Definire colleghe “povere sciocche” è “ attacco personale lesivo della dignità”

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Con la sentenza impugnata, il Tribunale di Nocera Inferiore ha confermato la sentenza del Giudice di Pace di Nocera Inferiore che aveva condannato C.G.P. alla pena di 800 Euro di multa ed al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separato giudizio, in favore della parte civile perchè responsabile di diffamazione in danno di due insegnanti.

Il fatto

All’imputata, insegnante, è fatto carico di avere offeso l’onore e la reputazione delle due colleghe, distribuendo un volantino in cui si diceva, fra l’altro “non ci vorrebbe molto per non essere più vittime della paura inculcata da tipi come le due insegnanti, vittime, a loro volta, di una cultura locale di radice camorristica che risponde con accuse e minacce a chi cerca di ribellarsi o di reclamare giustizia”… “è proprio assurdo che tante persone perbene si lascino condizionare da due povere infelici”… “mi dispiace che poche sciocche persone debbano condizionare il percorso evolutivo di tante altre brave persone”.I giudici di merito hanno entrambi escluso la sussistenza dell’esimente del diritto di critica.

Il ricorso giunge alla Cassazione che con Sent., (ud. 05-12-2017) 16-02-2018, n. 7754 così si pronuncia:

Il reato è andato in prescrizione

I fatti sono stati commessi il (OMISSIS) ed il termine di prescrizione, pari a sette anni e sei mesi, è interamente decorso dopo la pronuncia della sentenza d’appello, anche tenuto conto della sospensione di cinque mesi e ventisette giorni dovuta ad un rinvio nel dibattimento di primo grado per l’astensione dei difensori dalle udienze. La sentenza deve essere quindi annullata senza rinvio perchè il reato è estinto per prescrizione, non essendo inammissibile il ricorso per i motivi che saranno di seguito enunciati e la cui fondatezza deve essere, altresì, valutata in relazione alle statuizioni civili.

Sul diritto di critica

Il ricorso, pur non essendo inammissibile, è comunque infondato, in quanto non tiene in adeguato conto l’elaborazione giurisprudenziale in tema di diritto di critica. E’ pur vero che il rispetto della verità del fatto assume, in riferimento all’esercizio del diritto di critica, un rilievo affievolito rispetto alla diversa incidenza che riveste nell’ambito del diritto di cronaca, in quanto la critica rappresenta la manifestazione di una opinione soggettiva che non può pretendersi essere rigorosamente obiettiva ed asettica (Sez. 5, n. 4938 del 28/10/2010 – dep. 10/02/2011, Rv. 249239; Sez. 5, n. 49570 del 23/09/2014 Rv. 261340; Sez. 5, n. 25518 del 26/09/2016, dep. 23/05/2017, Rv. 270284).

Tuttavia la divulgazione di valutazioni e commenti non oggettivi e “partigiani”, se ammessa, deve pur sempre fondarsi sull’attribuzione di fatti veri, non essendo ammissibile che una interpretazione soggettiva, fonte di discredito, tragga le sue premesse da una prospettazione dei fatti non veritiera (Sez. 5, n. 7419 del 03/12/2009 – dep. 24/02/2010, Rv. 246096).

La prima delle frasi incriminate indica le due parti offese come vittime di una cultura locale di radice camorristica, ma si tratta di una premessa che sostiene l’ulteriore affermazione secondo cui esse stesse sarebbero portatrici di tale cultura – che risponde con accuse e minacce a chi cerca di ribellarsi o di reclamare giustizia -. La ricorrente non allega alcun elemento da cui desumere che le due insegnanti fossero, ad un tempo, vittime e portatrici di una cultura camorristica, in quanto gli scarni rimandi contenuti nell’atto di impugnazione non attribuiscono sufficiente specificità alla censura (Sez. 5, n. 11910 del 22/01/2010 Rv. 246552). Nel prosieguo, le parti offese vengono definite “povere infelici” e ” povere sciocche persone”.

L’attribuzione di tali epiteti non può essere ricondotta all’espressione di un motivato dissenso, da parte di una insegnante, rispetto alla attività delle colleghe, in quanto ha certamente trasceso in un attacco personale lesivo della dignità delle antagoniste. I termini impiegati, infatti, soltanto apparentemente sono volti a manifestare compassione per le colleghe (vittime di una cultura camorristica e povere donne) ma, in realtà, ne svalutano grandemente la figura professionale ed umana e le qualificano, come si è detto, portatrici di una cultura di illegalità. Peraltro, gli epiteti offensivi contenuti nella missiva non erano in alcun modo necessitati dal tipo di accuse che l’insegnante intendeva rivolgere alle colleghe, relative ad una gestione delle attività scolastiche che ella non condivideva.

Le modalità espressive devono essere proporzionate

In tema di continenza, va ricordato che le modalità espressive debbono essere proporzionate e funzionali alla comunicazione dell’informazione, e non tradursi in espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato. Pertanto, il requisito della continenza, quale elemento costitutivo della causa di giustificazione del diritto di critica, attiene alla forma comunicativa ovvero alle modalità espressive utilizzate e non al contenuto comunicato (Sez. 5, n. 18170 del 09/03/2015 Rv. 263460).

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