Crisi scuole paritarie: boom dei contratti di solidarietà. Pericolo effetto domino

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di Eleonora Fortunato – Aumento esponenziale dei contratti di solidarietà (attenzione, diminuisce lo stipendio, ma le ore frontali di insegnamento restano intatte); ricorso a gestori esterni, come cooperative o srl; insolvenza delle rette da parte delle famiglie. Queste le spie della crisi per il maggiore sindacato dei lavoratori della scuola paritaria. Ma se in Italia il privato sociale esplode, che cosa succede poi? Ne abbiamo parlato con Pierluigi Cao, Segretario generale Sinasca.

di Eleonora Fortunato – Aumento esponenziale dei contratti di solidarietà (attenzione, diminuisce lo stipendio, ma le ore frontali di insegnamento restano intatte); ricorso a gestori esterni, come cooperative o srl; insolvenza delle rette da parte delle famiglie. Queste le spie della crisi per il maggiore sindacato dei lavoratori della scuola paritaria. Ma se in Italia il privato sociale esplode, che cosa succede poi? Ne abbiamo parlato con Pierluigi Cao, Segretario generale Sinasca.

13.500 istituti, un milione di studenti, oltre 100mila docenti: sono questi i numeri che descrivono le scuole paritarie (la maggioranza cattoliche) del sistema pubblico di istruzione nel nostro Paese, un’incidenza significativa, che risponde alle esigenze di molte famiglie – in ottemperanza a precise raccomandazioni comunitarie sulla libertà di insegnamento e alle leggi dello Stato italiano – e che crea occupazione. Un’occupazione che, però, sta vivendo una fase inedita, col ricorso sempre più massiccio ad ammortizzatori sociali come i contratti di solidarietà. Il problema grosso è – come facilmente intuibile anche per i non addetti ai lavori – nel calo delle iscrizioni, soprattutto a livello di scuola secondaria (infanzia e primaria resistono con più tenacia), con conseguente diminuzione dell’introito finanziario rappresentato dalle rette. Un trend che ha fatto la sua comparsa già a partire dall’anno scolastico 2010-2011, quando nelle paritarie sono rimasti vuoti circa 2.500 banchi, per aggravarsi ancora di più l’anno successivo, con i dati del Ministero che raccontano di una vera e propria emorragia: 30mila iscrizioni in meno, concentrate soprattutto nella secondaria di secondo grado, come ha testimoniato la chiusura di molti plessi nelle grandi come nelle piccole città.

Poi c’è l’altro nodo, quello dei finanziamenti pubblici, sempre meno consistenti – la coperta, si sa, in questi anni di crisi economica è più corta che mai – e sempre in ritardo: già a settembre il sottosegretario all’Istruzione Toccafondi aveva lanciato l’allarme di una decurtazione di circa il 42% della cifra normalmente stanziata per le scuole pubbliche non statali (da 538 milioni a 260).

Il destino della scuola paritaria è, dunque, segnato? Lo abbiamo chiesto a Pierluigi Cao, Segretario generale del Sinasca, il Sindacato nazionale della scuola cattolica che rappresenta 50.000 docenti: “È  vero, sono in aumento gli istituti scolastici paritari in sofferenza finanziaria. Questo vuol dire che molti sono costretti a chiudere sezioni o interi plessi, con conseguente perdita del posto da parte dei lavoratori, sia docenti sia non docenti. L’altro importante segnale di malessere è rappresentato dalla cessione delle attività o di rami di esse a gestori esterni, come cooperative e anche società”.

“Preoccupante, poi, l’incremento dell’insolvenza delle rette da parte delle famiglie – prosegue Cao – un dato che fa molto riflettere se si pensa che, in relazione alla scuola dell’infanzia e alla scuola primaria, si tratta di cifre non ingenti, che superano di poco i mille euro all’anno, fatta eccezione per una trentina di scuole di prestigio come il “Leone XIII” a Milano o il “Giuseppe de Merode” a Roma”.

In quali aree del Paese gli istituti maggiormente a rischio di collasso finanziario? Quante scuole  hanno già chiuso i battenti? Il Segretario Sinasca ha il polso della situazione, ma non si sbilancia con i numeri, e ci indica come quelle più esposte solo le scuole delle piccole cittadine del centro-sud. Certo, se arrivassero soldi dallo Stato la musica cambierebbe: “Si dovrebbe finalmente iniziare a considerare che i finanziamenti pubblici aiuterebbero a preservare i livelli occupazionali, funzionerebbero come ammortizzatori sociali. Alzare le rette potrebbe essere l’altra via da percorrere, ma tanti gestori sono restii a farlo, dal momento che si vuole continuare a guardare anche ai ceti meno abbienti. In molte realtà ‘difficili’ del nostro Paese le scuole cattoliche hanno spesso assolto a questo compito, rappresentando luoghi di integrazione e di crescita per il territorio. I contributi delle famiglie, comunque, è bene ribadirlo, non coprono che una parte dei costi di gestione di questi istituti, soprattutto oggi che il corpo docente è formato per oltre il 90% da laici”.

