Dettori: riforma senz’anima. Positivo l’articolo su nuova formazione e reclutamento dei docenti

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Emanuele Dettori, docente di Letteratura Greca e Coordinatore del Comitato TFA nell’Università Tor Vergata di Roma, esprime un giudizio pienamente positivo sul nuovo assetto del reclutamento e della formazione degli insegnanti delineato dall’emendamento a firma dell’On.le Ghizzoni, assunto nel testo del disegno di legge sulla scuola ora in discussione alla Camera.

Emanuele Dettori, docente di Letteratura Greca e Coordinatore del Comitato TFA nell’Università Tor Vergata di Roma, esprime un giudizio pienamente positivo sul nuovo assetto del reclutamento e della formazione degli insegnanti delineato dall’emendamento a firma dell’On.le Ghizzoni, assunto nel testo del disegno di legge sulla scuola ora in discussione alla Camera.

Professore, prima di passare alla formazione iniziale degli insegnanti che, come sappiamo, è un tema che le sta a cuore, vorremmo un suo giudizio complessivo su questo DDL.

“Ci sarebbero molte cose da dire, alcune anche in positivo, ma penso sia utile fermarsi su pochi dati di carattere generale. Innanzitutto segnalo le prime parole del relatore di minoranza, l’On.le Pannarale di Sel, che ha parlato, nell'intervento in sede di discussione dei principi generali, di una legge senz’anima: mi ero trovato ad usare la stessa definizione in colloqui informali. Sembra una affermazione generica, ma chi lavora nel la scuola e, genericamente, nell'istruzione, capisce bene cosa si vuol dire. E una percezione generale, che è stata dichiarata e che condivido, è quella che molti articoli che contribuiscono a definire l'impianto della legge siano stati scritti a partire dal presupposto (caricaturale, oltre che falso) che l’attuale classe di insegnanti sia neghittosa, che abbia bisogno di essere bacchettata e guidata con polso fermo per rendere; e qui avremmo un approccio in sostanziale continuità con i governi di centro-destra. Non vorrei che qualcuno, attento più alla comunicazione che alla scuola, abbia pensato che una tale impostazione, da 'castigamatti' da una parte e apparentemente manageriale dall'altra, faccia presa sull'opinione pubblica, in particolare sulla mitica “famiglia”, di cui ci si riempie attualmente la bocca. E qui vorrei rilevare una delle parole d'ordine, senza senso e pericolose, che si sentono ripetere in questi giorni: “la scuola non è di x o y, ma è delle famiglie”. Una corretta visione delle cose e un minimo di senso civico ci dice che la scuola prima di tutto è una istituzione al servizio dello Stato e strumentale al benessere suo e dei cittadini tutti, qualsiasi sua componente è subordinata a questo scopo e non 'possiede' la scuola”.

Sono anni che si parla di valutazione nel mondo della scuola, lei non è d’accordo con l’idea che il lavoro dei docenti possa essere in qualche modo misurato?

“Molto dell’impianto del DDL è basato sulla valutazione, che ovviamente è un principio di grande utilità. Nelle intenzioni del legislatore si dovrebbe applicare ai dirigenti, ai docenti, agli istituti e ai discenti. Il grosso problema, però, è che i criteri in base a cui valutare o mancano del tutto oppure sono molto problematici, come per esempio i test Invalsi. E qui vorrei aggiungere una considerazione a cui tengo molto. Tra i mantra un po' stupidini un po' pericolosi che si ripetono a proposito della scuola si ritrova il seguente, che suona più o meno: “possedere un qualsiasi sistema di valutazione è meglio che non averne alcuno” (asserzione fatta solennemente echeggiare anche dal ministro Giannini nell'aula della Camera). Ora, non ha bisogno di lunga dimostrazione il fatto che un sistema di valutazione errato conduce a risultati aberranti e di conseguenza a soluzioni che facilmente sono peggiorative di una situazione anche priva di strumenti di valutazione (come è stata molto a lungo la scuola italiana). Lo strumento deve essere sempre adeguato allo scopo, pena lo spreco (se va bene) e il danno. Su questo argomento, tengo anche a dire che la politica che risponde alle contestazioni asserendo che esse siano dovute al rifiuto della valutazione tout court da parte dei docenti usa un argomento calunnioso, sostanzialmente strumentale e un po' miserabile”.

Le assunzioni però rappresentano un capitolo positivo, in pochi si sarebbero aspettati un assorbimento del precariato così celere.

