Declino figura docente, causata dall’alto? Lettera

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Inviato da Luisa De Vita, una Docente precaria -“Sono vicino all’insegnante che in Sicilia è stata picchiata dai familiari di un alunno per una nota disciplinare. Simili episodi di violenza vanno condannati fermamente. Chi ha un ruolo fondamentale nella crescita dei nostri ragazzi merita sempre rispetto, stima e fiducia.”

Queste le parole del Ministro Bussetti per esprimere la sua vicinanza alla docente picchiata in Sicilia per averaver dato una nota disciplinare ad un alunno.

“Per gli operatori della scuola che lavorano spesso in difficili condizioni, è fondamentale agire in condizioni di serenità. Tutti questi episodi riaccendono i riflettori sul modello educativo nelle scuole e nelle famiglie che deve mirare piuttosto al rispetto necessario nei confronti di chi ha da sempre un ruolo fondamentale nel percorso di crescita dei nostri ragazzi”.
Aggiungono Leonardo La Piana (segretario generale Cisl Palermo Trapani) e Vito Cassata (segretario Cisl Scuola Palermo Trapani).

Negli ultimi anni il fatto che il dialogo tra famiglie e scuola abbia subito qualche corto circuito è tristemente provato da tanti, troppi episodi di questo genere.

E la situazione sollecita e impone una riflessione urgente, profonda e generalizzata.

La figura dell’insegnante ha subito, lentamente ma ininterrottamente, un percorso di progressivo scadimento in termini di potere e valore.
Conseguentemente è diminuito – se non addirittura venuto meno – il rispetto per un ruolo divenuto, stando alle definizioni sulla carta, portatore di un peso sempre maggiore nella formazione e dunque nella vita dei nostri studenti ma, nei fatti, misconosciuto o confuso con altre figure che, come i docenti, svolgono un ruolo di affiancamento alla famiglia nell’importantissima impresa della formazione della società civile di domani.

Da burocrate a baby sitter fino a sfociare nelle vesti di improvvisati psicolanalisti, da carabiniere a infermiere, da bersagli di frustrazioni accumulate fuori dalle mura scolastiche fino a vittime di concrete aggressioni verbali o fisiche, il reale ruolo degli insegnanti di oggi ha perso, nel quotidiano, qualunque connotazione concreta provocando una percezione assai confusa delle sue esatte competenze e oneri da parte della società.
Una percezione distorta che, di riflesso, produce, ogni giorno, una condotta assolutamente irrispettosa da parte degli alunni, ultima e diretta appendice di una catena di categorie sociali che ritengono del tutto normale trattare gli insegnanti – e in generale gli operatori del mondo della scuola – senza il minimo riserbo e rispetto.

Da docente a contatto ogni giorno con tale stato di fatto, mi interrogo su quelle che sono potute essere le scintille e le cause che hanno innescato questo pericoloso e diffuso incendio del quale si riparla però solo quando esplode in episodi di violenza fisica.

E se la fonte di questo processo di progressiva diminuzione di rispetto verso una figura che ha visto la propria importanza sempre più sminuita o totalmente non considerata avesse radici a monte della società civile?
E se fossero state le vuote promesse, gli specchietti per allodole travestiti da opportunità, l’infinità di punti da accumulare, di sacrifici da sostenere, di pezzi di vita a cui rinunciare pur di varcare la soglia di un’aula, e se fossero le continue, infinite – e costose – conferme a cui è lo stesso Stato a chiamare gli aspiranti docenti predisponendo ripetuti, stressanti e talvolta insostenibili – in termini logistici ed economici oltre che esistenziali – ri-esami di competenze a generare l’intero processo?
E se fosse per il fatto che gli stessi insegnanti non si sentono insegnanti – se non dopo anni e anni di dimostrazioni e raccolte punti – perché, nella realtà, non finiscono mai di essere trattati o chiamati a continuare ad essere essi stessi studenti?
Se parte della classe docente sente e vive sulla propria pelle la precarietà di una condizione lavorativa ai limiti della sopportazione – in termini di stabilità e sicurezza – se al docente dell’Italia di oggi è la politica per prima che smantella e smuove ripetutamente e illimitatamente – in termini temporali – il terreno sotto i piedi, come si può allora sperare di riaffermare il valore del lavoro e del ruolo dell’insegnante nella percezione sociale?

La serenità sul luogo di lavoro è condizione necessaria – anche se non sufficiente – affinché possano essere raggiunti gli obiettivi in vista dei quali persone – non dimentichiamolo -si spendono e tentano di dare il loro meglio ogni giorno.
Timore nel riprendere i ragazzi, responsabilità ed impegni – anche burocratici – sempre più numerosi, paura di assurde vendette e continue umiliazioni, sensazione di avere le mani legate e le bocche imbavagliate nel quotidiano rapportarsi ai ragazzi che si svolge in un clima di diffusa mancanza di appoggio da parte delle famiglie e inesistenza di riconoscimento accompagnano le giornate della classe docente, tutto ciò unito, per migliaia di insegnanti, alla mancanza di serenità proveniente da un lavoro ben lontano dalla stabilità.

La serenità insomma, per il docente italiano di oggi, è una chimera su un campo minato.

Risale a poche settimane fa la notizia che un’altra mina ha cominciato a far tremare il già instabile suolo su cui poggia la condizione lavorativa di migliaia di docenti italiani, aggiungendo alla spensierata quotidianità dei docenti l’ulteriore pressione dovuta all’avvio dell’ultima raccolta punti in vista del completamento di un elenco requisiti che, a più riprese, appare sempre più lontano dal definitivo perfezionamento.

