Anche i docenti che amano la scuola non sono esenti dall’usura psicofisica

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Chi investe tempo, energie ed entusiasmo nell’esercizio del proprio lavoro può anche trarre le conseguenti gratificazioni ma si usura parimenti ai suoi colleghi.

Possiamo ricorrere alla metafora del maratoneta che, grazie a un allenamento costante e infaticabile, migliora le sue performance ma al contempo consuma le sue cartilagini articolari fino ad arrestare la sua attività podistica. Con le riforme previdenziali scolastiche “al buio”, che non hanno deliberatamente tenuto conto del fisiologico invecchiamento dei lavoratori, né delle malattie professionali degli insegnanti, ci troviamo di fronte a situazioni inedite che divengono sempre più frequenti. A un passo dal traguardo dell’agognata pensione i lavoratori attempati non si capacitano delle loro condizioni di salute anche se manifestano lo stesso afflato alla professione di quando erano giovani e pieni di zelo. Siamo di fronte alla sindrome del corridore ultrasessantenne che ha mantenuto intatta la voglia di correre, ma deve fare i conti col fisico invecchiato e semi-immobile. Nelle due lettere che seguono cogliamo la triste realtà di un disagio solo apparentemente inspiegabile che richiede la consapevolezza della propria condizione di rischio e la conoscenza degli strumenti per potervi fare fronte.

Gentile dottore, mi chiamo Sandra ed ho compiuto da poco 60 anni. Quest’anno, per una serie di circostanze, ho avuto l’utilizzo sul sostegno, ruolo che non ricopro da 18 anni. Vista la mia esperienza e i miei diplomi di specializzazione mi è stato assegnato un caso molto difficile: una bambina autistica di 11 anni. La bambina è molto difficile da gestire ed inoltre è aggressiva: sputa, tira i capelli violentemente, dà calci, schiaffi e spesso assume un comportamento oppositivo e provocatorio. Il perdurare delle situazioni sopra descritte mi ha causato un forte disagio, crisi di pianto, malessere generalizzato che prima ho comunicato alla referente e poi alla preside. Entrambe comprendono le me difficoltà e dopo due mesi, mi sono state ridotte le ore di docenza. Lo scorso mese mi sono assentata per una settimana perché il perdurare di tale situazione mi era divenuta comunque insostenibile. Pur con l’orario decurtato continuano le mie difficoltà e questo tipo di aggressioni, seppure contestualizzato all’interno della patologia, mi fanno stare sempre peggio. Senza voler avere la presunzione di fare autodiagnosi credo di essere incappata nel famigerato burnout. Oggi, dopo l’ennesima mattinata da incubo, mi sono recata nuovamente dalla preside che ha ancora rimodulato il mio orario, pur non togliendomi ore sul caso perché ne risentirebbe l’organizzazione scolastica. Nel frattempo, mi sono rivolta anche ad una psicologa che mi appoggia in questo momento delicato e vorrebbe farmi una relazione che attesti il mio stato di disagio. Stamattina la preside mi ha addirittura parlato di una visita a cura della commissione medica scolastica! Ebbene, io voglio lavorare, il mio lavoro mi piace e anche al di fuori della scuola la mia vita è adeguatamente soddisfacente ed equilibrata. Il problema è la relazione con questa bambina. Pur essendo consapevole del fatto che sicuramente avrò fatto alcuni sbagli, ho cercato di essere accogliente, mi sono impegnata, ho frequentato corsi e letto pubblicazioni scientifiche sul disturbo della bimba, ma tutto si è rivelato inutile. Anche stamattina, le crisi della bambina, coi suoi sputi a non finire, mi toccano profondamente e, quasi sempre, mi scatenano pianto. Chiedo a lei, che può contare su un osservatorio molto grande e soprattutto sulla sua competenza, cosa posso fare?

Gentile dottore, mi chiamo Carola e le scrivo poiché ho letto i suoi articoli sullo stress provocato dalla professione docente. Sono un’insegnante della scuola secondaria di primo grado. Ho 66 anni e questo sarà il mio ultimo anno di insegnamento. Ho sempre affrontato le difficoltà che il mio lavoro comporta, quest’anno però non ce la faccio. Ho una terza media di ragazzi particolarmente maleducati e difesi dalle famiglie, che ho sopportato per due anni. Questo sarebbe il terzo, ma sono al limite.  Vorrei sapere se conosce nella mia città un medico a cui potermi rivolgere prima che il mio stato di salute peggiori. Un medico che, come lei, comprenda lo stress provocato dall’insegnamento. Nel ringraziarla, le porgo i più cordiali saluti.

Riflessioni. Ambedue le maestre hanno superato i 60 anni e la testimonianza di Sandra ci è assai utile ad affrontare quello che considero essere il peccato originale dell’Opinione Pubblica (e perciò anche degli stessi insegnanti): gli stereotipi sulla categoria professionale (tre mesi di vacanza all’anno e mezza giornata di lavoro/die). Un qualsiasi individuo che avesse a che fare quotidianamente, per più ore al giorno, con un minore che aggredisce, sputa, picchia, uscirebbe oltremodo provato. La stessa Sandra, che a parole ipotizza di essere in una situazione di burnout, sembra non rendersi conto del suo disagio quando afferma: “Io voglio lavorare, il mio lavoro mi piace e anche al di fuori della scuola la mia vita è adeguatamente soddisfacente ed equilibrata”. Per fortuna, di fronte all’atteggiamento contraddittorio dell’insegnante, c’è chi parla chiaro, senza peli sulla lingua. Il suo corpo si esprime senza ambiguità attraverso le somatizzazioni: “la situazione mi ha causato un forte disagio, crisi di pianto, malessere generalizzato”. Che fare dunque? La dirigente suggerisce giustamente la soluzione: sottoporsi ad accertamento medico per valutare l’effettiva idoneità/inidoneità della persona all’insegnamento. La reazione di Sandra alla proposta è piuttosto scettica, perché non conosce questo istituto a tutela dei lavoratori (tant’è che ne sbaglia la denominazione), anche se non esistono alternative.

Non è molto diversa la vicenda di Carola che ritiene insostenibile la propria situazione pur essendo a pochi mesi dalla pensione. In poche parole la docente tratteggia la dura realtà: “Ho una terza media di ragazzi particolarmente maleducati, e difesi dalle famiglie, che ho sopportato per due anni. Questo sarebbe il terzo, ma sono al limite”. Senza giri di parole arriva a concludere che necessita di un supporto medico (dire psicologico o psichiatrico è pur sempre imbarazzante). Sandra è decisamente una donna pratica e la sua spregiudicatezza la porterà fuori dalle secche, in tempo per viversi serenamente la pensione.

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