Denuncia per mobbing, richiesti 130mila euro. Ma spetta al docente l’onere della prova

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Una docente insegnante di ruolo nella scuola pubblica, in precedenza insegnante di scuola primaria, presso la scuola ospedaliera interna all’ospedale pediatrico di una città, conveniva a giudizio MIUR e AZIENDA ospedaliera chiedendo condannare i convenuti, in via solidale o pro quota, al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale pari a Euro 130.000,00

A sostegno della domanda deduceva numerose condotte vessatorie, prevaricanti, emarginanti e provvedimenti illegittimi e ingiustificati assunti da dipendenti e funzionari delle parti convenute con l’intento di estromettere la ricorrente dalla scuola interna alla struttura ospedaliera.

In particolare da parte di MIUR lamentava: l’effettuazione di tre visite ispettive la formulazione di due addebiti disciplinari l’adozione di una sanzione disciplinare annullata dal Tribunale, l’adozione di due trasferimenti d’ufficio, la reiterata esclusione della ricorrente dalla partecipazione a convegni e/o corsi di formazione, sia in veste di relatore che di partecipante; l’incremento della sorveglianza sugli orari di entrata ed uscita e l’imposizione della strisciatura del badge ecc.

Il MIUR si costituiva chiedendo il rigetto del ricorso, svolgeva difese che confutavano l’esistenza di una volontà vessatoria da parte della amministrazione, le cui iniziative ispettive e disciplinari avevano tratto origine da segnalazioni dei diversi soggetti istituzionali, che nel tempo, avevano operato in contatto con la ricorrente. Sul punto il Tribunale di Firenze respingeva, anche per questioni procedurali, in toto le domande della ricorrente, sottolineando, in materia di mobbing, principi che oramai possiamo definire come consolidati.

“ Per mobbing si intende “una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità.

Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono, pertanto, rilevanti: a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l’evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all’integrità psico-fisica del lavoratore; d) la prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio” (Cass. Sez. L. sent. n. 3785/2009; Cass. Sez. L. sent. n. 898/2014; Cass. Sez. L . sent. n. 17698/2014).

E’ caratteristica propria del mobbing la sussistenza di un disegno persecutorio nei confronti del dipendente, realizzato mediante comportamenti vessatori, o, comunque, lesivi dell’integrità fisica e della personalità del lavoratore, protratti per un periodo di tempo apprezzabile e finalizzata alla emarginazione del lavoratore.

Il lavoratore che proponga una domanda volta ad ottenere il risarcimento del danno per “mobbing”, è gravato da un onere di specifica allegazione e prova dei singoli e reiterati fatti asseriti come lesivi e produttivi di danno posti in essere dal datore di lavoro, dell’intento persecutorio, nonché dei pregiudizi subiti e del collegamento causale con la condotta mobbizzante (Cass. Sez. L. sent. n. 19053/05).”

In merito alla controversia in questione per il Tribunale di Firenze, con sentenza del 09-02-2017, non risultavano provati i fatti dedotti quali integrativi di mobbing, e le condotte attribuite ai funzionari MIUR, “che negli anni hanno intrattenuto rapporti di lavoro con la ricorrente, non integrano le caratteristiche del mobbing; né assurge a valore di prova la copiosa documentazione prodotta (410 documenti), in via prevalente lettere e e-mail di provenienza della ricorrente, raramente raccordata alle allegazioni del ricorso.”

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