Concorso abilitati: ammissione laureati rischia di vanificare speranze ruolo

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Comunicato Associazione Coord. Naz. TFA – Abbiamo appreso con cauto ottimismo che l’emendamento per la riapertura delle GAE è stato ritenuto ammissibile e verrà dunque sottoposto alla votazione delle Camere.

Inutile dire quanto la prospettiva di una riapertura del doppio canale incontri il nostro favore e come essa sia l’unico vero riconoscimento per un percorso iniziato solo pochi anni fa con il superamento delle prove selettive per l’accesso al TFA, e che per molti prosegue tuttora nella trafila del precariato. Abbiamo sostenuto più volte la necessità che il  nostro percorso formativo e professionale venisse adeguatamente valorizzato,  e come in tal senso la cosiddetta “fase transitoria”, che dovrebbe garantire un canale esclusivo per l’assunzione dei docenti abilitati, sia una misura parziale e nel complesso non soddisfacente.

Purtroppo, anche questa misura rischia di essere vanificata dal solito ribaltone giuridico che, manco a dirlo, si verifica puntualmente nei mesi estivi. Una recente sentenza del Consiglio di Stato ha infatti ammesso in via cautelare i “semplici laureati” a sostenere le prove del concorso riservato. “Che vuoi che sia” – potrebbe obiettare qualcuno – “una cautelare che in otto casi su dieci non verrà confermata dalla Camera di Consiglio?”

Basterebbe tuttavia leggere le motivazioni della sentenza per ricavare – come ci è stato riferito da un parere competente – un’ indicazione già decisiva sull’orientamento dei giudici . La concessione della cautelare si basa infatti su quanto sancito da un’altra sentenza emessa recentemente (n. 03546/2018) dallo stesso CdS, che ha ammesso in via definitiva i laureati al concorso ordinario del 2016.

Come si può leggere ai punti 9 e 10 nella sezione relativa alle motivazioni:  “[9] Il concorso stesso [del 2016] infatti in tal modo si configurerebbe di fatto come concorso riservato, al quale potrebbero accedere solo determinati candidati, selezionati oltretutto in base a circostanze casuali. Potrebbero infatti accedervi non la generalità dei candidati, ma soltanto coloro che avessero già prestato servizio nell’amministrazione e intrapreso un PAS, ovvero coloro che fossero riusciti a conseguire un diploma di SSIS o di TFA, risultato come si è visto non disponibile alla generalità dei laureati. [10] Così come affermato dall’ordinanza 1836/2015, del resto in accordo con la costante giurisprudenza della Corte costituzionale, tale risultato può essere evitato attraverso un’interpretazione costituzionalmente orientata, oltre che conforme allo scopo della l. 107/2015, che è quello di superare il precariato come canale unico o preferenziale di accesso all’insegnamento, risultato che certamente non si potrebbe raggiungere ove non si consentisse di partecipare al concorso anche a chi un servizio precario non avesse mai prestato. Tale interpretazione adeguatrice considera applicabili alla fattispecie la norma transitoria a suo tempo dettata per la transizione dal sistema precedente alla l. 341/1990, in cui l’insegnamento era aperto ai semplici laureati, a quello che richiede l’abilitazione ”.

Se queste sono le premesse, non solo il “concorso riservato” rischierebbe di diventare una  pura finzione verbale , ma non vi sarebbe più alcuna tutela per i docenti abilitati nel passaggio al nuovo sistema di reclutamento. Si tratterebbe di fatto di un ulteriore ed ennesimo affronto alla nostra dignità di docenti selezionati e formati dallo Stato.

Non è nostra intenzione ricorrere a del facile allarmismo, tanto più in un contesto già molto teso a causa dei ritardi e dei vari problemi organizzativi del suddetto concorso riservato. Riteniamo tuttavia che, se il quadro appena descritto dovesse realizzarsi, ci sarebbero tutti i presupposti per intraprendere una  class-action volta alla tutela dei nostri diritti nonché al risarcimento dei danni subiti da una politica miope e da un’amministrazione inefficiente .

Non è una minaccia, ma piuttosto l’ammissione franca e diretta di essere ormai arrivati al limite.

Invitiamo dunque i componenti delle Commissioni Cultura di Camera e Senato a valutare la nostra situazione con serietà e responsabilità, considerando soprattutto le molto probabili ripercussioni negative in termini non solo professionali. Sarebbe una netta inversione di tendenza rispetto a un passato recente in cui troppo spesso abbiamo cercato di portare all’attenzione dei problemi che, oltre ad essersi puntualmente verificati, hanno causato anche numerosi  effetti collaterali nel quadro più generale della normativa sul reclutamento . Ecco perché crediamo sia finito il tempo delle promesse elettorali e che sia finalmente arrivato quello di trovare delle soluzioni – se possibile, delle soluzioni reali.

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