Compiti a casa, la loro rottamazione è diseducativa. Lettera

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Il problema dei compiti a casa, anche a causa  della nota dell’Organizzazione Mondiale della Sanità in cui si afferma  che gli studenti italiani sono stressati a causa dell’eccessivo carico di lavoro domestico, sta catturando l’attenzione dei media nazionali e creando un vivace dibattito all’interno delle varie istituzioni sociali, educative e ministeriali.

La scuola, dicono, fa contro educazione, anziché favorire i processi di apprendimento, contribuisce a creare ed a propagare la fobia dei compiti a casa e la conseguente negazione del diritto al tempo libero.

Si arriva così alla conclusione che la scuola con i suoi metodi educativi, sta paradossalmente creando una popolazione che si illude di aver ricevuto una adeguata e corretta educazione, in realtà, sta formando un numero crescente di giovani il cui livello d’ istruzione è in continua regressione.

Per quanto riguarda gli  attuali metodi d’insegnamento, c’è la convinzione che la scuola non sia più in grado di innalzare in modo significativo e positivo il livello culturale della società. I programmi, i metodi e le condizioni di apprendimento  nelle quali si vengono a trovare i nostri studenti, sono strutturati in maniera rigida, restrittiva e generalizzata, che non riescono  a compensare le difficoltà ed a rispondere ai bisogni di una società fortemente informatizzata e in rapida trasformazione.

Inoltre, i rapporti tra scuola e famiglia, diventati sempre più conflittuali, fanno aumentare lo scetticismo e provocano seri dubbi sulla capacità della scuola di risolvere i problemi derivanti dalla delusione nei confronti dell’efficacia delle attuali strategie educative e didattiche.

Non si considera più accettabile  che il sistema educativo obblighi gli studenti a trascorrere ore e ore sui libri, non si accetta più l’impegno, lo sforzo, il sacrificio, come unico mezzo per divenire padrone della cultura e del sapere  tramite l’educazione.

Si  ha, comunque,  la sensazione che sulla  questione aleggi  una eccessiva strumentalizzazione e non pochi capricci della politica. Infatti, se vogliamo realmente raccogliere la sfida e far fronte alle responsabilità dell’educazione, occorre permettere alla scuola di assumere la funzione, l’autorità e l’autonomia che le compete. Senza un continuo impegno e una continua riflessione, non è possibile cogliere il significato e il valore dell’educazione. Il cammino educativo non può non essere costellato dal lavoro che edifica, da studenti e docenti che lavorano per costruire.

Tutti coloro che hanno responsabilità  educative,  corrono e  si affaticano, ma se l’educando non fa la sua parte, invano vi faticano i costruttori.

L’alunno, quindi, per divenire pienamente uomo e padrone dei poteri supremi della società, guidato dall’impegno, sorretto dalla gratificazione quotidiana, animato dal paziente amore per la ricerca,  deve compiere il proprio dovere, deve svolgere la sua parte essenziale, quella che riguarda il suo futuro di uomo e cittadino.

Forse, oggi,  tanta fragilità psicologica, riscontrabile nelle nuove generazioni, è da attribuire ad un falso concetto di educazione, irreale, chiusa, idealistica, che ha difficoltà  a far comprendere che  il lavoro faticoso e dinamico dello studio e della cultura,  è sempre stato l’ arma  migliore  per la formazione dell’uomo.

L’educazione quella vera, autentica,  non è fatta di parole (lezione frontale) come si vuol lasciare ad intendere. Accanto alle parole ci sono le persone, le cose, i gesti, gli eventi. L’educazione è, soprattutto,  un insieme fatto di azioni, proposte,  adempimenti, correzioni; a chi ha una visione marginale e fallimentare della  scuola,  bisogna dire che la funzione docente non è semplicemente trasmissione e istituzionalizzazione di conoscenze e saperi codificati, ma educazione  alla vita attraverso  il vissuto quotidiano che non è costellato da eventi onirici, ma da successi e insuccessi che derivano dal rapporto profondo tra realtà,  educazione e impegno.

Senza il richiamo a questo  dinamismo educativo fondato sul lavoro, significa togliere i ragazzi dalla realtà, per introdurli in un mondo irreale, in uno spazio di idee dove i fallimenti, le difficoltà, le frustrazioni, diventano macigni che agiscono in modo diseducativo e destrutturante.

La forza con cui bisogna correggere e guidare, promuovere ed orientare,  non può venir meno, non può essere sostituita da generici buonismi e  sentimentalismi che non stimolano l’uomo dall’interno. In educazione, pur rispettando il principio della gradualità,   bisogna avere il coraggio di dire la verità.  E la verità, come dice San Giovanni Bosco,  è un terreno che deve essere continuamente dissodato, lavorato, controllato, corretto per permettere alla persona di crescere immune dai vizi e dai difetti  e dalle pulsioni egoistiche che tendono al disimpegno.

Educare non vuol dire accontentare, agevolare, facilitare, dissimulare lo scontento, ma più realisticamente,  avere il coraggio di far affrontare piccoli sacrifici e sforzi a chi viene educato. Ciò nasce dalla passione educativa di tanti docenti  che hanno bene in mente il fine da raggiungere, che ricorrono alla discrezione del dialogo a tu per tu, che sanno trovare il modo e il tempo giusto, ma non rinunciano mai alla sollecitazione, all’impegno e all’applicazione seria, costruttiva  e responsabile.

Nella maggior parte delle nostre scuole non si educa e non si assegnano compiti a casaccio; l’azione educativa è sempre ben mirata e una attenta e scrupolosa  progettualità, consente di operare con saggezza ed equilibrio nei diversi e difficoltosi  momenti del cammino educativo.

Se,  a volte, i risultati si discostano  dalle statistiche degli standard europei, non è  giusto, né corretto, contestare a priori presunti atteggiamenti e metodi di insegnamento sbagliati. Ciò che sta dietro il non adeguato rendimento scolastico è da ricercare, piuttosto, nelle diverse e multiformi esperienze educative all’interno della famiglia, della scuola e della società, spesso in contrasto, in competizione  e in contraddizione tra loro.
È diseducativa, inopportuna, improduttiva  e poco saggia la rottamazione dei compiti a casa.

Fernando Mazzeo (Docente Scuola Secondaria di Primo Grado)

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