Docente chiede 78mila euro di danni per mobbing. Condannata a pagarne più di 4mila

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Una docente agiva in giudizio per l’accertamento delle condotte vessatorie poste in essere ai suoi danni dal dirigente scolastico, nonchè alla condanna di questi, in solido con il Ministero dell’Istruzione a risarcirle il danno da mobbing quantificato in Euro 78.000, oltre rivalutazione e interessi.

La Corte territoriale, dopo ampia istruttoria, non ha ritenuto provata la vessatorietà dei comportamenti del dirigente , nè la riconducibilità di essi a un unico disegno persecutorio, attribuendo gli elementi di criticità denunciati dall’appellata a una normale – seppur vivace e dialettica – dinamica dei rapporti di lavoro. E la controversia giungeva alla Cassazione civ. Sez. lavoro, che si pronunciava con Ord., (ud. 22-11-2017) 18-04-2018, n. 9585

I Giudici rilevano in primo luogo che “la pronuncia gravata ripercorre attentamente gli sviluppi che l’istituto del mobbing ha ricevuto nell’interpretazione della giurisprudenza sia civile sia amministrativa. Ne esamina gli elementi costitutivi alla luce dei motivi d’appello ritenendo non provata dalla ricorrente la sussistenza di una condotta persecutoria nei suoi confronti da parte del dirigente scolastico.

Puntualmente la Corte d’appello si fa carico di rimarcare quelle che reputa alcune importanti carenze nel giudizio di primo grado, consistenti in particolare nel diverso peso specifico attribuito a talune prove documentali dalle quali emergevano significative falle professionali nella condotta della ricorrente, ovvero al non aver accertato, il primo giudice, che la patologia dermatologica attribuita a uno specifico episodio lavorativo preesisteva allo stesso, e era stata denunciata al mero fine di rafforzare la pretesa risarcitoria. In altri termini, la ricostruzione della fattispecie contenuta nel decisum risulta completa, in quanto fa corretta applicazione di tutti gli elementi costitutivi richiesti ai fini del rigoroso accertamento dell’adempimento dell’obbligazione di sicurezza da parte del datore.

Che ogni altro rilievo contenuto nelle censure è inammissibile, in quanto si limita a fornire una diversa ricostruzione dei fatti, contrastante con quella accertata nella pronuncia impugnata, e appare rivolta a censurare l’apprezzamento e il convincimento del Giudice di merito che risulti difforme da quello auspicato, mirando così a un riesame del merito precluso nel giudizio di legittimità (Cass. n. 3881/2006; Cass. n. 828/2007; Cass. n. 7972/2007; Cass. n. 25332/2014).” La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento nei confronti del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4000 per competenze professionali, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 e agli accessori di legge.

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