Dati OCSE Pisa: divario Nord-Sud, il nostro sistema non equo. Istituti professionali statali peggio dei CFP

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di Eleonora Fortunato – Disegnano un quadro generale meno impietoso di quanto forse ci aspettavamo i nuovi dati Ocse Pisa sulle competenze dei quindicenni italiani in lettura, matematica e scienze. Numeri che hanno bisogno di essere incrociati, approfonditi, digeriti, e su cui nei prossimi mesi si continuerà di certo a discutere. Per un commento ancora a caldo su un paio di punti che val la pena affrontare subito ci siamo rivolti a Vittoria Gallina, esperta di competenze alfabetiche  della popolazione adulta e da molti anni collaboratrice dell’Istituto Invalsi.

di Eleonora Fortunato – Disegnano un quadro generale meno impietoso di quanto forse ci aspettavamo i nuovi dati Ocse Pisa sulle competenze dei quindicenni italiani in lettura, matematica e scienze. Numeri che hanno bisogno di essere incrociati, approfonditi, digeriti, e su cui nei prossimi mesi si continuerà di certo a discutere. Per un commento ancora a caldo su un paio di punti che val la pena affrontare subito ci siamo rivolti a Vittoria Gallina, esperta di competenze alfabetiche  della popolazione adulta e da molti anni collaboratrice dell’Istituto Invalsi.

Per prima cosa abbiamo domandato alla Professoressa Gallina che impressione e che considerazioni ha ricavato dal vedere ancora una volta messa nero su bianco la spaccatura tra Nord e Sud: “Siamo di fronte a un sistema di istruzione che non garantisce equità, nonostante i proclami e le buone intenzioni. È innegabile, il nostro Paese ha fatto una scelta di inclusione per assicurare opportunità di formazione a un’ampia fetta della popolazione rispetto ad altri che invece hanno puntato sulle élite, ma i dati Pisa sembrano, paradossalmente, dimostrare  che alla fine il sistema italiano risulta meno equo di quanto vorrebbe e dice di essere. Sappiamo che altrove inclusione e equità sono diventate realmente promotrici di competenze, ma qui da noi non è ancora successo” (sono Australia, Canada, Corea, Estonia, Finlandia, Hong Kong-Cina, Liechtenstein e Macao-Cina i Paesi in cui si registrano i più alti livelli di competenze e di equità in ambito scolastico).

Nella relazione leggiamo, infatti, che vivono soprattutto nel Mezzogiorno quegli studenti “poveri di conoscenze” che non superano il primo livello di competenze (in una scala a 6 livelli). Più nel dettaglio, per la Matematica si trovano in questa condizione ben il 34 per cento del totale degli studenti delle regioni meridionali (che sono perciò in grado di rispondere solo a domande che riguardino contesti familiari e nelle quali siano esplicitate tutte le informazioni da adoperare). Quali sono le ragioni di questo scarto così drammatico? “E’ indubbio, al Sud troviamo contesti sociali fragili, deprivazioni culturali ed economiche più sentite, e questo non può non fare la differenza. La scuola purtroppo non riesce a sopperire a tutte le mancanze, a tutti i bisogni degli allievi”.

Sempre dal Sud un’altra amara verità: “Anche nelle zone che hanno usufruito di fondi strutturali europei per il miglioramento degli apprendimenti – sottolinea Gallina – i risultati sono stati modesti, se non allarmanti”. Per fare un esempio, anche questa volta non mancano certo i numeri:  in matematica l’Italia si assesta su 485 punti in media, ma il 65% dei ragazzi non ripetenti ottiene un più lusinghiero 499, che nelle quattro regioni dell’Obiettivo Convergenza (Puglia, Calabria, Sicilia, Campania) si abbassa però a 454.

E qui l’altro dato che impressiona la nostra interlocutrice, ben evidenziato già a partire dalla prima sintesi Invalsi: solo il 65% degli studenti del secondo anno della scuola secondaria superiore frequenta la classe ‘giusta’  per la propria età. “Questo – prosegue – apre anche il problema della gerarchia drammatica tra licei, tecnici e professionali”. Mi permetto di suggerirne anche un altro, la scuola secondaria inferiore, che male assolve al suo compito precipuo, che è quello di orientare i ragazzi. “Proprio così, l’orientamento si riduce a una serie di azioni di facciata, senza tradursi in una pratica didattica mirata a fornire ai ragazzi gli strumenti per compiere una scelta del percorso superiore adeguata alle loro capacità e aspettative. Questo ovviamente diminuisce le possibilità del loro successo formativo”.

Ci lasciamo con l’idea di approfondire meglio anche un altro corollario che salta fuori dal dossier: “Da alcuni grafici emergono risultati meno buoni degli allevi degli istituti professionali di fronte a quelli dei centri di formazione professionale, come a dire che l’istruzione statale riesce meno bene di quella delegata agli enti territoriali”. Alla pagina 20 del focus pubblicato dal Miur vediamo, per esempio, che negli istituti professionali sono più di 20 su cento gli alunni con livello di competenza 1 (su 6) in matematica, percentuale che nei CFP si abbassa di qualche punto.

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