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Aspettativa per motivi di famiglia: ci vuole un servizio attivo di 6 mesi per chiedere ulteriori periodi

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L’aspettativa per motivi personali e familiari ha una durata ben precisa. Ci sono dei casi però in cui il calcolo diventa difficile. Facciamo chiarezza.

Un dirigente scolastico scrive

Gentilissimi, sottopongo alla vostra cortese attenzione questo quesito. Una docente di scuola primaria ha preso servizio il 1 settembre 2019 nel mio Istituto proveniente da una scuola di Modena dove si era collocata in aspettativa per motivi personale per 8 mesi. Dopo aver prestato regolarmente servizio nella scuola da me diretta dal 1 settembre al 10 ottobre 2019, la docente si è messa in malattia e intende rimanerci per un periodo di 6 mesi al fine di maturare una ripresa effettiva del servizio prima di ricollocarsi in aspettativa, maturando in questo caso la possibilità di fruire di 30 mesi di aspettativa in un quinquennio. Leggendo la norma, l’aspettativa frazionata, quindi inferiore ad un anno, se interrotta da un periodo di almeno sei mesi di servizio effettivo, dà la possibilità di fruire di 30 mesi, ma mi chiedo se la malattia sia servizio effettivo. Ringrazio anticipatamente per la vostra preziosa e sempre puntuale consulenza.

Durata dell’aspettativa

Ai sensi dell’art. 69 e 70 del D.P.R. n. 3 del 10 gennaio 1957 l’aspettativa per ragioni di famiglia, personali e di studio può essere richiesta senza soluzione di continuità o per periodi frazionati.

  • Se fruita senza soluzione di continuità, non può avere una durata superiore a 12 mesi.
  • Se fruita per periodi spezzettati o frazionati non può superare in ogni caso, nell’arco temporale di un quinquennio, la durata massima di 30 mesi (912 gg.=365+365+182).
  • Per motivi particolarmente gravi si può chiedere un ulteriore periodo di 6 mesi.

Ci si riferisce a periodi come da “calendario” indipendentemente dall’a.s. scolastico di riferimento.

Rientro in servizio di 6 mesi

L’art. 70 del DPR 3/57 dispone che due aspettative inferiori all’anno si considerano un unico periodo se il periodo di lavoro tra essi non supera i 6 mesi.

Quindi, l’aspettativa per motivi personali o di famiglia viene attribuita, come detto, per un periodo massimo di 12 mesi, da fruire in maniera continuativa o frazionata:

  • due periodi di aspettativa intervallati da servizio attivo inferiore a 6 mesi, si sommano fino al limite massimo dei 12 mesi possibili (in questo caso, i periodi, anche se separati, si considerano come “continuativi”);
  • se il servizio attivo è superiore ai 6 mesi il computo massimo dei 12 mesi ricomincia daccapo (ovviamente sempre nei limiti complessivi dei 30 mesi e temporale del quinquennio).

Conclusioni

Dal quesito posto dal dirigente è chiaro come la docente in questione abbia fruito di 8 mesi di aspettativa, sia poi rientrata in servizio per circa 40 giorni (a meno che l’aspettativa precedentemente richiesta non era fino a giugno, quindi si aggiungerebbero i due mesi di luglio e agosto ai 40 gg. dal 1 settembre al 10 ottobre) e ora è in malattia.

La norma richiamata è chiara nell’affermare che due periodi di aspettativa intervallati da “servizio attivoinferiore a 6 mesi, si sommano fino al limite massimo dei 12 mesi possibili.

Nel caso quindi esposto dal DS la docente ha fruito di 8 mesi, per cui gliene rimarrebbero solo 4 per raggiungere i 12 mesi possibili (frazionati o continuativi), a meno che non rientri in servizio attivo per almeno 6 mesi in modo da poterne richiedere anche nuovamente 12 sempre ovviamente nel limite dei 30 mesi in un quinquennio.

Bisogna quindi stabilire se per “servizio attivo” si intenda o meno anche la malattia.

L’ARAN con l’orientamento RAL_1157_per gli Enti locali afferma che

“l’avviso della scrivente Agenzia è nel senso che la malattia è equiparata al servizio ma non è “servizio attivo” […] Conseguentemente, essa non può essere valutata come servizio attivo ai fini della  applicazione delle previsioni contrattuali di cui si è detto.”

La ciroclare M_D GCIV 0045501 08-07-2015 MINISTERO DELLA DIFESA
DIREZIONE GENERALE PER IL PERSONALE CIVILE 2° Reparto – 4^ Divisione – 1^ Sezione dispone:

Dunque, nella nozione di “servizio attivo” possono rientrare le ferie, i cosiddetti “recuperi delle festività soppresse” (L. 937 del 1977), i giorni di assenza per terapia salvavita, i permessi sindacali retribuiti (quindi anche i permessi retribuiti per i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza), il distacco sindacale, l’interdizione dal lavoro, i congedi di maternità e paternità, i congedi parentali, i congedi per malattia del bambino, i riposi giornalieri (quindi anche i permessi giornalieri) previsti dal D.Lgs. 26/03/2001, n. 151, i permessi ex legge 104/1992.  Non appare invece riconducibile a “servizio attivo” il congedo di cui all’art. 42, 5° comma, D.Lgs. 151/2001 (che è indennizzato, utile ai fini previdenziali, ma non è computato nell’anzianità di servizio). La malattia non può essere considerata “servizio attivo

Concordo con i pareri su esposti in quanto la norma è chiara nel disporre il servizio “attivo”, includendo quindi in tale nozione una ripresa effettiva di servizio, tranne quei casi in cui appunto la  norma stessa che regola l’assenza non dispone il permesso o il congedo come servizio effettivamente prestato, nel caso, per esempio, dei congedi di maternità e paternità.

Resta comunque la possibilità alla docente di richiedere gli ulteriori mesi fino al raggiungimento dei 12 complessivi e successivamente altri 6 mesi di carattere eccezionale (quindi 12+6). Art. 70 ultimo periodo DPR 3/57 (parte ancora in vigore per il personale della scuola).

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