Concorso docenti abilitati 2018, grave errore ammettere i laureati. Lettera

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Marilù Campione – Negli ultimi due mesi, ha avuto larga diffusione la notizia relativa a migliaia di “neolaureati” e “laureati” che con i decreti monocratici 3764/18, 3304/2018 e 3447/18 emessi dal Consiglio di Stato sono stati “ammessi con riserva” al Concorso docenti 2018 riservato ai docenti “abilitati”, nell’attesa delle sentenze definitive che dovrebbero essere emesse nei giorni 30 agosto e 20 settembre.

Eppure ammettere i laureati al Concorso docenti 2018 sarebbe un gravissimo danno per la scuola italiana, per la professione docente, per gli alunni e le loro famiglie. Del resto, come vedremo di seguito, non è neppure vero che i laureati sono stati sottratti dalla possibilità di abilitarsi. É proprio per manifestare il mio dissenso nei confronti dell’eventuale ammissione al succitato concorso dei laureati ricorsisti, che desidero dare voce a quanti come me per anni hanno profuso amore, impegno e dedizione verso la scuola e la professione docente rivolgendomi accoratamente ai giudici che dovranno emettere le sentenze definitive, invitandoli a riflettere con attenzione, in nome della giustizia, sul valore dell’insegnamento, sull’importanza della figura del docente e sul futuro degli alunni della scuola italiana.

A partire dagli anni Novanta anche in Italia, seppure con ritardo rispetto ad altri Paesi europei, è stata istituito il titolo dell’abilitazione, un titolo superiore al diploma di laurea che consentisse una maggiore qualificazione e maggiori competenze per lo svolgimento di determinate professioni, tra cui anche quella docente. Dapprima nacquero le SSIS, poi i TFA e infine i PAS, che consentivano di abilitarsi nell’attesa della pubblicazione e della partecipazione a un bando di concorso che una volta superato avrebbe garantito l’immissione di ruolo. Nessuno dei percorsi abilitanti elencati è stato scontato. Ognuno di questi infatti, ha previsto il superamento di prove preselettive, o semmai, come nel caso dei PAS, il requisito di almeno 3 anni di esperienza per accedervi. In ogni caso, neppure l’essersi abilitato garantiva gradualmente l’immissione in ruolo, ad eccezion fatta per coloro che sono stati inseriti nelle Gae. Anzi malgrado il conseguimento del titolo abilitante, molti docenti precari hanno dovuto svolgere ancora anni di precariato che tuttavia gli sono valsi per acquisire ulteriore esperienza nel campo scolastico.

On considerazione di quanto affermato finora chiederei ai giudici, se la riserva con cui i laureati ricorsisti sono stati ammessi con istanza cautelare dovesse essere sciolta a loro favore, quale beneficio potrebbero trarne la scuola, gli alunni e le famiglie, considerato che tali “laureati” sono privi sia delle competenze che avrebbero dovuto acquisire con anni di esperienza spesa nelle aule, sia delle competenze didattico- metodologiche e psico-pedagogiche che avrebbero dovuto acquisire frequentando un percorso abilitante?

Del resto, se i “laureati” dovessero essere ammessi al Concorso riservato alla pari degli “abilitati”, considerate le modalità di svolgimento dell’esame e del percorso, non avrebbero neppure l’opportunità di affinare le proprie competenze. Il bando di concorso per titoli ed esami per procedura concorsuale riservata a docenti “abilitati” infatti, salvo nei casi più gravi, non prevede la “non ammissione” allo stesso e i vincitori del concorso verranno immessi subito in ruolo, previo il superamento dell’esame di valutazione alla fine del primo anno scolastico. Tuttavia, una volta superato il concorso, il docente in classe si troverà ad operare in totale autonomia, senza neppure la guida di un tutor, esperienza superflua per chi dopo anni vissuti in aula ha pure seguito un percorso formativo abilitante che prevedeva momenti di tirocinio sotto la supervisione di un tutor, ma esperienza necessaria per chi non ha compiuto nessuna di queste. È in tal senso che lo scioglimento della riserva a favore dei “laureati” e l’ammissione alla “fase transitoria” comporterebbe un grave danno per la scuola e una tremenda ingiustizia per tante categorie di docenti.

La principale motivazione del ricorso con cui gli avvocati hanno agito a difesa dei loro clienti “neolaureati” e “laureati” è che questi sarebbero stati esclusi illegittimamente dal concorso in quanto sottratti dalla possibilità di partecipare ai percorsi abilitanti “ordinari”. Eppure si tratta di una motivazione subdola e falsa per ragioni sia di carattere legislativo quanto etico e morale.