“Non è forse la soluzione migliore, ma è comunque una soluzione. Vorrei solo notare che quanto ormai sentiamo ripetere da settimane, cioè ‘assumeremo i docenti che servono alla Buona Scuola’, da un punto di vista programmatorio non ha nessun senso. Io ritengo che questo serva a mascherare la realtà, ovvero che si assumerà in base a vincoli di bilancio. Lo si capisce dalla difficoltà che si hanno a essere chiari su chi ha diritto a questa stabilizzazione e chi no. C’è poi un altro elemento che vorrei sottolineare: se ho ben capito vi sono posti su cattedra e assunzioni/posti sull'“organico dell'autonomia”, non mi è chiaro quanto quest'ultimo contingente sia saldo, ovvero quanto dipenda da scelte politiche dei futuri governi”.

Passiamo all’art. 21, uno di quelli che ha subito più modifiche nell’iter parlamentare. Il nuovo assetto del reclutamento e della formazione dei nuovi insegnanti le sembra adesso condivisibile?

“Anche qui vorrei fare qualche premessa, una generale e due particolari. Quella generale è che molti deputati del PD hanno lavorato in commissione con passione e intelligenza per migliorare un disegno di legge che temo sia loro comparso un po' out of the blue, il che naturalmente limita l'efficacia dell'intervento. L'emendamento sulla formazione degli insegnanti è uno dei migliori risultati di questo lavoro. E vorrei qui rendere il giusto riconoscimento ai firmatari dello stesso e in particolare all'On. Ghizzoni. Aggiungo anche che è stato condiviso da alcuni deputati dell'opposizione. L'approvazione che gran parte delle Consulte universitarie di area CUN 10 e 11 danno a questa soluzione si basa su diverse premesse, due delle quali desidero enucleare: 1) la configurazione del percorso di formazione degli insegnanti prevista inizialmente nel DDL, quindi mutilata di due anni di formazione disciplinare accademica, era oggettivamente antitetica alla dichiarazione in premessa che il provvedimento sarebbe stato inteso a «valorizzare il ruolo sociale del docente»: esso ne sarebbe stato, invece, depresso; 2) La responsabilità e competenza di stabilire quando uno studente sia maturo a livello di conoscenze e competenze disciplinari in maniera tale da poter intraprendere un percorso professionale per l'insegnamento è primariamente e senza discussione di pertinenza universitaria 'disciplinare', né politica né psico-pedagogica: e chi ha questa responsabilità e competenza giudica che tre anni di formazione accademica senz'altro sarebbero stati abbondantemente insufficienti”.

Quali sarebbero a suo avviso i pregi di questo nuovo format?

“Innanzitutto formazione e reclutamento sono collegati; poi viene messa in gioco anche la formazione in servizio, relegata nel DDL in un altro articolo (10 comma 4); è previsto un qualche tipo di retribuzione degli abilitandi; non sono separate a priori e prematuramente le carriere dei docenti universitari e dei docenti di scuola.

Il percorso come è congegnato, con i cinque anni universitari e i tre postlaurea, appare adatto, insomma, sia alla progressiva acquisizione e al consolidamento delle conoscenze e competenze anche professionali necessarie al ruolo, sia a una rapida immissione nel mondo del lavoro. Ci sono anche altri due punti interessanti che non vorrei passassero inosservati: l’emendamento Ghizzoni riduce a una la prova di selezione, mentre l'anno di specializzazione e i seguenti consentono, se vi ci si lavora sopra in fase di decreto applicativo, di valorizzare le competenze almeno di parte del personale docente della scuola nella funzione formativa e tutoriale degli specializzandi e degli insegnanti in formazione”.

Per l’accesso ai futuri concorsi si parla dell’acquisizione di (almeno) 36 CFU nelle discipline antropo-psico-pedagogiche e in quelle concernenti le metodologie e tecnologie didattiche. Anche le didattiche disciplinari saranno comprese in questo monte?

“A mio parere l'attuale formulazione non è del tutto esplicita in questo senso. Tuttavia, se pensiamo che 36 CFU corrisponde esattamente alla somma dei 18 CFU di didattiche disciplinari più i 18 CFU di Scienze dell'educazione dell'attuale TFA, credo sia legittimo ritenere che questi 36 CFU siano distribuiti nello stesso modo. Sul punto dei 36 CFU segnalo la presenza di un emendamento nel quale si esplicita che questi crediti saranno conseguibili sia all’interno del piano di studi sia come crediti curriculari che come crediti aggiuntivi”.

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