Dimentica di inviare certificati medici perché affetto da sindrome depressiva, può essere licenziato? Ecco la decisione dei giudici

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Il caso che ora segue riguarda una vicenda accaduta nel settore del privato, ma certamente i principi come affermati dalla Cassazione del 19 maggio 2017 n 12730 ben si possono applicare al Pubblico Impiego.

Il caso

Un lavoratore a causa di un lamentato progressivo demansionamento denunciava di aver patito una grave sindrome ansioso-depressiva per la quale era stato costretto ad una prolungata assenza. Per un periodo temporale però si dimenticava di inviare la certificazione medica e veniva licenziato per assenza ingiustificata.

Nei gradi precedenti emergeva che in relazione ai giorni di assenza oggetto di contestazione da parte aziendale, non solo il lavoratore non aveva inviato alla azienda il certificato medico giustificativo, ma non risultava ne avesse mai avuto il possesso.

All’esito degli accertamenti peritali espletati in sede di gravame, era altresi’ emerso che gli effetti collaterali connessi alla assunzione di farmaci antidepressivi da parte del lavoratore, non erano tali da attutirne gravemente la capacita’ di raziocinio e di autodeterminazione, di guisa, che l’omesso invio di certificazione medica in relazione al periodo considerato, sia pure intermedio rispetto ad assenze precedenti e successive supportate da idonea dati certificativi, si traduceva in grave vulnus al vincolo fiduciario sotteso al rapporto di lavoro, considerata anche la specifica prescrizione di cui all’articolo 27 c.c.n.l. di settore.

Non puo’ peraltro, mancarsi di sottolineare, con riferimento alla nozione di giusta causa del licenziamento disciplinare oggetto di scrutinio in questa sede, che secondo una consolidata ricostruzione giurisprudenziale, per stabilire in concreto l’esistenza di una giusta causa (che deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro ed in particolare di quello fiduciario) occorre valutare, da un lato, la gravita’ dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all’intensita’ dell’elemento intenzionale; dall’altro, la proporzionalita’ fra tali fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell’elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare (vedi ex plurimis, Cass. 25/5/2016 n.10842, Cass. 26/4/2012 n.6498, Cass. 8/9/2006 n.19270).

La decisione dei giudici

La Corte distrettuale, invero, dopo aver rilevato ‘per quanto sinora detto ‘la mancanza assoluta di una certificazione medica idonea a giustificare l’assenza protrattasi per undici giorni, la ricorrenza di una condizione psichica tale da non escludere la capacita’ naturale del soggetto in detto periodo e la conseguente possibilita’ di adempiere agli obblighi di comunicazione nei confronti della parte datoriale, connessi al dedotto stato di malattia, ha argomentato che tale comportamento era certamente grave e idoneo a ledere il vincolo fiduciario sotteso al rapporto di lavoro, nonché delle evidenti e rilevanti potenziali ripercussioni che la prolungata e non preventivata assenza aveva esercitato sull’assetto organizzativo aziendale, non consentendo una adeguata programmazione delle attivita’ di lavoro.

I Giudici rilevano altresì che in materia di proporzionalità della sanzione disciplinare l’elencazione delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta nei contratti collettivi ha, al contrario che per le sanzioni disciplinari con effetto conservativo, valenza meramente esemplificativa, sicche’ non preclude un’autonoma valutazione del giudice di merito in ordine all’idoneita’ di un grave inadempimento, o di un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile, a far venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore (vedi da ultimo, Cass.12/02/2016 n.2830); come in precedenza accennato, i giudici del gravame hanno infatti proceduto ad una valutazione in senso complessivo del comportamento assunto dal dipendente, vagliandone l’obiettiva portata lesiva del potere organizzativo facente capo alla parte datoriale, non limitandosi alla stretta applicazione della disposizione pattizia.

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