Ma come parlare di aiuti finanziari alla scuola non statale senza riaccendere le livorose polemiche sulla loro presunta incostituzionalità? “Quando si tocca questo tasto non si sottolinea mai abbastanza il fatto che le scuole paritarie permettono allo Stato un risparmio ingente della spesa pubblica, a fronte di un contributo per classe di soli 19.000 euro all’anno. Un dato che va analizzato anche tenendo presente che questa cifra non basta nemmeno a coprire lo stipendio annuo lordo di un solo docente”.

I conti della serva in questi giorni li ha fatti anche Mons. Francesco Moraglia, patriarca di Venezia, che alla IV Conferenza sulla scuola e sulla formazione professionale ha snocciolato cifre ben più audaci: “Nel nostro Paese le scuole paritarie educano circa il 10% della popolazione scolastica, ma ricevono dallo Stato solo l’1% della quota stanziata per gli istituti. (…) Se il costo medio annuo per ogni alunno della scuola statale arriva a sfiorare i 7.000 euro, quello stanziato dall’erario per ogni alunno delle scuole paritarie è attorno, solamente, ai 500 euro. Emerge un dato certo e inequivocabile: in media ogni allievo di scuola statale costa allo Stato una somma di almeno 10 volte superiore – volendo stare “bassi” – rispetto ad un coetaneo iscritto alla scuola paritaria. E’ stato calcolato che le scuole paritarie – e in esse quelle di ispirazione cattolica sono la stragrande maggioranza – fanno risparmiare allo Stato non meno di 6 miliardi di euro l’anno”. In questa prospettiva, c’è un importante divario tra l’Italia e gli altri Paesi europei, dove la scuola paritaria, cattolica e non cattolica, viene finanziata in maniera molto più significativa, “con la presa in carico, talvolta, anche del costo degli insegnanti” ci precisa Cao.

Poi arriviamo all’altro fattore responsabile, per il segretario Sinasca, dell’emergenza attuale, e cioè il ritardo con cui i contributi statali sono stati erogati negli ultimi anni, “ritardi che non hanno mai visto scattare la maturazione degli interessi. Così si spiegano i contratti di solidarietà, una tendenza ormai in costante e preoccupante aumento”. Ma che cosa vuol dire contratto di solidarietà in una scuola paritaria cattolica? Come negli altri settori produttivi, il contratto di solidarietà è un accordo tra datore di lavoro e sindacati che, in caso di crisi aziendale, ha lo scopo di mantenere il più possibile intatti i livelli occupazionali di un’azienda, ricorrendo a una programmata riduzione dell’orario di lavoro e della retribuzione.

“Nel caso dei docenti di scuola cattolica è stato ridimensionato il monte orario annuale di lavoro”: detta così non suona male, ma ci prendiamo la briga di approfondire un po’ e così scopriamo che le ore annuali di lavoro diminuiscono, è vero, ma quelle di insegnamento frontale restano invariate (il ‘ritocco’, insomma, viene fatto per esempio sulle 70 ore, non più dovute dal lavoratore, o sulla prima settimana di settembre, durante la quale non vengono fissate né attività di coordinamento o programmazione né tanto meno di didattica). Il Segretario tiene però a sottolineare che questi contratti di solidarietà qualcosa di buono ce l’hanno davvero: il lavoratore che ne sottoscrive uno ha la certezza che, anche col persistere della crisi e del calo delle iscrizioni, l’organico della scuola resterà intatto per almeno due anni, “è qui che si evidenzia la natura ‘difensiva’ di questa tipologia di accordi”.

Ma di quanti docenti stiamo parlando? “Il numero degli insegnanti a cui in questi ultimi mesi sono stati applicati contratti di solidarietà non è alto in senso assoluto, parliamo di alcune decine in tutta Italia. Fa riflettere e suona come campanello di allarme il fatto che fino a quattro, cinque anni fa questo dispositivo, introdotto nel 1996, era pressoché sconosciuto alle scuole paritarie cattoliche. La sensazione è che d’ora in avanti possa esserci un effetto a valanga”.

In che maniera provare ad arrestarlo? "In assenza di risposte provenienti dal mondo politico, la soluzione potrebbe essere nel rilancio della scuola paritaria come scuola di qualità, capace di differenziarsi e di eccellere rispetto all’offerta formativa delle scuole statali. Molti istituti, per esempio, si stanno attrezzando per offrire una didattica bilingue, esigenza ormai sentita da molte famiglie. La scuola paritaria, insomma, deve entrare nell’ottica di offrire qualcosa in più rispetto alla statale, deve distinguersi per la sua capacità di innovare, sempre in un’ottica di pluralismo e di libertà”.

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