Decreto Dignità, come cambia il mondo del lavoro

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Con l’approvazione in Consiglio dei Ministri, il Decreto Dignità inizia il suo iter (brevissimo) legislativo per diventare operativo. L’entrata in vigore rimane comunque legata alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. 

Con questo provvedimento, il Governo ha dichiarato lotta al precariato. Il decreto prevede la riduzione del numero dei rinnovi contrattuali a termine che possono essere replicati solo 4 volte invece che 5 (come avvenuto finora) e possono durare solo fino a 24 mesi, invece che 36.

Costi e causali

I rinnovi peseranno sulle casse degli imprenditori. Infatti già a partire dal secondo, la contribuzione crescerà dello 0,5%. Un altro elemento di sostanziale modifica riguarda la causale del contratto a termine che può essere assente solo alla prima stipula, sempre che si tratti di contratti di durata uguale o inferiore a un anno. Nel caso in cui il periodo di lavoro a termine superi questo tetto, andrà indicata la causale anche per la prima assunzione.

La causale dovrà essere indicata obbligatoriamente anche dal secondo rinnovo in poi. In questo caso, sono state previste tre tipi di causali: esigenze temporanee e oggettive; incrementi temporanei, significati e non programmabili della produzione; picchi di attività stagionali.

Il mondo del lavoro in Italia

Secondo i dati Istat le novità riguardano una platea di poco inferiore a 3 milioni di lavoratori a termine su 17 milioni di dipendenti, ovvero il 12,1% del totale. Secondo le comparazioni della Fondazione Adapt, l’Italia è di poco sopra alla media europea per il numero di contratti a termine.

Stando a quanto riportato sul sito Wired.it, nell’ultimo trimestre i contratti a tempo determinato sono cresciuti di 69mila unità, contro un calo di 23mila unità di quelli a tempo indeterminato e 37mila contratti  indipendenti. La tendenza sembra confermata anche dai dati Inps, secondo i quali il mondo del lavoro è migliorato (800mila lavoratori in più) nell’ultimo triennio quasi esclusivamente ai contratti a tempo determinato, la cui crescita nell’ultimo anno è stata di 537mila unità, mentre si sono persi 117mila posti a tempo indeterminato.

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