Il docente…un lavoricchio. Lettera

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Gaetano Conte – Questa lettera parte da un dato di fatto per giungere ad una riflessione ed è principalmente rivolta all’ARAN e ai nostri rappresentanti sindacali, che al momento dibattono e litigano e si accapigliano per l’aumento stipendiale.

Fare l’insegnante è considerato da tutti un lavoricchio, una cosa da poco.

In primis è la Ministra che lo fa capire, nel momento in cui a luglio ammicca al docente medio dicendo “Gli insegnanti sono fondamentali. Sono i meno pagati d’Europa” (fonte ilfattoquotidiano.it 1/07/2017, in cui, a parole, si elargivano ben 3000 euro al mese) e adesso appare ammutolita, quasi assente, di fronte alle cifre messe nel paniere dal MEF, le lorde 85 euro (…in Sicilia ha un altro significato).

A seguire, viene considerato un lavoricchio da chi propone questi aumenti, perché non si accorge che lo stipendio di un/una docente nei primi 8 anni di vita, senza casa di proprietà, con un figlio e un’altra persona a carico, sta sotto la soglia di povertà relativa, dopo aver perfino affrontato un minimo di 6 anni di spese per laurea e abilitazione, confidando nell’ormai fantascientifico art. 36 della Costituzione…..sto di proposito tralasciando le migliaia di persone che, pur di lavorare, si sono trasferite al nord e restano con famiglia al sud: i raminghi.

Ancora, gli italiani considerano l’insegnante un “lavoricchiatore”, un fannullone impiegato statale, che si lamenta perché lavora troppo, ma che tanto male fa ai propri figli.

Infine, sono gli stessi insegnanti a considerarlo un lavoricchio…purtroppo sì, siamo noi. Noi lo consideriamo tale però, non dal punto di vista delle responsabilità o dell’impegno, ma da quello economico.

Dal punto di vista economico, infatti, un professionista o una famiglia abbiente lo considera come un secondo lavoro: più di un mese fa, ad esempio, su businessinsider.com si mostrava come i professionisti vadano a caccia di supplenze per sopperire alla carenza di lavoro in Italia. Una famiglia meno abbiente lo considera un primo lavoro, ma a cui si deve per necessità associare un’altra entrata, altrimenti la spesa al supermercato la deve pagare il nonno o la nonna. Una famiglia in povertà lo considera un cappio al collo, perché questo mestiere non permette straordinari, non può essere lasciato per via del tasso di disoccupazione troppo alto, non permette errori per via delle crescenti responsabilità affibbiate al/alla docente, che possono portare a multe, spese per avvocati, ecc.

Insomma, il dato di fatto è che fare il docente è un lavoricchio per tutti, ma tutti vorrebbero che si desse dignità alla figura del prof., senza però metter mano al portafogli.

Premetto che fare questo lavoro è di per sé un merito, quindi quelle lorde 85 euro ce le meritiamo tutti. Se non si vuole portare le “lorde 85 euro” ad almeno “300 euro lorde”, vi sono dei compromessi, come al solito, che si potrebbero prendere in considerazione sul rinnovo del contratto: a) abbassare il numero delle ore pomeridiane (le 40+40 per intenderci) e di tutte le attività gratuite, in modo tale che fare il prof. diventi a tutti gli effetti un buon lavoro part-time e possa essere associato ad un altro lavoro, o quanto meno ritorni il “…tanto tempo libero”; b) liberare entro l’anno prossimo quelle 500 euro della formazione, per poter pagare almeno la benzina o rivendicare il diritto allo sciopero, dato che anche questo è ormai a pagamento e i meno abbienti non se lo possono permettere.

Prendete i compremessi come provocazioni o come possibilità, fatto sta che riqualificare la figura del docente si può ancora fare e serve per permettere al lavoratore di far bene un unico mestiere. Il docente, tramite questa contrattazione, potrebbe riappropriarsi della dignità che gli è stata negata e che invece sembra spettare agli altri professionisti laureati.

 

 

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