Docenti a rischio patologie pschiatriche e tumorali. Ne parliamo con Lodolo D’Oria

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di Eleonora Fortunato – Tra le ‘professioni di aiuto’, il lavoro dell’insegnante sembra essere il più esposto al rischio di patologia psichiatrica. Ma non solo: anche le malattie tumorali potrebbero nascere da un meccanismo legato allo stress psico-fisico.

di Eleonora Fortunato – Tra le ‘professioni di aiuto’, il lavoro dell’insegnante sembra essere il più esposto al rischio di patologia psichiatrica. Ma non solo: anche le malattie tumorali potrebbero nascere da un meccanismo legato allo stress psico-fisico.

Il condizionale è d’obbligo in assenza di uno studio epidemiologico vero e proprio, che lo né lo Stato né i Sindacati sono interessati a promuovere. Come mai? “Troppa è la paura di ottenere risultati sconvolgenti che richiederebbero un costoso intervento immediato”.

Forse è in crisi lo stereotipo secondo cui i docenti svolgono una professione privilegiata, ma non sono sicuramente in molti a sospettare che lo stress causato dal lavoro tra i banchi sia responsabile, a detta di numerosi e autorevoli studi scientifici, di gravi patologie psichiatriche o di forme tumorali conseguenti all’immunodepressione da stress cronico. Eppure nel nostro Paese c’è su questo argomento un silenzio assordante: non ne parlano i sindacati, ne parlano poco le associazioni professionali. Da parte della medicina del lavoro sono stati numerosi nell’ultimo decennio i tentativi di rendere le istituzioni sensibili a questo argomento (anche perché le casse dello Stato ne risentono), stimolando per prima cosa la corretta informazione dei docenti, ma i passi in avanti sono stati davvero pochi. Abbiamo intervistato un’autorità in materia, Vittorio Lodolo D’Oria, già rappresentante INPDAP del Collegio Medico per l’Inabilità al Lavoro della ASL di Milano e autore di numerosi studi scientifici e pubblicazioni.

E’ radicata nel nostro Paese l’idea che quella dell’insegnante sia una ‘missione’ piuttosto che una ‘professione’, quindi se ti viene l’esaurimento è perché in fondo non sei tagliato per quel lavoro, in sostanza non sei un bravo insegnante. E’ d’accordo con questa sintesi o ha un’opinione diversa?

“Più semplicemente possiamo dire che sono duri a morire gli stereotipi di sempre: l’insegnante lavora mezza giornata, fa tre mesi di vacanze all’anno (molti sostengono trattarsi di convalescenza più che di vacanza), non guadagna tantissimo ma fruisce di un posto pubblico sicuro. Di conseguenza non rompa tanto le scatole e tenga bene a mente che tanti vorrebbero prenderne il posto (c’è una lunga coda di supplenti). Più o meno questa è il comune sentire odierno”.

Quali sono gli ultimi dati o studi che meglio fotografano la situazione attuale?

“Non disponiamo di dati nazionali sul disagio psichico dei docenti, a differenza di altri Stati come l’Inghilterra e la Francia, tuttavia possiamo affermare, senza tema di smentita, che la percentuale di diagnosi psichiatriche delle realtà finora osservate supera tra gli inidonei il 70%, mentre le disfonie croniche (unica patologia riconosciuta come professionale tra i docenti) oscilla intorno al 12-13%. Quindi si incappa nel paradosso che la patologia che presenta un’incidenza 5 volte minore è riconosciuta come imputabile alla professione, mentre l’altra è del tutto misconosciuta”.

In un suo studio recente è arrivato alla conclusione che anche gli stessi docenti italiani hanno scarsa consapevolezza dei rischi che la professione comporta per la loro salute. Lo studio evidenziava anche la necessità dell’azione informativa, per aiutarli a riconoscere anzitempo le forme patologiche derivanti dallo stress-lavoro-correlato. A che punto siamo? Quale iter propone per affrontare questa ‘emergenza’ da un punto di vista normativo?

