Docenti offesi o aggrediti da colleghi, genitori o dirigenti: cosa fare? Denuncia, querela e risarcimento danni. Guida

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Docenti offesi da colleghi, genitori o dirigenti: se non siamo in una vera e propria emergenza, poco ci manca.

In una società dove il senso del rispetto è venuto meno, i primi a pagare ciò sono coloro che risultano essere maggiormente esposti, più vulnerabili, grazie anche ad un sistema che nel corso del tempo ha indebolito la figura del docente, trasformandola da professoressa, da maestra, da professore, da maestro, a semplice impiegato pubblico. Impiegato pubblico in balia di una clientela, ergo le famiglie, a cui tutto pare essere spesso dovuto e quando questo dovuto viene meno, viene messo in discussione, ecco partire le aggressioni. E di aggressioni ve ne sono state a decine se non a centinaia nel corso di questo ultimi decenni.

Sarebbe il caso di valutare di concerto con il MIUR l’adozione di protocolli volti a salvaguardare l’incolumità psicofisica del personale scolastico che è probabilmente, nell’esercizio delle proprie funzioni, il pubblico ufficiale, meno rispettato in Italia, in quanto tale.

Cosa fare in caso di aggressione subita?

Le aggressioni possono essere di varia natura. Fisiche e verbali. Si può andare dalla minaccia, all’intimidazione, dall’ingiuria, che è stata depenalizzata, all’oltraggio a pubblico ufficiale, alla diffamazione, per arrivare alle lesioni personali. Una pluralità di condotte offensive ed illecite sono possibili. L’aggredito/a dovrà produrre come prima cosa una relazione da porre all’attenzione della Dirigenza scolastica, perché l’Istituzione scolastica sia messa al corrente di quanto accaduto. Nessun episodio va minimizzato e sottovalutato, perché spesso, è proprio dalla sottovalutazione dell’episodio che poi si arriva a ben altre conseguenze.

Denuncia

La denuncia, come riporta il sito dei Carabinieri, “ da parte dei privati è l’atto con il quale ogni persona porta a conoscenza dell’autorità – pubblico ministero o ufficiale di polizia giudiziaria (e non anche un agente) – un reato perseguibile d’ufficio del quale ha notizia. Nella generalità dei casi la denuncia è facoltativa ed è obbligatoria nei casi espressamente previsti dalla legge. La denuncia può essere presentata in forma orale o scritta. Nel primo caso l’ufficiale di polizia giudiziaria – o il pubblico ministero – redige verbale, mentre nel secondo l’atto dovrà essere sottoscritto dal denunciante o da un suo procuratore legale. Per la denuncia da parte dei privati non è previsto un contenuto formale tipico e il denunciante può limitarsi alla semplice esposizione del fatto. Quando la denuncia è facoltativa non è previsto alcun termine per la sua presentazione, mentre nei casi di denuncia obbligatoria apposite disposizioni stabiliscono il termine entro il quale essa deve essere fatta. La persona che presenta una denuncia ha diritto di ottenere attestazione della ricezione.

Querela

La querela , ricorda sempre il detto sito, “è la dichiarazione con la quale – personalmente o a mezzo di procuratore speciale – la persona offesa dal reato o il suo legale rappresentante chiede espressamente che si proceda in ordine ad un fatto previsto dalla legge come reato (ossia fa richiesta di punizione) per il quale non debba procedersi d’ufficio o dietro richiesta o istanza. La querela configura una condizione di procedibilità, ma contestualmente contiene l’informazione sul fatto-reato. La querela va fatta, oralmente o per iscritto, al pubblico ministero, a un ufficiale di polizia giudiziaria o, all’estero, a un agente consolare, e presentata personalmente o a mezzo di procuratore speciale, ma, con sottoscrizione autentica, può essere anche recapitata da un incaricato o spedita per posta in piego raccomandato. L’Autorità che riceve la querela deve provvedere all’attestazione della data e del luogo della presentazione, alla identificazione della persona che propone la querela ed alla trasmissione degli atti all’ufficio del pubblico ministero (art. 347 c.p.p.).
Non sono dettate regole particolari in ordine al contenuto dell’atto di querela. E’ sufficiente, ma anche essenziale, che oltre ad essere indicato il fatto-reato (con ulteriori eventuali notizie circa il suo autore e le fonti di prova) risulti dalla querela la manifestazione non equivoca del querelante affinché si proceda in ordine al fatto-reato medesimo e se ne punisca il colpevole.
Anche chi presenta la querela ha diritto di ottenerne l’attestazione di ricezione (art. 107 att.).
Eccezionalmente, in caso di flagranza di delitto che impone o consente l’arresto (artt. 380 comma 3 e 381 comma 3), la querela può essere proposta (anche con dichiarazione orale) ad un agente – anziché ad un ufficiale di polizia giudiziaria – presente nel luogo. Nel verbale di arresto va dato atto della dichiarazione di querela.”

La querela va presentata entro tre mesi

Il diritto di querela deve essere esercitato, a pena di decadenza, entro tre mesi dal giorno della notizia del fatto che costituisce reato. Il termine è di sei mesi quando si tratta di delitti contro la libertà sessuale (violenza sessuale non di gruppo poiché, per questa, si procede d’ufficio – o atti sessuali con minorenne: artt. 609-bis, ter, quater del c.p., art. 609 septies comma 2 c.p.).

