Alternanza scuola-lavoro, Bagni (CIDI): studenti devono avere contatto con cultura del lavoro. A settembre dibattito streaming

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Presentato come uno degli aspetti più qualificanti della nuova legge di riforma della scuola, l’alternanza scuola-lavoro sta alimentando anche nell’ambito della ricerca educativa e didattica un dibattito piuttosto vivace.

Un contributo intellettuale certamente significativo è quello che ha voluto rilasciarci Giuseppe Bagni, Presidente nazionale del Centro di Iniziativa Democratica degli Insegnanti.

Bagni, ecco un altro tema che crea divisione all’interno del mondo della scuola. Voi del CIDI che cosa ne pensate?

“Ci sono sicuramente posizioni molto eterogenee sull’alternanza scuola-lavoro, i sindacati, per esempio, l’hanno salutata con entusiasmo poiché hanno colto in essa il riconoscimento ufficiale al valore formativo del lavoro, mentre per altre componenti si è trattato dell’ennesimo attacco alle discipline, che uscirebbero più frammentate e indebolite. Come Cidi faremo un dibattito in streaming su questo argomento a inizio settembre proprio per mettere in chiaro che la questione è stata mal posta, che non esiste una polarità scuola / mondo del lavoro e che bisogna parlare di una didattica alternativa e non di alternative alla didattica.

Il nostro messaggio è questo: tutto quello che gli studenti fanno a scuola deve avere una finalità formativa, non si può pensare che una piccola esperienza di lavoro lo sia di per sé. Gli studenti devono essere messi in grado di avere un contatto con la cultura del lavoro, è su questo che si deve intervenire”.

Ma la scuola è già un luogo in cui i ragazzi incontrano la cultura del lavoro, stanno a contatto per sette-otto ore al giorno con persone che lavorano.

“Sono d’accordo, gli insegnanti sono l’unica categoria di lavoratori che viene scrutata attentamente nell’esercizio della propria funzione, quindi la scuola è il luogo ideale in cui far attecchire un’etica della responsabilità, trasformando in valore esterno, in prodotto visibile tutto ciò che si fa al suo interno. Il rischio dell’alternanza così come è stato concepito dalla Buona Scuola è, però, che si arrivi al paradosso di concentrarsi molto su quello che fanno gli studenti fuori dall’aula mettendo in secondo piano quello che fanno dentro”.

L’alternanza, dicono, serve proprio ad avvicinare i ragazzi alla realtà, distogliendoli in qualche modo dalle rappresentazioni di essa.

“Promuovere la conoscenza della realtà anche attraverso esperienze di alternanza può essere proficuo solo se avviene un contestuale mutamento della didattica, cosicché i ragazzi percepiscano che tutto ciò che si fa, dentro e fuori la scuola, ha un senso. La scuola di per sé è un laboratorio di realtà, cioè un luogo appartato in cui ci si dedica alla riflessione, alla concettualizzazione senza escludere il mondo esterno, ma anzi, partendo e ritornando a esso. Lo sottolineo ancora, l’alternanza non deve essere concepita come un’alternativa alla scuola tradizionale, ma come punto di partenza per uno studio ricco di senso. Ovviamente qualcosa deve cambiare anche all’interno delle aziende che accolgono i ragazzi, le quali dovrebbero attrezzarsi in maniera diversa, prevedendo laboratori e personale realmente qualificato, altrimenti il rischio più frequente è quello di sprecare tempo e risorse preziose in un’idea superficiale di continuità tra scuola e lavoro”.

È vero anche che ci sono esperienze molto positive, con gli studenti che tornano sui banchi entusiasti.

“Non metto in dubbio che in molti casi l’alternanza sarà sfruttata come un’opportunità realmente formativa, ma dobbiamo preoccuparci dei casi in cui questo non avverrà. Inviterei a frenare gli entusiasmi sui reali benefici che porta a un ragazzo in età scolare lo svolgere un’attività che non ha alcuna relazione con il suo percorso scolastico o col suo progetto di vita”.

Anche perché a 16 anni è difficile averne uno… Tuttavia a questa obiezione i più rispondono che ‘toccare con mano’ il mondo del lavoro serve proprio a orientare i ragazzi verso le loro scelte future.

“Si tratta di un’argomentazione molto debole e molto pericolosa. La scuola non ha il compito di orientare a una professione, mentre dobbiamo pensarla come un tempo e uno spazio prezioso destinato a far comprendere chi si è davvero, a far emergere attitudini e interessi, a far capire qual è la cosa per cui vale la pena impegnarsi fino in fondo. La scuola è un luogo appartato, insomma, in cui guidare i ragazzi a riflettere sulla realtà, una realtà che va smontata in ogni sua parte e che siamo in grado di leggere attraverso le discipline. Il problema principale che vedo oggi nel nostro mondo è questo, l’incapacità di instaurare un rapporto di fiducia con l’esterno, di promuovere tra i ragazzi punti di vista diversi sul mondo, da cui anche l’insuccesso della didattica per competenze”.

Che cosa pensi, infine, dell’obbligo all’alternanza sancito dalla legge, non sarebbe stato più cauto prevedere una maggiore elasticità sul numero minimo delle ore, almeno nei licei?

“Credo che sia sbagliato imporre un numero di ore, nelle province autonome di Trento e Bolzano hanno recepito l’alternanza declinandola come ‘opportunità’ e non come obbligo, proprio per non incorrere in errori causati da fretta e superficialità. Dobbiamo, insomma, adoperarci per collocare questo sforzo in un’ottica di ricerca storica e collettiva, di corresponsabilità, non rassegnandoci all’idea che l’alternanza si traduca necessariamente in esperienze desultorie nel mondo del lavoro che difficilmente portano valore alla scuola e alle storie personali dei ragazzi”.

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