“Purtroppo gli stessi insegnanti sono completamente digiuni circa i rischi cui è sottoposta la loro salute. Non dobbiamo dimenticare che gli stereotipi di cui sopra affliggono tutta l’opinione pubblica, ma questa è composta anche dal milione di insegnanti italiani della scuola pubblica, privata, di ruolo e precari. Per questa ragione l’azione informativa sugli insegnanti (I livello) è fondamentale: occorre erudirli sui rischi professionali e sulle relative patologie, sui diversi livelli di predisposizione personale ai rischi, sui segni e sintomi del disagio psichico, sulle reazioni di adattamento positive e negative etc. Importantissimo istruire i docenti (II livello) anche sui diritti e doveri contrattuali a loro disposizione per tutelare la salute quali l’accertamento medico in CMV (a domanda o d’ufficio), nonché il ricorso alla commissione medica di seconda istanza. Non va poi tralasciato l’intervento sui dirigenti scolastici (III livello) che devono essere supportati negli innumerevoli adempimenti medico-legali dell’art. 28 del D.L. 81/08 a tutela della salute del lavoratore e dell’incolumità dell’utenza. L’unico studio nazionale operato con l’ANP alcuni anni fa in materia dimostrò che il solo 0,7% dei quasi 1.500 dirigenti era a conoscenza dell’uso dell’accertamento medico in CMV. Quello studio fu presentato in sala stampa a Montecitorio ma non ebbe alcuna eco. Per tutti questi motivi sono solito sottoporre una proposta di collaborazione standard su tutti i tre livelli a tutte le scuole che vogliono affrontare compiutamente la prevenzione dello stress-lavoro-correlato nei docenti”.

Come sono stati i finanziamenti in questi anni?

“Vedo che col D.L. 104 /13 convertito in legge si sono trovati fondi per finanziare corsi di indottrinamento dei docenti sull’ideologia del gender, ma per la prevenzione dello stress-lavoro-correlato nemmeno un solo euro. Una volta approvato il D.L. 81/08 ci si sarebbe aspettati un congruo stanziamento di fondi: l’attesa fu vana e nemmeno i sindacati protestarono (perché?). Tutti sappiamo che la prevenzione costa, eppure non vi fu la volontà nemmeno di effettuare semplici ricerche epidemiologiche su base nazionale. Basterebbe raccogliere e aggregare i dati provenienti dalle CMV provinciali e regionali, ma troppa è la paura di ottenere risultati sconvolgenti che richiederebbero un costoso intervento immediato”.

Quanti permessi per malattia derivante da stress o depressione ci sono annualmente?

“Le posso dire solamente quello che mi attendo (ma potrebbe essere di più) e cioè l’80%. In linea con i dati giapponesi che vedevano crescere le diagnosi psichiatriche del 2% all’anno dal 1995 al 2004”.

La legislazione non riconosce la professione docente come ‘usurante’, quindi la depressione e l’esaurimento non sono considerate ‘malattie professionali’, è esatto?

“E’ esatto. Gli studi epidemiologici ci aiuterebbero a capire se possiamo considerare a tutti gli effetti la patologia psichiatrica come “patologia professionale”. Al momento l’unico studio probante tale ipotesi è la pubblicazione su La Medicina del Lavoro N° 5/04 che mise a confronto quattro categorie professionali (personale medico, docenti, colletti bianchi e colletti blu)”.

E’ importante l’autodiagnosi?

