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Come sconfiggere la dispersione con la flipped classroom. INTERVISTA

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“Questa scuola non fa per me”. Sono troppi i ragazzi che decidono di abbandonare precocemente gli studi. I dati sono drammatici e il fenomeno sembra senza soluzione. Citando la dispersione scolastica, nel suo discorso di insediamento, il premier Giuseppe Conte ha parlato addirittura di emergenza.

Tanti giovani, espulsi dalla scuola, non studiano, non lavorano, spesso si arruolano nella malavita. E secondo i dati Invalsi altri giovani che invece si sono diplomati non sarebbero in grado di capire un manuale di istruzioni. Ma una soluzione potrebbe essere dietro l’angolo, almeno a sentire Maurizio Maglioni, docente di Chimica presso l’Istituto professionale “Domizia Lucilla” di Roma e presidente dell’Associazione Flipnet, la prima associazione italiana che promuove la didattica capovolta. Maglioni manda sul banco degli imputati “una scuola tradizionalista”, non al passo con i tempi, e una categoria di insegnanti che insegnano e interrogano e che spesso null’altro farebbero per destare l’attenzione degli studenti, e soprattutto per far aumentare l’attrazione dello stare a scuola.

“Noi proponiamo un modello di scuola attiva, libera, creativa e digitale – spiega Maglioni – con classi materia aperte, discipline facoltative e apprendimento cooperativo, che significa non lezioni frontali ma lavori di gruppo sin dalle elementari. Un modello che già funziona molto bene in Finlandia e dal quale dovremmo prendere spunto per migliorare la scuola italiana. Sarà questo il filo conduttore della tavola rotonda aperta a tutti, dal titolo “Dispersione scolastica: dati, criticità e possibili soluzioni” che si svolgerà a Roma, il 26 ottobre 2019 dalle 11.30 alle 13, presso l’Università degli Studi Roma3, via Silvio d’Amico, 77 – Roma alla quale sono stati invitati oltre al Ministro dell’Istruzione, Lorenzo Fioramonti, anche esponenti delle principali realtà – associative e istituzionali – impegnate per la ricerca e l’innovazione nella scuola. Lo stesso Fioramonti in un tweet ha rilanciato l’altro ieri l’importanza della didattica innovativa in quella che definisce “la scuola che vogliamo: didattica interattiva, lavori di gruppo e classe capovolta”. Obiettivo del convegno “sarà condividere idee e possibili soluzioni all’abbandono scolastico ed ai problemi di qualificazione professionale dei docenti – prosegue Maglioni – Chissà che così non si riesca a risparmiare anche i 30 miliardi l’anno che lo Stato spende per i giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano né lavorano né fanno formazione”.

Durante la tavola rotonda verranno presentati i risultati di un questionario, promosso da Flipnet, nel quale un campione significativo di studenti si è espresso sul proprio grado di soddisfazione in merito alla didattica e al tipo di sentimento rispetto alla scuola. Prenderà parte alla discussione anche Giuseppe Cardinale, lo studente di Taranto che ha fatto parlare di sé, come abbiamo riferito su queste colonne, per il suo esame di maturità. Dopo aver premesso alla Commissione di non essersi preparato per protesta, perché non condivide questo modo di fare scuola e dichiarando che se ne sarebbe assunto tutte le responsabilità, lo studente ha sciorinato tutto il suo sapere davanti ai docenti.

Quella di Cardinale è stata una lezione ai docenti di quale ruolo dovrebbe ricoprire la scuola e di come si dovrebbe svolgere la didattica. Partendo dalla domanda delle domande “che cosa lascia la scuola agli studenti” e dando subito la rispostala scuola lascia di fatto nei giovani un disinteresse incredibile e a volte addirittura un’ostilità raccapricciante nei confronti della cultura“, ha sciorinato tutta una sua tesi piena di riferimenti autorevoli. Ha parafrasato in negativo una frase di Julián Carrón, ‘la non pertinenza della scuola alle esigenze della vita si documenta nella incapacità della scuola di ridestare l’io’. Ha richiamato il detto sugli autori di Schopenhauersi impara a conoscerli soltanto dai loro scritti e non dai resoconti altrui’ per criticare come vengono insegnati i classici. La didattica innovativa secondo Maglioni potrebbe probabilmente rappresentare una chiave di volta anche per i ragazzi con Dsa, aiitati per ora solo con gli strumenti compensativie dispensativi. “Dare invece dieci minuti in più nei compiti non serve a nulla, non aiuta lo studente a crescere negli apprendimenti”, avverte il presidente di Flipnet. “Fa semmai capire allo studente di essere ancora più incapace”.

