Canicola, “BEF” e benessere

Di Lalla
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SISA – La canicola batte troppo forte dalle parti di viale Trastevere. È tutto un "BEF" e un “benessere organizzativo”.

SISA – La canicola batte troppo forte dalle parti di viale Trastevere. È tutto un "BEF" e un “benessere organizzativo”.

Perché la scuola stessa è un BEF, un bisogno educativo speciale. È poi ovvio che esistono mille casi, o almeno trenta, come ciascun ragazzo di una classe.

Allora bisogna ammettere che non esiste una univocità da Invalsi, ma solo la relazione educativa, che viene sempre meno, perché i dirigenti scolastici, più o meno loro malgrado, pur con luminose eccezioni, alla relazione educativa preferiscono la sottomissione omologante, dei docenti verso di loro e dei discenti verso i docenti, in una spensierata e anacronistica organizzazione che al “benessere” preferisce il vassallaggio e il servilismo. Parlare di benessere organizzativo è quindi assurdo, soprattutto quando i dirigenti invece di organizzare, pretendono e preferiscono comandare.

La scuola collassa perché non è lo strumento o il metodo che determinano la profondità dello studio ma il loro uso in vista di un fine, e se il lavoro non lo è più, lo potrebbe essere l’orizzonte della cittadinanza, ma, ancora una volta, questo nasce solo e soltanto nella libertà educativa, nella relazione educativa, in cui insegnare significa formare senza vincoli oscurantisti e antieducativi le curiosità intellettive che portano i ragazzi e le ragazze ad essere, loro, protagonisti della costruzione dei saperi che li rendono cittadini, in attesa delle possibilità reali per praticarle, nella società, prima ancora che sul posto di lavoro.
Insegnare è semplicemente qualcosa di difficilissimo, ovvero stabilire una relazione di rispetto e di stima reciproca tra docente e studente.

Il filosofo newyorkese Richard McKay Rorty diceva che è qualcosa di accidentale, imprevedibile, non programmabile. Don Milani, con più francescana umiltà e determinazione, sosteneva che occorre un cammino compiuto da entrambi, docente e discente, senza barriere, senza voti, senza registri, utilizzati troppo spesso come strumenti di potere e di giudizio, mannaie brandite come scimitarre per distruggere i saperi prima, i ragazzi dopo e la scuola alla fine.

Ancora e sempre quindi la centralità della relazione educativa. Questo serve per dare ai giovani strumenti di libertà, per permettere loro di diventare cittadini attivi, partecipi, intelligenti. Anche capaci di adattarsi alle difficoltà. Ma il potere non vuole ragazzi intelligenti e poliedrici e la scuola si adatta alle richieste del potere. Mortificandosi, mortificandoci. Confindustria dal 1995 reclama menti d’opera emancipate dal pensiero critico (convengo di Venezia con l’allora ministro Lombardi loro espressione), vuole insomma schiavi in giacca e cravatta, donne e uomini obbedienti.

Eppure don Milani ci obbliga quotidianamente, se non vogliamo tradire il nostro essere docenti, a predicare la disobbedienza, perché “l’obbedienza è la più subdola delle tentazioni”, la più squallida, la più avvilente delle rinunce.

Salvare la scuola forse si puòٍ, solo tuttavia con la relazione educativa.

Davide Rossi
Segretario generale

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