“E’ consigliabile che i docenti effettuino l’autovalutazione e non l’autodiagnosi. La diagnosi è bene lasciarla al medico, mentre è fondamentale che il docente sia consapevole del livello di rischio di stress cui è esposto. Facciamo un esempio. Posto che tutti i docenti hanno un alto rischio di esposizione professionale poiché svolgono una helping profession, restano da vagliare due ulteriori settori: la vita di relazione (tutto l’ambito extraprofessionale) e l’anamnesi familiare (corredo genetico). Ne discende ovviamente che il docente è tanto più a rischio di stress quanto più sono “dissestate” anche le rimanenti dimensioni extraprofessionali. Si pensi a una docente con problemi familiari (es. che si sta separando dal marito) e con genitori affetti da depressione maggiore. Ne approfitto per chiarire un’altra importante questione terminologica: lo stress-lavoro-correlato non è lo stress determinato dal lavoro, bensì lo stress che io esercito sul lavoro a prescindere dai fattori che lo determinano. L’alunno preso a schiaffi dalla maestra stressata per questioni sue personali extralavorative è da considerarsi stress-lavoro-correlato proprio perché l’episodio si è svolto in ambiente lavorativo: prova ne sia che la docente e il dirigente saranno chiamati a risponderne legalmente”.

Si potrebbe mettere sotto accusa lo scarso prestigio sociale degli insegnanti, ma alcuni dati mostrano che anche nei Paesi dove la figura dei docenti gode di una maggiore considerazione le cose non vanno affatto meglio (come in Italia, anche in Germania e Regno Unito oltre la metà dei pensionamenti anticipati per motivi di salute è conseguente a una diagnosi psichiatrica; in Giappone le assenze per malattia causate da una diagnosi psichiatrica sono passate dal 35 al 55 per cento in dieci anni). Lei che idea ha, pensa che ci sia una correlazione tra questi due aspetti?

“Come la malattia professionale dei minatori era la silicosi, così la patologia psichiatrica è quella dei docenti. E questo a prescindere dagli stereotipi, dal prestigio sociale, dal disinteresse ministeriale o da altre facezie, ma semplicemente perché quella dell’insegnante è una professione di relazione e le relazioni bruciano energie psichiche”.

Francia (2006) e Regno Unito (2009) hanno rilevato che il tasso suicidario tra gli insegnanti è il più alto in assoluto se comparato con quello dell’intera popolazione. L’Italia raccoglie dati in proposito?

“Spiace ribadirlo, ma ancora una volta il governo italiano è inadempiente, latitante. In 22 anni (dal ’92 ad oggi) sono state effettuate 5 riforme previdenziali, passando dalle baby-pensioni ai 67 anni di anzianità: il tutto senza aver mai fatto una valutazione della salute della categoria professionale dei docenti. Tutto in barba ai D.L. 626/94 prima e 81/08 poi.  Oggi urge effettuare ricerche epidemiologiche non solo sui casi di suicidio, ma anche sull’incidenza delle patologie psichiatriche e di quelle neoplastiche nei docenti. Queste ultime sembrano essere determinate da un preciso meccanismo patogenetico: depressione-immunodepressione-controllo inefficace delle cellule tumorali. Lo studio americano recentemente pubblicato in California lancia un potente allarme evidenziando un’alta incidenza di tumore al seno tra le docenti”.

Come mai i sindacati non hanno mai fatto battaglie in materia di tutela della salute dei lavoratori? Non sarebbe auspicabile un loro intervento come accade nel Regno Unito e in Francia?

“Dieci anni fa a Roma un sindacalista scolastico nazionale della triplice mi disse chiaramente: “Il disagio psichico dei docenti è come il vaso di Pandora. Se lo apriamo rischiamo di vederci accollare un ulteriore stereotipo: pazzi oltreché fannulloni”. Era il modo per farmi capire che non avrei mai avuto l’appoggio sindacale nei miei studi. E così è stato”.

Anche nella formazione dei docenti (penso alle SSIS ma anche al TFA) manca qualsiasi accenno a questo aspetto.

“Come volevasi dimostrare. Sarebbe ora che il ministro tirasse le tendine della … Carrozza e vedesse realmente in faccia le condizioni di salute del suo popolo docente”.

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