Basta con le insegnanti crocerossine, siamo educatori. Lettera

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inviata da Cristina Sbarra – “Per me siete tutti uguali e io vi tratterò allo stesso modo”. Dice la professoressa. Ma così fai morire la scuola, è l’accusa di Don Milani. Perché non siamo tutti uguali, e non puoi pretendere alla stessa maniera da un ragazzo ‘fortunato’ , di buona famiglia borghese, e da un ragazzo che viene dal mondo contadino e povero.

Quest’ultimo non potrà darti allo stesso modo studio e risultati. La scuola che rifiuta i più “deboli” e poveri, è una scuola che fallisce, come dice la lettera a una professoressa: “Se si perde loro, la scuola non è più scuola. È un ospedale che cura i sani e respinge i malati. Diventa uno strumento di differenziazione sempre più irrimediabile. E voi professoressa ve la sentite di fare questa parte nel mondo? Allora richiamateli, insistete, ricominciate tutto da capo all’infinito a costo di passar da pazzi. Meglio passar da pazzi che essere strumento di razzismo.”

Ma lo sappiamo bene, noi insegnanti, quanto vere sono quelle parole, e perciò spesso abbiamo adottato implicitamente, nella nostra libertà d’insegnamento, due pesi e due misure: chi non ha preteso di meno da chi ci poteva dare di meno, ma sapevamo che ci aveva messo tutto? Chi non ha aiutato i volenterosi, anche se non potevano arrivare più in là, ma davano il massimo?

Specialmente ora, con i molti figli di immigrati che siedono tra i banchi delle nostre classi, chi nega la necessità di una didattica ‘ad personam’ e inclusiva, ai nostri giorni? E’ diventato naturale, oltre che normato dalle linee guida sui ‘BES’ , applicare due pesi e due misure: solo così si può lavorare in sintonia con gli studenti, dando opportunità a tutti.

Però c’è un però: quando l’inclusività estrema arriva alla tolleranza verso comportamenti scorretti e reiterati, si può intaccare il rapporto di rispetto tra alunno e insegnante, e si può perdere la credibilità. A volte, infatti, assistiamo ai sermoni dei paladini delle ‘situazioni difficili’, ovvero docenti che si ergono a psicologi-confessori che difendono allo spasimo i loro ‘casi umani’: quelle (a dir loro) vittime di mamme-mostro, o di famiglie allo sbaraglio, che vanno difese ad ogni costo inducendo i consigli di classe a tollerare senza colpo ferire i comportamenti a dir poco maleducati.

Ma se è vero che le colpe dei genitori non devono ricadere sui figli, allo stesso modo, diciamo noi, le colpe dei figli non dovrebbero ricadere sui genitori, come Caino e Abele insegnano. E anche quando ci sono babbi assenti o mamme deboli e pressanti, ciò non toglie che un adolescente debba essere in grado di applicare quelle regole basilari di rispetto verso gli altri, che sono tipiche dell’educazione alla cittadinanza imparata a scuola fin dall’asilo. Per cui c’è da augurarsi che gli insegnanti si svestano del ruolo di crocerossine per riprendere quello primario di educatori, perché la scuola non è né un ospedale né un riformatorio. Che l’inclusione scolastica sia sociale e didattica, sì, ma non del comportamento più scorretto e della maleducazione reiterata!

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