La prima ragione è che chi non si è potuto abilitare, malgrado siano stati indetti i vari percorsi abilitanti, non può attribuire la colpa al MIUR. Il MIUR ha dato la possibilità di partecipare ai percorsi abilitanti, previo il superamento di alcune prove preselettive che hanno costituito una sorta di sbarramento legato al numero dei posti vacanti disponibili. È chiaro che se viene bandito un concorso, non tutti possono essere vincitori, ma solo un numero stabilito dal legislatore in base al fabbisogno, come è accaduto con le SSIS e i TFA. Confutabile è anche la teoria secondo cui chi non si è potuto abilitare né con i due cicli di TFA né con i due di PAS, sia stato precluso dalla possibilità di abilitarsi a causa delle modalità di accesso a entrambi i percorsi considerate “casuali e saltuarie”. È ovvio che chi non si è abilitato con i due TFA non era idoneo alle prove preselettive, e di ciò non ne può attribuire la colpa al MIUR, così come chi non si è potuto abilitare con il PAS. Quest’ultimo è vero che era riservato a chi aveva 3 anni di servizio nella scuola statale o paritaria, eppure chi può garantire che i 3 anni di servizio, piuttosto che per la mancanza di disponibilità delle supplenze, non siano stati raggiunti perché l’aspirante docente non ha accettato le supplenze per cui è stato convocato?

Il secondo motivo per cui non è vero che i “laureati” e i “neolaureati” sono stati sottratti dalla possibilità di abilitarsi e per tal ragione non devono essere ammessi alla procedura concorsuale riservata ai docenti abilitati, è legato alla legge 107, nota come “Buona scuola”, la quale piuttosto che essere “smontata” per la sua inefficienza, meriterebbe di essere molto apprezzata perché nella storia della scuola italiana, mai nessuna legge come la 107/2015 ha provveduto a definire e istituire un sistema di reclutamento dei docenti così chiaro e lineare come quello attuale, che permetterà “a tutti” di abilitarsi ed entrare gradualmente di ruolo nel giro di soli 3 anni, cosa del tutto impensabile per chi ha avuto “la possibilità di abilitarsi” prima del 2015.

Seguendo tale linea, neppure coloro che si sono laureati dal 2015 a oggi sono stati sottratti dalla possibilità di abilitarsi come, invece, hanno sostenuto i loro difensori che sono riusciti ad ottenere le ordinanze cautelari con i decreti monocratici citati all’inizio. Infatti, la “Buona Scuola” entrata in vigore nel luglio 2015, per i laureati dal 2015 a oggi, e non solo, prevede un percorso facilitato che gli offrirà l’occasione di ricevere formazione, esperienza e direttamente l’immissione in ruolo.

Se da un lato la legge 107 prevede una fase transitoria per chi ha già “acquisito l’abilitazione all’insegnamento o ha lavorato per tanti anni nella scuola”, dall’altro pensa anche ai laureati e per questo introduce il percorso triennale di formazione iniziale, tirocinio e inserimento nella funzione docente, il “percorso FIT”, che costituirà il canale di ingresso nell’insegnamento presso la scuola secondaria per tutti i laureati.

Come recita la legge 107, ai commi 180 e 181, dal Capo II al Capo IV “al FIT, di durata triennale, potranno partecipare tutti i laureati, purché abbiano conseguito almeno 24 crediti in settori formativi psico-antropo-pedagogici o nelle metodologie e tecniche didattiche”; il primo anno permetterà di conseguire il “diploma di specializzazione all’insegnamento”, per la frequenza del quale “il partecipante riceverà pure un compenso”. Tale “diploma di specializzazione” non è altro che la vecchia abilitazione e da come conferma il Capo IV della legge 107, potrà essere conseguito anche “da chi voglia farlo fuori dal concorso anche se a proprie spese e nel limite del fabbisogno determinato dal MIUR”.

I decreti attuativi con cui nel 2017 sono state fissate le modalità di svolgimento della fase transitoria e del nuovo sistema di reclutamento del corpo docente, prevedono anche che i “concorsi siano banditi, a partire dal 2018, con cadenza biennale”. Come ancora si legge al Capo V della legge 107, intitolato “Fase transitoria”, dal “2019 inizieranno i percorsi sia per chi ha 3 anni di servizio sia per chi ha conseguito la laurea” e ha poca o nessuna esperienza lavorativa nel mondo della scuola.

Da come si può notare, quanto riportato finora, che fa riferimento alla normativa vigente tuttora in Italia in materia scolastica e più precisamente in materia di reclutamento del personale docente, dimostra l’infondatezza del ricorso avverso al decreto ministeriale che ha istituito la pubblicazione del bando di concorso riservato ai docenti abilitati.

