Conoscenze VS competenze? Un falso problema, sintomo di scarsa professionalità

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Enrico Maranzana – L’irrazionalità della contrapposizione conoscenza-competenza è attestata dal Miur che, introducendo le griglie di valutazione delle prove scritte della maturità 2018, richiama quanto disposto dal Dlgs 13 aprile 2017, n. 62: esse “consentono di rilevare le conoscenze e le abilità acquisite dai candidati e le competenze nell’impiego dei contenuti disciplinari”.

Competenze e conoscenze sono inscindibili

Le competenze descrivono il comportamento di chi “impiega i contenuti disciplinari” per affrontare compiti.

“Se correttamente interpretate, tutte le discipline curriculari – sia pure in forme diverse – promuovono nell’allievo comportamenti cognitivi, gli propongono la soluzione di problemi, gli chiedono di produrre risultati verificabili, esigono che l’organizzazione concettuale e la verifica degli apprendimenti siano consolidate mediante linguaggi appropriati.
Nella loro differenziata specificità le discipline sono, dunque, strumento e occasione per uno sviluppo unitario, ma articolato e ricco, di funzioni, conoscenze, capacità e orientamenti indispensabili alla maturazione di persone responsabili e in grado di compiere scelte”. [Programmi vigenti della scuola media, 1979]

Le competenze, da più di cinquant’anni sulla scena scolastica, non hanno scalfito il tradizionale insegnamento versativo: in rete “Il Miur naviga a vista” tratteggia la questione. Una fissità che ha occultato le elaborazioni dei sociologi che, negli anni settanta del secolo scorso, hanno teorizzato l’esplosione delle conoscenze: hanno affermato che il sapere umano raddoppia ogni sette anni, con uno sviluppo che non avviene per accumulazione ma per ristrutturazioni.

Analogo destino è toccato alle sollecitazioni contenute nei regolamenti; si trascrive, a titolo esemplificativo, quanto qualificava il progetto ministeriale Mercurio, attivato nel 1991:
“Il traguardo formativo non deve consistere solo nel far acquisire conoscenze ma anche competenze e abilità in modo da sviluppare abitudini mentali orientate alla risoluzione di problemi e alla gestione delle informazioni, avendo costantemente presente il significato del proprio agire.

Per perseguire gli obiettivi trasversali e disciplinari fissati nei piani di lavoro, i docenti utilizzeranno metodi didattici coerenti con le finalità del progetto.

Al riguardo si suggerisce di:

Far pervenire al possesso delle conoscenze partendo da situazioni concrete, non ancora organizzate e ordinate, così da stimolare l’abitudine a costruire modelli,
Privilegiare momenti di scoperta e di successiva generalizzazione a partire da casi semplici e stimolanti, avvalendosi di tecniche didattiche che consistono nel generare situazioni problematiche non strutturate, così da favorire l’acquisizione di comportamenti produttivi,
Far realizzare piccoli progetti di difficoltà crescente così da abituare a formulare ipotesi e procedere per approssimazioni successive,
Stimolare la riflessione sulle potenzialità dei diversi strumenti informatici così da poter contribuire alla soluzione di problemi, alla razionalizzazione delle procedure, all’efficacia della comunicazione interna ed esterna all’azienda”.

Un’ulteriore occasione mancata é riscontrabile nei “punti fondamentali e imprescindibili che solo la pratica didattica è in grado di integrare e sviluppare”, contenuti nei regolamenti di riordino del 2010.
Per promuovere competenze si deve arricchire il concetto “conoscenza”: la sua staticità deve essere superata con l’integrazione de “la pratica dei metodi di indagine propri dei diversi ambiti disciplinari”.
Ne discendono pratiche laboratoriali in cui si affrontano i problemi che hanno contrappuntato l’evoluzione delle conoscenze disciplinari. [In rete: “Percorso didattico sui numeri naturali e sistemi di numerazione” può essere d’esempio].

Il rapporto Istati 2017 certifica l’inderogabilità del cambiamento: il 65% di quanti accedono alla scuola primaria sarà impiegato in lavori che oggi non esistono.

Da quanto esposto traspaiono due schieramenti. Da un lato si collocano le istanze per un’offerta formativa atta ad affrontare l’imprevedibilità e la dinamicità della società contemporanea: il potenziamento delle qualità intellettive e operative degli studenti è la loro bandiera.
Sull’altro fronte sono schierate le forze che radicano la loro filosofia sulla difesa della tradizione: la trasmissione del sapere è la loro ragion d’essere.

Chi sta vincendo lo scontro?

Uno spaccato della battaglia emerge dal confronto tra l’orientamento della legge 53/2003, che ha delegato al governo la funzione legislativa e ha collocato paletti di natura linguistica, e quanto esprimono le disposizioni impartite negli ultimi anni.

L’art. 2 della legge del 2003, sintetizzando la ratio della vigente normativa, orientava il Sistema educativo di istruzione e formazione: “Sono assicurate a tutti pari opportunità di raggiungere elevati livelli culturali e di sviluppare le capacità e le competenze, attraverso conoscenze e abilità, generali e specifiche”.

La legge 107/2015 ha modificato la denominazione dell’istituzione scolastica, ha depennato la finalità educativa per sostituirla con l’aggettivo nazionale.
Un cambiamento emblematico, sostenuto dalla sistematica e costante sostituzione del concetto “capacità” con abilità che, da mezzo sono elevate a fine dell’insegnamento.

Può essere utile ricordare che

Le capacità sono il fondamento della progettazione formativa, educativa e dell’istruzione.

Tutti gli insegnamenti, coordinati, devono mirare allo sviluppo delle capacità degli studenti.

Le abilità focalizzano lo stato attuale dei processi d’apprendimento.

L’ideazione (capacità) e il monitoraggio (abilità) dei processi di apprendimento sono due attività distinte, consequenziali.

La relazione capacità/abilità è analoga a quella che sussiste tra retta/punto.

Le capacità si rapportano all’imprevisto, al nuovo, al cambiamento mentre le abilità all’esistente, al consolidato: questa l’origine della resistenza alle prove Invalsi.

Le scuole che operano per abilità possono adottare una struttura organizzativa gerarchico-lineare, essendo gli insegnamenti disarticolati [CFR “La buona scuola”].

In questo contesto, vista la costrizione della mission della scuola alle abilità, il sottosegretario del Miur Salvatore Giuliano ha affermato (Perugia 30 settembre): “È evidente che i sistemi educativi sono carenti nello sviluppo delle soft skill” [capacità di percepire e risolvere problemi, capacità di lavorare in gruppo, capacità di leadership, capacità di prendere decisioni, capacità strategiche, capacità d’argomentare, capacità di assumere punti di vista differenti …].

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