Docenti ed ATA assunti da regioni, Donazzan (Veneto): li pagheremo di più [INTERVISTA]

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Intervista esclusiva all’assessore regionale dell’Istruzione, Elena Donazzan. “Tutto previsto, siamo pronti. Attendiamo la contrattazione con le parti sociali”

Elena Donazzan è l’assessore regionale all’Istruzione e al Lavoro della Regione Veneto. A un anno dall’esito del referendum che ha chiesto ed ottenuto il sì dai residenti in Lombardia e Veneto su maggiore autonomia dei servizi, orizzontescuola.it l’ha raggiunta al telefono per spiegare come questa si tradurrà nella scuola.

Perché intendete regionalizzare la scuola in Veneto?

“Per due ragioni. Per prima cosa vogliamo migliorare la qualità organizzativa, partendo dalla copertura dei posti vacanti di personale docente e Ata. Lo sappiamo fare. Gestiamo già delle scuole professionali frequentate da 20mila ragazzi in età della scuola dell’obbligo, tutti in classe senza alcun problema dal primo giorno di lezione. I risultati, grazie al monitoraggio costante, sono più che buoni. Il secondo motivo è di ordine più generale: un anno fa, il Veneto si è espresso attraverso un referendum in favore di una maggiore autonomia. Geograficamente parlando, siamo schiacciati da territori che sono a Statuto speciale: le Province di Trento e Bolzano, più la Regione Friuli Venezia Giulia. Per me Trento è un modello al quale guardare. Lì bandiscono i concorsi, assumono i docenti, li stipendiano e li obbligano a stare lì per almeno cinque anni. Non esiste la degenerazione che c’è a Bolzano, dove con i soldi italiani assumono i docenti che devono sapere il tedesco. Il Veneto è una Regione con i conti in ordine, con ottime performance e servizi di prim’ordine. E’ naturale chiedere di più, perché abbiamo dimostrato di sapere fare di più. Semplice.”

Anche l’organico di dirigenti, docenti e personale Ata passerà alle dipendenze della Regione?

“E’ la nostra richiesta, ma non si risolve dall’oggi al domani perché si aprirà una contrattazione con le parti sociali. Tutto questo, comunque, è già previsto dalla modifica agli articoli 116 e 117 della Costituzione. I decreti Bassanini del 2001 parlavano già di decentramento dei servizi, ivi compreso quello scolastico.”

Come avverrà questo passaggio? Con quali risorse?

“Stiamo contrattando il trasferimento del servizio dallo Stato alla Regione. Le risorse saranno ripartite come già avviene da anni per il fondo della sanità, oppure lo Stato non incasserà i propri tributi e li farà incassare alla Regione che ne trasferirà solo una parte a Roma. A quel punto si guarderà alla spesa storica – prendendo un determinato momento storico o dal bilancio precedente – e al costo standard di un servizio. Per esempio, le prestazioni di Scuola Primaria hanno un costo differente rispetto a quelle di un Liceo e così via. Si guarda al numero degli istituti oggi statali e il conto sarà presto fatto.”

C’è chi dice che così si rischia una scuola di serie A e un’altra di serie B…

“Sì, se non s’inverte la rotta attuale. Ma questo aspetto riguarda tutti i servizi erogati della Regioni. Sarà un caso, ma è risaputo che le Regioni del Nord sono ben amministrate e quelle del Sud – a parte qualche eccezione – non lo sono. Purtroppo l’Italia si sta spaccando sulla gestione amministrativa dei territori. Io non credo che tutte le Regioni possano sostenere i costi che l’autonomia richiede. Quindi occorre dare di più a chi ha dimostrato negli anni di sapere amministrare e meno a chi è peggiore. Vi pare giusto che la Regione siciliana sia dietro a tutti i parametri e dati oggettivi di buona amministrazione e nel contempo goda dei privilegi che le assegna lo Statuto speciale? Io dico di no!”

I docenti lamentano bassi stipendi. Se e quando sarà, li pagherete di più?

“La risposta è sì. Nella Scuola Primaria, che per tanti motivi io reputo la più importante fra tutti i cicli scolastici, lo stipendio netto di un insegnante è di 1.200-1.300 euro al mese. Un modello che non può reggere. Infatti è scomparsa quasi del tutto la figura del maestro, proprio perché molti uomini si rifiutano di lavorare con compensi simili e preferiscono fare altro. A risentirne è il modello educativo, con la bilancia che pende fortemente verso l’insegnamento da parte di figure femminili. Ma la società che poi trovano i ragazzi crescendo è formata da donne e uomini, non soltanto da donne. A prescindere da questioni di genere, maestre e maestri andrebbero pagati di più, stimati di più perché la loro professione è strategica per il futuro del Paese. Solo da noi, per anni è stata portata avanti una follia sul piano delle regole sul lavoro: l’assunzione “con riserva”. Altrove i diplomati magistrali sarebbero persone encomiabili, da noi li licenziano”.

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