Anticipo a 5 anni: perché prendersela con l’unica scuola che funziona davvero?

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di Eleonora Fortunato – La scuola dell’infanzia è il nostro fiore all’occhiello, ma norme contraddittorie, nel silenzio generale, l’hanno minata dalle fondamenta. Così adesso il Ministro può dire: mandiamo i figli a scuola un anno prima, perché la scuola, quella vera, inizia dalla primaria.

di Eleonora Fortunato – La scuola dell’infanzia è il nostro fiore all’occhiello, ma norme contraddittorie, nel silenzio generale, l’hanno minata dalle fondamenta. Così adesso il Ministro può dire: mandiamo i figli a scuola un anno prima, perché la scuola, quella vera, inizia dalla primaria.

 E’ questa in sintesi la risposta del Presidente del CIDI (Centro di Iniziativa Democratica degli Insegnanti) Giuseppe Bagni alle recenti dichiarazioni del ministro Stefania Giannini circa la supposta necessità/opportunità di ripensare l’ingresso dei bambini nella scuola primaria. 

“Non è intaccando la scuola dell’infanzia – esordisce subito il Presidente – che si libereranno risorse per la scuola e si farà qualcosa di concreto contro il dato allarmante del 46% di disoccupazione giovanile”. E allora perché l’anticipo sta diventando sempre più un tema da inserire nell’agenda di chi governa? “E’ un problema inventato, in questo momento storico abbiamo bisogno di un plus di formazione, non di un minus”. Non mancano le responsabilità politiche: “Non c’è stato alcun reale interesse da parte del ministero a provare a esportare verso gli altri ordini di scuola ciò che nella scuola dell’infanzia funziona. Anzi, il ritorno al maestro prevalente è stato la dimostrazione palese del rifiuto del modello di lavoro di squadra che invece è risultato così produttivo ed efficace con i bambini da 3 a 6 anni”. 

“Ma perché stupirsi – prosegue Bagni – il successo della scuola dell’infanzia rappresenta il successo di un modello di scuola non tradizionale, dove si impara senza non saper leggere e scrivere, in cui non ci sono schemi trasmissivi”. 

Poi il Presidente del Cidi ci spiega il concetto di ‘disattenzione attiva’: “Pensiamo a come ci siamo occupati della scuola dell’infanzia in questi ultimi anni. Prima l’esaltazione: la scuola migliore del mondo, il gioiello di famiglia. Poi ci sono stati gli attacchi frontali: l’anticipo in ingresso e in uscita, le sezioni primavera, l’organizzazione del tempo scuola a richiesta delle famiglie. Infine, il silenzio. Sono anni che nessuno si occupa più di questa scuola, almeno formalmente, con interventi diretti”.

Bagni ci rammenta che consapevolmente si è scelta la strada di un aumento progressivo ma costante del numero dei bambini per sezione, dell’inserimento senza regole dei bambini anticipatari, del mancato rispetto di qualunque parametro per l’inserimento dei bambini diversamente abili, dell’assenza di fondi per l’acquisto anche solo del materiale di facile consumo “il tutto nel silenzio generale, senza clamore, senza decreti, in modo che la confusione creata da norme contraddittorie e ambigue generasse una prassi non totalmente legittima, ma sicuramente forte, perché basata sul soddisfacimento di interessi altrettanto forti (quelli delle famiglie, quelli degli organici, quelli di ottenere un consenso spendibile in altri settori)”.

La ‘disattenzione attiva’, insomma, conclude il Presidente, “è stata ed è un’arma potentissima che è riuscita a indebolire questo segmento scolastico, a minarne l’identità e i capisaldi sui quali stava costruendo i suoi standard di qualità. È per questo che la Ministra può dire impunemente che la soluzione a tutti i problemi della scuola italiana sta nel mandare i figli a scuola un anno prima”. Perché, insomma, nonostante tutta la pedagogia e tutta la retorica che ruota intorno all’infanzia e alla sua scuola “la scuola, quella vera, inizia dalla scuola primaria”.

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