Docenti in pensione a 62 anni, insegnare è usurante. Intervista

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Quando si arriva a stare in cattedra dopo i sessant’anni non si può più garantire un rapporto di qualità con gli studenti. La differenza di età è incolmabile e lo stato fisico dei docenti è logoro.

A sollevare il problema di un ritiro dal lavoro anticipato rispetto ad altre attività è una professoressa della provincia di Udine, Mariagrazia Molaro, docente di sostegno in una scuola secondaria di primo grado.

La professoressa aveva posto il problema della pensione anticipata senza penalizzazioni proprio per i docenti che lavorano con uno studente con disabilità. In pratica si tratterebbe di considerare come attività usurante il lavoro dell’insegnante di sostegno, ma non solo per loro.

Io credo che a 62 o 63 anni sia l’età in cui un docente debba andare in pensione.

Sta parlando solo di chi fa il sostegno?

No. Questo vale per chi lavora nelle scuole di ogni ordine e grado. Sevcondo me c’è un abisso generazionale fra allievi e insegnanti che va a scapito della qualità del lavoro. Non si riesce a percepire il cambiamento reale delle nuove generazioni. Parliamo di una differenza di tre o addirittura quattro generazioni fra chi sta al banco e chi sta in cattedra.

Ma per il docente di sostegno, il discorso vale a maggior ragione…

In questi casi c’è una fatica doppia: a livello psicologico e a livello fisico. Molti di questi bambini, soprattutto con disabilità gravissime, necessitano di cure e attenzioni particolari e assorbono tanta energia fisica. Solo in questo modo si può dare un aiuto veramente qualitativo. Per loro la pensione dovrebbe essere anticipataLe dico la verità. Fino a oggi, che devo compiere 61 anni ho potuto fare un lavoro qualitativamente buono, perché la salute mi ha assistito. Ma quando si supera una certa età, può capitare di tutto a livello fisico anche all’insegnante. Ma non si tratta solo di questo.

E di cos’altro?

C’è tutto l’insieme fatto di burocrazia e di tecnologia che ci rende fuori luogo. A sessantadue anni è difficile destreggiarsi con i nuovi dispositivi, i registri elettronici, lavagne Lim, e tutto il resto che la tecnologia offre oggi. Noi formiamo la classe del futuro, la qualità dell’insegnamento è importantissima.

Per questo non è opportuno per il sistema che un docente, non solo quello di sostegno, non resti in cattedra così a lungo?

Certo. Questo è il quadro complessivo per il quale si dovrebbe prevedere un’età anticipata per la pensione degli insegnanti. Sul sostegno, invece, diventa proprio un problema di energia fisica che negli anni non è più la stessa. Tu vorresti dare di più e invece ti rendi conto che non sei più la stessa persona di quando eri giovane. A livello psicologico si può rimanere giovani anche novant’anni, ma la carrozzeria inevitabilmente si usura…

La cattedra mista potrebbe essere una soluzione?

Sì, ma sempre se parliamo di insegnanti giovani. Possono in questo modo praticare anche la loro materia. Soprattutto nei casi di disabilità particolarmente gravi possono alternare le ore di insegnamento della loro materia con quelle da riservare all’attenzione dei ragazzi che vengono loro affidati e dai quali a volte non ci si può distogliere neanche per mezzo secondo. Può capitare che l’insegnante di materia che sceglie la specializzazione sul sostegno arrivi a sentirsi un docente di serie B. La cattedra mista eviterebbe anche questo aspetto.

Quindi ai fini pensionistici la cattedra mista non porterebbe alcun cambiamento?

Una buona soluzione potrebbe arrivare dal tempo ridotto. Ridurre le 18 ore a 12 o qualcosa del genere se proprio non ci sono possibilità di arrivare a un’uscita anticipata senza penalizzazioni.

Secondo lei perché sono stati inseriti fra i lavori usuranti quelli dei maestri d’infanzia e non chi lavora con i disabili?

Questo propri non me lo spiego. Ma ripeto, tutto l’insegnamento è un lavoro usurante. Ha idea di quale energia possano essere animati i bambini delle elementari, gli adolescenti delle medie e i ragazzi che si avviano all’età adulta? È sbagliato pensare che un ragazzo delle superiori sia meno impegnativo. Gli episodi di bullismo, soprattutto quelli più gravi, si verificano nelle scuole di ogni ordine e grado.

Lei si è sempre dedicata al sostengo?

No, io ero insegnante di educazione fisica, con moltissimo precariato e tanti pasticci nel conteggio di quel periodo. Quindi non c’era possibilità di entrare di ruolo e quando mi hanno indicato il percorso per il sostegno sono rimasta titubante, temendo di non essere all’altezza. Il pomeriggio ho fatto corsi di 800 ore, esami, tesi e subito dopo la specializzazione sono passata di ruolo immediatamente. Alcuni miei colleghi sono rimasti precari fino alla graduatoria dello scorso anno. Alcuni di loro hanno ottenuto il ruolo a sessant’anni.

E non ha più tentato di tornare sul posto comune?

Avrei potuto farlo, la legge mi avrebbe consentito di tornare sul posto comune dopo cinque anni.

E invece?

Non l’ho mai chiesto. Il mio percorso nella disabilità è durato 11 anni e in tutto questo tempo mi sono appassionata sempre di più al mio lavoro. Ho avuto tante soddisfazioni, mi sono sentita sempre molto importante, sia per i ragazzi che mi venivano affidati, sia per le famiglie, sia per altri allievi della mia classe e per altri docenti che venivano a chiedermi consigli. Ecco perché non ho mai pensato di tornare a insegnare educazione fisica.

I docenti di sostegno sono soggetti al burnout. Alcuni soffrono anche di episodi depressivi.

Glielo dico io il perché. I docenti di sostegno dovrebbero avere più autostima. Questa invece viene minata troppo spesso e dipende dal livello di adattamento con la disabilità con cui si ritrovano a rapportarsi e che varia di anno in anno. Spesso capita anche che i genitori scarichino sui docenti le loro difficoltà quotidiane. Altre volte possono crearsi tensioni con i colleghi. So di casi in cui docenti curriculari cercavano di imporre il loro modo di insegnamento, senza neanche coinvolgere il docente di sostegno o ascoltare il suo approccio con il bambino. Questo potrebbe diventare molto frustrante.

Lei ha mai avuto episodi di burnout?

No, proprio perché ho sempre avuto la fortuna che uno o due di questi aspetti compensasse quello che mostrava le maggiori fragilità.

Ed è stato un po’ il suo segreto?

Mi è sempre andata bene!

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