Professor Maurizio Maglioni, perché il titolo del convegno: “Questa scuola non fa per me”?

“Con il titolo si vuol dire che non è più il tempo di selezionare. Nessuno dei nostri ragazzi dev’essere lasciato indietro, proprio come diceva Don Milani, perché sarebbe anche un costo per la società. Ci siamo accorti che in una scuola tradizionalista e selettiva come la nostra ci sono dei ragazzi che non sono fatti per studiare. Come si diceva un tempo, la scuola non fa per te, braccia rubate all’agricoltura. Con un che di realtà. Una volta la società veniva divisa in classi, in impiegati e operai. Oggi non c’è più questo scopo eppure i bienni delle nostre scuole contano un 20 per cento di studenti esclusi dalla scuola perché non sono fatti per la scuola”.”.

 

Come fare?

 

“Abbiamo l’idea della classe capovolta, insegnamento fatto di attività in classe. In classe i ragazzi oggi non sono quasi mai attivi, i professori o spiegano o interrogano, o interrogano o spiegano. E quando i professori interrogano gli altri alunni non interrogati non fanno nulla. Con il risultato che chi vuole studiare lo fa a casa, tutti gli altri restano indietro. Con un enorme costo dato dalla mancata istruzione. Esistono delle rappresentazioni di tutto questo nel cono di Dale: se ascolto – si dice – arrivo al 10 per cento dell’apprendimento, se uso un audiovisivo arrivo al 30, se ascolto, faccio un esercizio e anche un lavoro di gruppo arrivo al 70, se oltre a tutto questo spiego anche ad altri compagni ciò che non sanno – non ai docenti che sanno ciò che stai per dire ma a chi non sa, è questo il punto fondamentale – si arriva al 90 per cento dell’efficacia dell’insegnamento. L’insegnamento tra pari è importantissimo. Con la flipped classroom, la classe capovolta, la spiegazione si fa a casa con il video e sui libri. I compiti si fanno a scuola. In classe svolgono attività scritte e orali e cooperative in tutte le materie. Ci sono esperienze positive per singoli insegnanti, interviste, libri. Però non abbiamo una scuola statale capovolta, se non qualche scuola privata”.

E i docenti non sarebbero preparati a questo compito?

“La maggior parte dei docenti non ha mai fatto studi di pedagogia. Non hanno imparato come gestire e valutare un lavoro di gruppo. La formazione dovrebbe essere un’attività obbligatoria, quantificata e remunerata degli insegnanti. La formazione non è mai una perdita ma è sempre un risorsa. L’insegnante che è veramente capace di non escludere nessuno e di praticare l’inclusione, ecco, questo insegnante sarebbe una risorsa per la società. Impedirebbe anche l’affollamento di coloro che chiedono il reddito di cittadinanza e terrebbe tanti giovani lontano dal mondo del lavoro nero e della criminalità. Occorre dare agli insegnanti un aumento di stipendio legato alla formazione. Al convegno proponiamo non una protesta contro le cose che non vanno. Proponiamo di formare gli insegnanti su sistemi di apprendimento attivi, quali la flipped classroom, la classe capovolta , l’autoapprendimento, l’autovalutazione, la didattica digitale, i compiti autentici o di realtà, il Debate, attività queste da svolgere a scuola al posto della didattica tradizionale”

Spieghi a chi non conosce l’argomento che cosa sono i compiti di realtà

“I compiti autentici o di realtà sono dei compiti nei quali c’è da lavorare su una simulazione. Ad esempio, invece di chiedere di ripetere quanto studiato sull’Unione Europea si può chiedere ai nostri studenti di scrivere una lettera ai coetanei della Svizzera proponendo loro di entrare nell’Unione Europea. E spiegando i motivi. E poi pensiamo all’importanza del Debate”.

Faccia un esempio di Debate, il dibattito.