Tuttavia ci sono altre ragioni per cui a mio avviso i laureati non dovrebbero essere ammessi al concorso riservato, ragioni che, come ho già preannunciato, sono di carattere etico e morale. Sciogliere la sentenza a favore dei laureati, comporterebbe l’innegabile prerogativa di doversi assumere la responsabilità di inserire nel corpo docente della nostra nazione soggetti che oltre a non avere l’esperienza necessaria per l’insegnamento non è accertato che ne abbiano le competenze. Sappiamo come di recente in Italia si sia allargato il maglio verso coloro che conseguono le lauree non seguendo il giusto percorso formativo all’interno di una università che possa garantire la giusta formazione, bensì nelle università telematiche, delle quali in Italia, come è saputo e risaputo, non tutte possono garantire un percorso di formazione accurato, approfondito e serio tale da garantire una adeguata formazione. Alla luce di ciò la domanda che propongo è: davvero desideriamo che laureati che hanno conseguito la laurea presso università di discutibile serietà, che non hanno esperienza, che non hanno seguito un percorso di formazione abilitante alla professione docente e che soprattutto non avranno l’opportunità di seguirlo neppure dopo, entrino nelle classi delle scuole italiane per insegnare? Che cosa potrebbe insegnare una persona che nella vita piuttosto che guadagnarsi onestamente e con sacrifici ciò che ha, lo ha ottenuto con facilità?

Nel caso in cui i “laureati” dovessero essere ammessi al concorso docenti riservato, quale giustizia ci sarebbe nei confronti di coloro che onestamente hanno già affrontato delle spese per conseguire i 24 CFU in materie didattico- metodologiche e psico- pedagogiche nell’attesa del concorso loro riservato previsto dalla legge 107 e istituito con i decreti attuativi?

Quale giustizia ci sarebbe per la categoria dei docenti? Quando dico “categoria docente” il ventaglio si allarga anche a chi, ad esempio, pur non avendo conseguito l’abilitazione, da anni si dedica al mestiere del docente e magari non ha ricorso perché crede nei valori veri, quelli stessi che deve trasmettere insieme al sapere a degli adolescenti in una classe. Tra questi docenti, ad esempio, mi vengono in mente coloro che nel 2016, pur avendo dai 3 ai 6 anni di esperienza vissuta nelle aule scolastiche, tentarono di partecipare al “Concorso docenti 2016” con un ricorso che poi alla fine venne respinto. Ebbene, è forse diversa la situazione di questi docenti da quelli che si sono laureati dal 2015 a oggi? I ricorsisti 2016 erano veramente stati sottratti dalla possibilità di abilitarsi, perché allora i percorsi abilitanti erano “casuali e saltuari” a differenza di quanto ora garantisce la legge 107/ 2015.

Quando parlo di giustizia nei confronti dei docenti, mi vengono in mente anche i maestri e le maestre della scuola dell’infanzia e primaria, che si sono affannati il titolo di studio seguendo un percorso completo e privo di corsa agli ostacoli, che dopo anni di precariato e grande esperienza si sono visti precludere la possibilità di continuare a lavorare nella scuola con i loro bambini a favore di chi invece, pur non avendo vissuto un giorno di esperienza nella scuola sol perché inserito in una graduatoria di merito, è entrato di ruolo “rubando il posto” a chi è più competente ed esperiente.

Quando dico “categoria docente” però, il mio pensiero più grande va a chi ha conseguito l’abilitazione all’insegnamento, ha affrontato immani sacrifici e da anni si spende per la scuola, crede in essa e vuol continuare a farlo trasmettendone il giusto valore ai suoi alunni. La scuola vera è molto più che uno stipendio fisso alla fine del mese, quello tanto ambito da chi con un ricorso di poche centinaia di euro senza né arte né parte pensa di entrare subito di ruolo. La scuola è un’esperienza che va vissuta seguendo le giuste tappe, in maniera graduale con pazienza e con dedizione. La scuola italiana necessita di docenti di qualità che sappiano insegnare veramente e non di soggetti privi di qualsiasi tipo di qualificazione formativa e professionale.

O giudici, è per questo che sarebbe un grave errore ammettere i laureati al Concorso docenti 2018 riservato. Che sia dato loro il tempo giusto per comprendere e apprendere l’arduo mestiere dell’insegnante. Basta personale incompetente nella scuola italiana.

Concorso docenti abilitati, il 20 settembre Consiglio di Stato deciderà se ammettere 7.000 laureati

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