiesto all’ente datore di lavoro l’aspettativa retribuita ai sensi dell’art. 2 della legge n. 476/1984 e la domanda era stata accolta, nella quale era stato precisato che l’aspettativa doveva ritenersi riferita a «tutto il periodo del dottorato». Il regolamento del Politecnico prevedeva che potesse essere concessa la proroga di un anno per il completamento dell’attività didattica e di formazione, proroga che nella specie era stata disposta dal competente Collegio dei Docenti. Sull’interpretazione di questo dispoto, si arrivava ad un contenzioso in Tribunale. La Corte territoriale di Torino ha evidenziato che la disciplina normativa prevede la conservazione del trattamento economico, previdenziale e di quiescenza per l’intero periodo di durata del corso, che nella specie doveva essere ritenuto quadriennale e non triennale, in quanto, da un lato, la possibilità della proroga era contemplata fin dall’origine dal regolamento dell’ateneo, dall’altro l’aspettativa era stata riconosciuta fino al conseguimento del dottorato. Pertanto doveva ritenersi illegittima la condotta dell’amministrazione la quale aveva escluso che per l’anno di proroga potessero essere riconosciuti i benefici previsti dalla legge ed aveva anche sanzionato il dipendente ritenendo ingiustificata l’assenza protrattasi per tutto il periodo della proroga.

La Normativa

L’art. 2 della legge n. 476 del 1984, nel testo originario, si limitava a prevedere che «Il pubblico dipendente ammesso ai corsi di dottorato di ricerca è collocato a domanda in congedo straordinario per motivi di studio senza assegni per il periodo di durata del corso ed usufruisce della borsa di studio ove ricorrano le condizioni richieste. Il periodo di congedo straordinario è utile ai fini della progressione di carriera, del trattamento di quiescenza e di previdenza.». La norma è stata modificata dall’art. 52, comma 57, della legge n. 448/2001 che ha inserito, nel primo comma del citato art. 2, due nuovi periodi, prevedendo che «In caso di ammissione a corsi di dottorato di ricerca senza borsa di studio, o di rinuncia a questa, l’interessato in aspettativa conserva il trattamento economico, previdenziale e di quiescenza in godimento da parte dell’amministrazione pubblica presso la quale è instaurato il rapporto di lavoro. Qualora, dopo il conseguimento del dottorato di ricerca, il rapporto di lavoro con l’amministrazione pubblica cessi per volontà del dipendente nei due anni successivi, è dovuta la ripetizione degli importi corrisposti ai sensi del secondo periodo». Sulla disposizione il legislatore è nuovamente intervenuto con la legge n. 240 del 2010, art. 19, comma 3, che ha inserito al primo periodo, dopo le parole «è collocato a domanda» l’inciso «compatibilmente con le esigenze dell’amministrazione». Solo a partire dal 2 gennaio 2011, data di entrata in vigore della legge n. 240/2010, è stato consentito alle amministrazioni di valutare la domanda di congedo inoltrata dal dipendente ammesso alla frequenza di corsi di dottorato ed eventualmente di respingerla, valorizzando le esigenze organizzative proprie dell’ente.

Sul concetto di proroga

Il decreto ministeriale in parola, di natura regolamentare, da un lato prevede, all’art. 6, intitolato “durata dei corsi e conseguimento del titolo”, che «per comprovati motivi che non consentano la presentazione della tesi nei tempi previsti, il rettore, su proposta del collegio dei docenti, può ammettere il candidato all’esame finale in deroga ai termini fissati»; dall’altro stabilisce, all’art. 7, che «la durata dell’erogazione della borsa di studio è pari all’intera durata del corso». La proroga, pertanto, che ha carattere individuale e riguarda il termine entro il quale deve essere sostenuto l’esame finale, non incide sulla durata legale del corso, che resta quella originariamente fissata, né dà titolo a pretendere la borsa di studio, che, anche in considerazione delle modalità di formazione dei fondi sui quali la stessa grava, è necessariamente ancorata alla durata curriculare e non può risentire di proroghe individualmente concesse. E’ evidente, allora, che al dipendente che non fruisca della borsa di studio non può essere riconosciuto un diritto negato al borsista, perché, ove si aderisse alla tesi fatta propria dalla Corte territoriale, si finirebbe per andare oltre le finalità che avevano ispirato l’intervento del 2001 e per alterare quel bilanciamento di opposti interessi sul quale la normativa si fonda, già posto in rilievo dalla sentenza n. 10695/2017.

Dottorato di ricerca, in caso di proroga, no al trattamento economico previdenziale e di quiescenza.

Questo il principio di diritto espresso dalla Cassazione

«l’art. 2 della legge n. 476/1984, come modificato dall’art. 52, comma 57, della legge n. 448/2001, in caso di ammissione ai corsi di dottorato di ricerca, riconosce il diritto soggettivo del dipendente pubblico ad essere collocato in aspettativa ed a conservare il trattamento economico previdenziale e di quiescenza in godimento presso l’amministrazione di appartenenza per il solo periodo di durata normale del corso, con esclusione della proroga, anche se autorizzata secondo il regolamento di ateneo»

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