Io stessa mi trovo a calpestare questa mina e immobilizzata attendo artificieri che vengano a disinnescarla, ma temo che non arriveranno in modo tempestivo.

08 febbraio 2019, il Miur pubblica il dmn. 92/2019 che disciplina l’accesso ai corsi TFA sostegno per l’a.a. 2018/19.
Ennesima riprova della distanza della politica italiana dalla percezione delle concrete condizioni di vita dei propri rappresentati.
Una soluzione temporanea, insufficiente e illusoria di uno dei tanti problemi della scuola italiana.

L’informazione di migliaia di nostri figli aventi diritto al sostegno didattico hanno atteso mesi prima di vedersi assegnato un docente di sostegno – nell’a.s. che volge ormai al termine e in altri precedenti – è giunta a tutti.
Questo è accaduto perché il sistema dell’Istruzione italiana presenta un buco nell’organico.
Dunque, lo scorso 8 febbraio il Ministero della Pubblica Istruzione e della Ricerca, preso atto della situazione d’emergenza, decide, da saggio Organo Istituzionale, di attivarsi per risolverla.
Come si può sopperire alla mancanza di docenti in possesso di adeguate competenze per farsi carico dell’istruzione di alunni in situazione di handicap?
Approntando un percorso formativo universitario che prepari adeguatamente quanti siano in possesso dei requisiti per l’insegnamento in una determinata materia e vogliano preparasi anche per svolgere attività di sostegno. Finalmente, era ora! Dunque? Problema risolto o in via di definitiva risoluzione?

Apparentemente sì. Solo apparentemente però – e purtroppo -come, troppo spesso, lasciamo che accada oggi in Italia.

Non trovo giusto e non mi va più di far parte di quella parte d’italiani che hanno ancora voglia e/o forza di accontentarsi delle apparenze.
Non mi va più. E la presente lettera vuole essere veicolo di un appello, una denuncia e una protesta, in segno di solidarietà per la collega siciliana e per quanti, come lei, hanno pagato nelle medesime modalità – degradanti e degradate – le conseguenze di una mancanza di riconoscimento e rispetto nei confronti di pubblici ufficiali che affonda le radici negli luoghi da cui dovrebbero partire politiche di vicinanza e sostegno.

Se dagli stessi palazzi dell’Organo Istituzionale preposto in rappresentanza delle Istituzioni di formazione degli adulti dell’Italia di domani, ad una situazione già dura e difficile vengono ad aggiungersi ulteriori carichi di stress umilianti, demotivanti o quantomeno che ne rallentano la carriera, come può la società ripensare e ridefinire il ruolo e il dovere di rispettare quei poveri illusi che, come me, ancora credono che l’insegnamento sia una missione umana e sociale oggi più che mai urgente e fondamentale?
Per un docente precario il titolo conseguito dopo aver sostenuto e superato tre prove preselettive, frequentato un anno di corso universitario che costa più di tremila euro di tasse (percorso tra l’altro in molti casi difficilmente conciliabile con un lavoro a tempo pieno), svolto attività di tirocinio e sostenuto esami e prova finale servirà a farlo forse scalare di qualche posto all’interno della medesima terza fascia dei docenti precari (o magari non gli cambierà assolutamente nulla poichè la centrifuga tfasi attuerà un rimescolamento nelle graduatorieche vedrà, come in una gara automobilistica, sorpassatori e sorpassati entro la medesima carreggiata di una classe docente sempre più pericolosamente esposta alla crisi di nervi).
Una grande confusione che rimescolerà il tutto senza però apportare significativi cambiamenti dello stato delle cose.

La necessità di una formazione a livello specifica che fornisca le opportune competenze a docenti che intendano farsi carico dell’onere (e onore) della formazione di alunni bisognosi di sostegno è fuori discussione.
Anzi ritengo che un percorso formativo degli insegnanti di sostegno sia non solo necessario ma anche urgente – vista la domanda che negli ultimi tempi ha registrato una costante crescita.
E, da docente che ha avuto la fortuna di lavorare sul sostegno, ritengo un simile percorso di formazione indispensabile per approcciarsi a tale attività e poterla svolgere con la serenità che deriva dalle competenze opportune.
Suggerirei anzi che tali competenze dovrebbero anche essere subordinate a test psicoattitudinali che garantiscano la certezza agli studenti e alle loro famiglie di poter contare su docenti competenti e consapevoli (il particolare e forte carico emotivo al quale questo tipo di insegnamento espone infatti non è un dato trascurabile) .
Una tale formazione dovrebbe essere, a mio avviso, un dirittodegli studenti e delle loro famiglie, un dovereda parte dell’Istituzione Scolastica e infine obbligatoria ma gratuita per tuttii docenti disponibili a questo tipo di incarico che, Onorevole Ministro, sono già docenti e non dovrebbero essere ancora e continuamente a preselezioni che sottraggono solo tempo e concentrazione al lavoro.

In un paese davvero e seriamente intenzionato a riaffermare il valore dell’Istituzione Scolastica e l’importanza per la società civile della formazione della persona che in special modo all’interno della scuola (dopo e accanto alla famiglia) viene conseguita, le iniziative dovrebbero essere finalizzate a ri- motivare la classe docente sulla quale e tramite la quale detta Istituzione si regge, prima di tutto attraverso politiche che non costituiscano ulteriore fonte di umiliazione, illusione, pressione e stress.

Chi ha un ruolo fondamentale nella crescita dei nostri ragazzi merita sempre rispetto, stima e fiducia, sono pienamente d’accordo con Lei Ministro.

Aggiungerei solo: sempre“e da parte di tutti”.

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