Dico no all’Invalsi perchè io valgo. Lettera

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I test Invalsi erano nati con il fine di valutare la qualità del sistema scolastico nazionale.

Questa finalità è cambiata dopo pochi anni e i test, da rilevazione a campione, sono diventati censuari. Attraverso questa diversa modalità di applicazione, è cambiato anche l’obiettivo della somministrazione: si è passati dalla valutazione del sistema scolastico nazionale, a quella d’istituto, alla quale viene collegata la valutazione degli insegnanti.

Tale commistione è gravemente impropria perché, come gli stessi esperti della valutazione ricordano, l’utilizzo dei test per più finalità è inappropriato, in quanto ciascun obiettivo richiede informazioni diverse e necessita quindi di adattare gli strumenti di rilevazione.

Dunque pensare di valutare contemporaneamente studenti, insegnanti, scuole e sistema attraverso la somministrazione degli stessi test, risulta con buona evidenza scientifica, improprio.

Di fronte all’opposizione che da più parti si è levata contro l’uso dei test nelle nostre scuole, spesso si sente affermare che “tutti i paesi europei si comportano in modo analogo”. Tale affermazione non corrisponde al vero. In una approfondita e completa analisi di Eurydice, commissionata proprio dalla Commissione Europea, si evidenzia che:
“nella maggioranza dei paesi europei, i test obbligatori hanno il solo scopo di certificare le competenze a fine ciclo e non sono utilizzati per la valutazione esterna né esiste alcuna raccomandazione per l’utilizzo dei risultati nella valutazione interna.”

In Inghilterra si pubblicano i risultati al fine di stabilire una graduatoria delle scuole (Sigh!), mentre altri paesi hanno previsto per legge che i risultati non debbano essere pubblicati. Fra gli altri paesi dell’Unione Europea, solo l’Italia dichiara di voler  pubblicare i propri risultati, creando così istituti di serie A e di serie B, e diversificando anche i fondi da destinare alle scuole. Addio dunque all’uguaglianza scolastica su tutto il territorio nazionale.

Voglio ora evidenziare i motivi per cui ritengo lo strumento dei test inappropriato per la valutazione di istituti ed insegnanti. In primo luogo, l’impiego di test standardizzati permette di misurare solo una frazione, probabilmente non la più importante, delle competenze degli studenti. Buona parte della variabilità dei risultati dipende dalla disuguaglianza “nei punti di partenza” e non si riesce a “catturare” la qualità del percorso scolastico effettuato, né si riesce a isolare la misurazione da tutti i fattori non scolastici che influenzano gli apprendimenti.

Un sistema di misurazione focalizzato su due soli apprendimenti disciplinari non è in grado di catturare né la ricchezza delle competenze costitutive del capitale umano dello studente, né la varietà degli approcci culturali, didattici, organizzativi e gestionali, attraverso cui gli insegnanti hanno lavorato.

I risultati dei test della Scuola Primaria sono solo riusciti a dimostrare, in questi anni, che esiste una correlazione fra la famiglia di provenienza del bambino e il suo rendimento scolastico nelle due discipline esaminate (Italiano e Matematica). Questo perché, come la pedagogia aveva già evidenziato, un bambino seguito e stimolato in maniera opportuna nei primi anni di crescita, è un bambino che sviluppa buone competenze linguistiche e logiche, cioè proprio quelle prese in esame dalle prove Invalsi,  le quali non riescono quindi ad individuare il surplus dato dall’insegnante e dagli insegnamenti ricevuti, se non in una frazione bassa ed estremamente variabile.

I test Invalsi, così come tutti i test standardizzati, rappresentano “misure povere” dell’apprendimento degli studenti; nulla rilevano dei progressi che gli alunni hanno effettuato nelle aree umanistica, artistica, creativa, relazionale e sociale, fondamentali per uno sviluppo armonico della personalità e nulla rilevano di tutto il lavoro educativo che un insegnante ogni giorno svolge nella propria aula.

Oltretutto l’Invalsi non tiene assolutamente conto degli alunni con difficoltà di apprendimento e di altra cultura e men che meno degli alunni diversamente abili, i quali invece influenzano enormemente le scelte didattiche degli insegnanti e i percorsi che vengono costruiti nelle classi in cui questi bambini sono inseriti.

Ritengo quindi che un processo di valutazione degli insegnanti legato alla somministrazione di questi test oltre a mancare gravemente di affidabilità, si riveli uno strumento di controllo e di minaccia, in grado di influenzare in modo invadente le stesse scelte didattiche, riducendo spesso l’insegnamento a mero addestramento ai quiz e impoverendo quindi tutto il percorso formativo. Basti pensare a come, con l’approssimarsi dei test, le discipline non soggette a valutazione, perdano di importanza nel lavoro di molti docenti.

Ancor più pericoloso è l’elemento di concorrenza che si introduce e che va a sostituirsi ad un sapere costruito tra colleghi, cooperativamente, nella collegialità, nello scambio e nel confronto. Chi continuerà a mettere in comune le proprie esperienze didattiche, se alla loro capacità di produrre un miglioramento, corrisponde il riconoscimento di un merito? Così facendo si piega la scuola a logiche competitive, aziendali, snaturandone la finalità di luogo della cooperazione, della collegialità, della condivisione delle buone pratiche educative e del sostegno, necessarie sia alla costruzione della personalità individuale che della democrazia in generale.

Se a questo aggiungiamo tutte le involuzioni introdotte dalla Legge 107, dai presidi-padroni agli staff dirigenziali-clientelari (sempre più lontani dal resto dei colleghi, dai bambini e dai veri problemi della scuola), all’introduzione del bonus per il merito, creato proprio per comprare l’assenso/silenzio dei “docenti-clienti”, fino ad arrivare  alle deleghe ora al vaglio del Governo, ecco che il quadro di distruzione della SCUOLA PUBBLICA COME ORGANO COSTITUZIONALE DELLA DEMOCRAZIA è completato. IN UN UN LUOGO CHE NON È  DEMOCRATICO NON SI PUÒ EDUCARE ALLA DEMOCRAZIA !

Un’ultima considerazione…come insegnante mi trovo sempre più spesso ad affrontare colleghi che si lamentano di quanto le cose vadano “sempre peggio”, di quanto certe prassi e certe pratiche siano solo una perdita di tempo o addirittura controproducenti ma vadano fatte perché è Legge.
Mi spiace ma io non ci sto.

Come insegnante io sento fortemente anche il dovere morale di dare ai miei alunni l’esempio che se una cosa la ritengo sbagliata non la faccio.

I miei bambini un giorno potranno dire: la mia maestra era contro le prove Invasi e infatti non ce le ha mai somministrate, la mia maestra era contro il bonus per il merito e infatti ha votato contro l’insediamento del Comitato di Valutazione e si è rifiutata di “concorrere” alla distibuzione del bonus.

Ritengo fondamentale insegnare il rifiuto!  E ritengo fondamentale anche insegnare ad essere sovversivi verso la Legge quando la Legge è ingiusta.  Ecco perché gli insegnanti come me non devono avere libertà d’insegnamento ma anzi essere licenziabili.  Fino a quando questo Stato non dimostrerà di avere realmente a cuore la Scuola Pubblica Statale e non tornerà ad investire sulla sua natura democratica, cambiando rotta rispetto alla deriva aziendalistica assunta io non collaborerò in alcun modo alla Valutazione di ciò che ritengo sbagliato.

Buon rifiuto a tutti i docenti contrastivi e sovversivi.

Barbara Morleo

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