Assistenza a famigliare con handicap concetto di convivenza non coincidente con quello di coabitazione

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Un Tribunale in sede penale assolveva un medico, perché il fatto non costituiva reato, dal reato di truffa aggravata ai danni della ASL locale per aver falsamente asserito di essere convivente con la madre affetta da gravi disabilità, palesando la necessità di assisterla, ottenendo così dall’ente di appartenenza un congedo straordinario retribuito per l’assistenza alla predetta, e svolgendo invece attività libero professionale quale medico psichiatra presso la casa di quest’ultima.

Il medico residente anagraficamente presso la madre, portatrice di handicap grave, e di fatto dimorante, invece, con moglie e figlia presso altra abitazione, aveva ottenuto autorizzazione di svolgere attività intra-moenia, comprensiva di utilizzare lo studio professionale presso tale abitazione. Successivamente gli era stato concesso un periodo di aspettativa retribuita al 100%, ai sensi dell’art. 42 comma 5 D. Lgs. 151/2001, per assistere la propria madre, ma le indagini avevano consentito di verificare l’utilizzo dello studio presso l’abitazione di quest’ultima per visite private, in tale periodo, come riconosciuto anche da un paziente sorpreso sul posto dai carabinieri.

La sentenza di primo grado, sulla base delle dichiarazioni rese dalla badante della madre del medico , e di numerose altre dichiarazioni assunte mediate indagini difensive, ha ritenuto che l’imputato avesse proseguito l’attività libero professionale, ma solo sporadicamente e in minima parte rispetto all’attività professionale nel periodo precedente l’aspettativa, e ciò in violazione della normativa di cui beneficiava, ma senza incidenza determinante sull’ipotesi di reato contestata, avendo comunque tale attività consentito all’imputato di assistere la madre, grazie alla sua quotidiana presenza presso l’abitazione di questa, in tal modo integrando la semplice assistenza domestica della badante.

La Cassazione Penale con la Sentenza n. 24470 del 17/5/2017, su questo caso, afferma un principio che oramai possiamo definire consolidato in materia di assistenza a familiare portatore di handicap sul concetto di convivenza e non coincidenza con quello di coabitazione . Così i giudici: “Va premesso, infatti, che non può riconoscersi alcuna falsità nell’affermazione del R…. di essere convivente con la propria madre, atteso che, come questa Corte di Cassazione ha già avuto modo di affermare, in coerenza con l’assunto del ricorrente, in tema di assistenza al familiare portatore di handicap il concetto di convivenza non può essere ritenuto coincidente con quello di coabitazione poiché in tal modo si darebbe un’interpretazione restrittiva della disposizione che, oltre che arbitraria, sembra andare contro il fine perseguito dalla norma di agevolare l’assistenza degli handicappati, di talché sarebbe incomprensibile escludere dai suddetti benefici il lavoratore che conviva costantemente, ma limitatamente ad una fascia oraria della giornata, con il familiare handicappato al fine di prestargli assistenza in un periodo di tempo in cui, altrimenti, di tale assistenza rimarrebbe privo……  giacché quel che rileva è, comunque, la prestazione di un’assistenza assidua e continuativa alla portatrice di handicap.”

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