“Si danno alla classe due tesi: è vero o non è vero che una sola sigaretta al giorno non fa male. Per affrontare un discorso del genere occorrono informazioni di psicologia, di scienze, di biologia e di tante altre materie, ma il Debate non è l’unica risorsa che può portare la scuola fuori dalle secche della dispersione e dell’esclusione. C’è anche l’apprendimento cooperativo autovalutato. In questa cosa lavorerebbero tutti, anche i ragazzi con Dsa. Il lavoro di coppia dà sempre maggiori risultati. Dare invece dieci minuti in più nei compiti non serve a nulla, non aiuta lo studente a crescere negli apprendimenti. Fa semmai capire allo studente di essere ancora più incapace. La metà degli studenti con bes ancora non viene certificata. Ci sono ragazzi che hanno gravissimi disturbi di apprendimento e le famiglie non li portano alla diagnosi. Ce ne accorgiamo, lo diciamo da anni nei convegni. Non lo possiamo documentare perché non ci sono ancora dati disponibili. Ma i docenti ci dicono che in ogni classe dove c’è un ragazzo con Dsa c’è un altro che non è certificato. Alcune famiglie nascondono le certificazioni nel timore che ci siano discriminazioni. Altre famiglie non vogliono il sostegno. E questo è comprensibile, poiché tanti docenti sono privi di qualifica e fanno danni al ragazzo e discreditano la categoria degli insegnanti di sostegno qualificati che invece sono bravissimi. Questo danno non si può rimarginare. Se una famiglia non consegna o non provvede alla certificazione, gli insegnanti lo riempiranno di voti negativi, arriverà la depressione, poi altri voti negativi e depressione ulteriore. Noi queste cose le vediamo tutti i giorni, le discutiamo nei convegni, siamo un’organizzazione che è a contatto quotidianamente con i problemi della scuola, abbiamo la soluzione ma i governi non ci ascoltano, speriamo che almeno adesso il ministro venga a trovarci il 26 ottobre, è il ministro che ha parlato di classe capovolta, in un tweet. Sono sei anni che aspettiamo un ministro”.

Torniamo alla classe capovolta, faccia un altro esempio

“La spiegazione si fa a casa con il video e sui libri. I compiti si fanno a scuola. In classe si svolge attività scritta e orale e cooperativa in tutte le materie”.

Ma i problemi ci sono sempre stati, non si può pensare a un’emergenza dell’ultima epoca

“I problemi ci sono stati sempre. E’ dal Dopoguerra che i docenti svolgono solo didattica trasmissiva, da quando abbiamo cacciato la Montessori nel 1935 e non l’abbiamo più fatta tornare in Italia, nemmeno per seppellirla. Nonostante Mario Lodi, Maria Montessori, Don Milani, non abbiamo mai ascoltato chi dice che è necessaria la formazione vera. Sono poche le ore che i docenti dedicano alla formazione in trent’anni di insegnamento. Aggiornarsi 50 ore all’anno per 30 anni sono 1500 ore. E’ come se agli insegnanti mancasse una seconda laurea. Un docente laureato trent’anni fa sempre le stesse cose, che non sono mai state aggiornate, a meno che non abbia fatto formazione volontaria. E la legge 107, la Buona scuola, che ora lo ha sancito, non ha previsto il numero delle ore, per cui è sufficiente che uno faccia anche mezz’ora di formazione all’anno ed è a posto. Un altro dato Miur ci dice che dei 500 euro della carta del docente vengono spesi solo il 7 per cento per formazione. Il 93 per cento non viene speso per la formazione. Ma se spendo 35 euro all’anno, seguirò un corsetto che vale poco. Invece occorre incentivare gli insegnanti a formarsi seriamente. Gli studenti nel nostro sondaggio lamentano che i loro insegnanti non sanno fare altro che spiegare e interrogare. Non c’è altro che succede in classe se non grazie a un 5 per cento di docenti che ha imparato pratiche innovative e attive. La pratica attiva si esercita dappertutto in Europa. In Italia no, spesso neppure nei laboratori, e i genitori lo hanno capito e allora non danno neppure i soldi del contributo volontario, tanto che, ad esempio, in alcuni istituti alberghieri si usano solo tre pesci per insegnare a 100 ragazzi a cucinarlo. La scuola non è più capace di dare un messaggio positivo alle nuove generazioni. Whatsapp è pieno di critiche verso la scuola e i docenti. Saranno anche sbagliate, ma queste lamentele vanno ascoltate. Invece non si chiede mai agli studenti e alle famiglie di dire se sono contenti o meno e perché. Pensi quanto si potrebbe migliorare se prendessimo esempio dal customer service di Booking.com che trasforma ogni lamentela in un’opportunità di miglioramento”.

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