Anche gli insegnanti devono distaccarsi dalla tecnologia. Lettera

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Mario Bocola – La tecnologia ha invaso molto i nostri campi del sapere distruggendo la nostra stessa identità facendoci diventare schiavi, senza, però, apprezzarne il valore intrinseco, quasi distruggendo la parte sentimentale dell’essere umano.

Valorizziamo il sentimento e la freschezza delle straordinarie pagine della cultura, della nostra identità che ci porta alla riscoperta del nostro essere, della nostra essenza. Per fare questo dobbiamo un attimo distaccarci dalla tecnologia, dal pc e ascoltare la voce dell’anima e del cuore. Ė il pensiero espresso recentemente dal grande filosofo contemporaneo, Umberto Galimberti, che ha sollevato la questione sottolineando la schiavizzazione del computer da parte degli alunni, ma anche degli insegnanti, gli uni e gli altri connessi con un mondo virtuale e lontani dai problemi della realtà presente.

L’uso scriteriato della tecnologia attraverso il computer, il tablet, lo smartphone, sebbene siano strumenti utili per la didattica, sottrae tempo alla riflessione, alla meditazione e al senso critico, tanto è vero che le parole che vengono utilizzate con la tecnologia sono la metà di quelle che venivano adoperate un tempo quando questi strumenti non esistevano.

Se negli anni settanta uno studente aveva un vocabolario e un lessico di circa 2000 parole, oggi ne ha esattamente un quinto, ossia 500 parole. La scuola deve condurre lo studente, fin dalla primaria, a sviluppare il senso critico, a saper comprendere e capire le dinamiche del mondo ponendo le domande sul perché delle cose, non basandosi su una routinaria ripetizione del già noto senza capirne alcunchè.

La tecnologia ha sottratto all’alunno lo sviluppo del senso critico modellandolo su un sapere preconfezionato, tanto è vero che alle verifiche orali gli alunni ripetono ciò che hanno imparato a memoria, senza minimamente rendersi conto dell’importanza, del significato, della causa, dell’effetto di ciò che hanno appreso. Siamo di fronte non ad un apprendimento formativo, ma ad un apprendimento fine a se stesso, omologato, generico e, spesso, superficiale. Ė vero, tuttavia, che i nativi digitali ne sanno molto di più di chi insegna informatica, ma è anche vero che essi non hanno sviluppato il senso critico attraverso la conoscenza, rendendola arida e avara di sentimento.

Il filosofo Galimberti sostiene che i ragazzi devono riscoprire con l’aiuto degli insegnanti aspetto emotivo delle cose, altrimenti il sapere resta fine a se stesso.

L’elemento emozionale deve avvenire in classe attraverso il dialogo costante che deve portare gli alunni alla riscoperta della loro identità o meglio del loro appartenere al mondo, evitando di inculcare loro il pensiero debole, ma invitandoli a riflettere sui personaggi che hanno fatto la storia.

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