Qualifica di pubblico ufficiale e oltraggio a pubblico ufficiale

Ci si deve ricordare che il personale scolastico nell’esercizio delle proprie funzioni è pubblico ufficiale. Cosa che il docenti dovrebbero ben ricordarsi e dovrebbero ben ricordarselo anche le famiglie o gli studenti, cosa che forse possono anche ignorare. Ed è bene che la scuola ciò lo faccia sempre ben presente.

La Cassazione V Penale n. 15367 del 2014 ha trattato un caso riguardava una docente soggetta ad offese, ma il reato giusto veniva qualificato in oltraggio a pubblico ufficiale. E’ noto che, disposta l’abrogazione degli articoli 341 e 344 cod. pen., per effetto dell’articolo 18 della legge 25 giugno 1999, n. 205, il delitto di oltraggio è stato nuovamente introdotto nell’ordinamento a seguito della legge n. 94 del 2009, che ha però delineato una nuova figura di illecito, caratterizzato sotto il profilo della condotta materiale da un’azione consistente nell’offesa dell’onore e della reputazione della vittima, con la pretesa però di ulteriori requisiti oggettivi, in precedenza non richiesti.

Tali elementi possono essere così sintetizzati:l’offesa all’onore e al prestigio del pubblico ufficiale deve avvenire alla presenza di più persone; deve essere realizzata in luogo pubblico o aperto al pubblico; deve avvenire in un momento, nel quale il pubblico ufficiale compie un atto d’ufficio ed a causa o nell’esercizio delle sue funzioni.

Nel caso di specie, al di là dell’articolo di legge indicato nel capo di imputazione, tali elementi sussistevano, poiché le offese furono pronunciate nei locali scolastici, in modo tale da essere percepite da più persone; inoltre l’insegnante di scuola media è pubblico ufficiale (Sez. 3, n. 12419 del 06/02/2008, Zinoni, Rv. 239839) e l’esercizio delle sue funzioni non è circoscritto alla tenuta delle lezioni, ma si estende alle connesse attività preparatorie, contestuali e successive, ivi compresi gli incontri con i genitori degli allievi (Sez. 6, n. 4033 del 15/12/1993 – dep. 07/04/1994, Tulina, Rv. 197966; Sez. 6, n. 6587 del 05/02/1991, Dilavanzo, Rv. 187437).

Offese tra colleghi

“La divulgazione di valutazioni e commenti non oggettivi e “partigiani”, se ammessa, deve pur sempre fondarsi sull’attribuzione di fatti veri, non essendo ammissibile che una interpretazione soggettiva, fonte di discredito, tragga le sue premesse da una prospettazione dei fatti non veritiera (Sez. 5, n. 7419 del 03/12/2009 – dep. 24/02/2010, Rv. 246096). Nel prosieguo, le parti offese vengono definite “povere infelici” e ” povere sciocche persone”. L’attribuzione di tali epiteti non può essere ricondotta all’espressione di un motivato dissenso, da parte di una insegnante, rispetto alla attività delle colleghe, in quanto ha certamente trasceso in un attacco personale lesivo della dignità delle antagoniste. I termini impiegati, infatti, soltanto apparentemente sono volti a manifestare compassione per le colleghe (vittime di una cultura camorristica e povere donne) ma, in realtà, ne svalutano grandemente la figura professionale ed umana e le qualificano, come si è detto, portatrici di una cultura di illegalità. Cassazione Sent., (ud. 05-12-2017) 16-02-2018, n. 7754

In casi come questi, oltre che procedere tramite le canoniche vie penali, od eventualmente quelle nelle sedi civili, o costituendosi parte civile in qualità di persona offesa, od intraprendendo autonomamente azione civile, va il tutto segnalato anche alla dirigente scolastica per iscritto, perché possa valutare l’adozione di eventuali procedimenti disciplinari. Il rispetto, prima di tutto, deve essere manifesto tra colleghi e colleghe. Altrimenti, come si può pretendere che questo arrivi da terzi? Il Codice di Condotta della PA è chiaro sin dal suo primo articolo: Il dipendente osserva la Costituzione, servendo la Nazione con disciplina ed onore e conformando la propria condotta ai principi di buon andamento e imparzialita’ dell’azione amministrativa. Il dipendente svolge i propri compiti nel rispetto della legge, perseguendo l’interesse pubblico senza abusare della posizione o dei poteri di cui e’ titolare.

Si possono conseguire risarcimenti danni in caso di affermazioni diffamatorie e denigratorie

Come detto, si possono conseguire due vie. Quella ordinaria che passa dall’esercizio della querela, da esercitarsi entro tre mesi a pena di decadenza ed in caso di rinvio a giudizio di costituirsi poi come parte civile. Oppure, tutelarsi secondo l’art. 2947 c.c. «il diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito si prescrive in cinque anni dal giorno in cui il fatto si è verificato» e, «in ogni caso, se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applica anche all’azione civile».

Come ha sottolineato la Cass. civ. Sez. III, 12/04/2018, n. 9059 “la Corte ha accolto il ricorso avanzato da una insegnante di scuola elementare nei confronti del padre di un suo alunno, il quale aveva reiteratamente rivolto alla docente affermazioni diffamatorie e denigratorie, attribuendole di avere tenuto comportamenti particolarmente gravi nei confronti dei bambini (accuse poi rivelatisi insussistenti), e contestando in modo offensivo il metodo educativo e didattico da essa adottato nei confronti degli scolari”. Il Giudizio si è concluso con la condanna di quest’ultimo al risarcimento di tutti i danni non patrimoniali dalla medesima patiti, cagionati dalla lesione della reputazione, dell’onore e della dignità dell’insegnante, ossia di valori e principi di rango sia costituzionale che sovranazionale).

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