Ajello, discrepanza voti maturità e Invalsi: “al Sud influisce il contesto”. Su test standard anche alla maturità, “deciderà il MIUR”

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Puntuale come da ormai un buon decennio, è divampata anche questo agosto la polemica sui voti della Maturità: come mai nel Mezzogiorno continuano a fioccare più lodi che al Nord se le prove Invalsi – nazionali e standardizzate, quindi in teoria più ‘oggettive’ dei giudizi dei prof – fotografano gli studenti meridionali su soglie assolute inferiori rispetto ai coetanei del Nord tanto in comprensione quanto in matematica?

Puntuale come da ormai un buon decennio, è divampata anche questo agosto la polemica sui voti della Maturità: come mai nel Mezzogiorno continuano a fioccare più lodi che al Nord se le prove Invalsi – nazionali e standardizzate, quindi in teoria più ‘oggettive’ dei giudizi dei prof – fotografano gli studenti meridionali su soglie assolute inferiori rispetto ai coetanei del Nord tanto in comprensione quanto in matematica?

La risposta di Roger Abranavel, saggista da qualche anno a lavoro sul tema della meritocrazia, sul Corriere della sera ha suscitato l’intervento della stessa Presidente dell’Istituto Invalsi, la Professoressa Anna Maria Ajello. Proprio a lei ci siamo rivoti per qualche delucidazione in più su come debba leggersi l’incrocio con i dati Invalsi e per un bilancio di questo primo anno e mezzo di lavoro al vertice dell’Istituto, che proprio in questi giorni ha traslocato a Roma dalla storica sede di Frascati.

Presidente, in un suo articolo apparso due giorni fa sul Corriere lei sembra prendere le distanze dalla lettura complessiva di Roger Abravanel, che parla di ‘scandalo’ riferendosi alle lodi conquistate dagli studenti meridionali alla Maturità. Qual è la situazione fotografata dall’Invalsi?

“Roger Abravanel ha un’attenzione costante per le questioni della scuola e per le attività che svolge l’INVALSI, di cui dobbiamo essergli grati perché focalizza sempre temi importanti. I dati su cui basa le sue riflessioni sono incontrovertibili, perché gli studenti del Sud registrano voti così alti sulla base di una valutazione per così dire interna, mentre nelle prove in cui la valutazione segue criteri standardizzati si collocano in posizioni più basse.

Detto questo, se vogliamo capire di più perché avviene un simile fenomeno e come si può intervenire, dobbiamo approfondire l’analisi. Limitarsi a dire che i docenti del sud sono di manica larga e quelli del nord molto severi non aggiunge nulla alla nostra comprensione.

Dobbiamo riconoscere infatti che l’attribuzione di 100 e lode avviene in un contesto sociale e culturale complessivo che non si caratterizza per gli alti livelli di istruzione, quindi il confronto avviene tra studenti che rispetto ai loro coetanei, nelle loro zone, si distinguono più nettamente. Questo stesso meccanismo agisce anche sui docenti.

L’Invalsi fotografa una situazione, per ora sino alla seconda secondaria di secondo grado, in cui effettivamente gli studenti meridionali raggiungono soglie assolute più basse relativamente alla comprensione della lettura e alla matematica.

Questo fatto deve allarmarci e spingerci a prendere i provvedimenti opportuni perché piuttosto che disquisire sull’ “ampiezza” delle maniche dei docenti dovremmo ragionare su come si può garantire agli studenti meridionali l’acquisizione di quelle competenze che rappresentano veri e propri diritti di cittadinanza. In altre parole, bisogna rendersi conto che senza quelle acquisizioni ipotechiamo negativamente il futuro di questi giovani.

Al positivo invece va detto che anche al sud si sono registrati negli anni passati progressi negli esiti delle prove e che ritengo nostro compito rappresentare la complessa realtà meridionale nelle sue diverse sfaccettature proprio per sostenere quelle che sono in miglioramento e promuovere quelle in situazione di stallo”.

Mai come in questi giorni la discrepanza tra i dati Invalsi e i record di 100 agli Esami di Stato viene citata nei talk-show per avvalorare il ragionamento voti gonfiati = ingresso facilitato nelle università migliori = scadimento generale. Le dispiace che si faccia un uso così strumentale dell’Istituto? Non trova che proprio nei giorni in cui arrivano i peggiori dati di sempre sulla produttività nel Mezzogiorno, la copiosità di lodi alla Maturità dovrebbe essere letta comunque come un dato incoraggiante, anche perché la scuola ha tradizionalmente rappresentato per le famiglie del Sud molto più che per quelle del Nord il centro del sistema valoriale. Perché immediatamente scattano altri livelli di interpretazione? Ci sono dati che dimostrano incoerenza tra i 100 e lode presi al Sud e il successo universitario e professionale?

“Sono d’accordo sul fatto che i dati relativi alla maturità, indipendentemente dall’eccellenza dei voti, indichi un riconoscimento del valore dell’istruzione da parte di famiglie e studenti meridionali. In un Paese come l’Italia in cui si registrano livelli bassi di istruzione, non può essere ignorato questo segnale positivo.

Quanto agli esiti successivi degli studenti, quest’anno l’avvio del Rapporto di Autovalutazione consentirà alle scuole di riconoscere gli esiti dei propri studenti sulla base di dati incrociati forniti dal MIUR e dal Ministero del Lavoro. Si tratta quindi di uscire dalle impressioni soggettive e di avere dati attendibili che indichino alle scuole dove intervenire per migliorare .

Per quanto riguarda le università, da tempo ormai il voto di maturità non viene riconosciuto come indicazione attendibile – come testimoniano le prove di accesso di cui si servono molte di loro – e in taluni casi non entra neanche tra i criteri di selezione.

Come abbiamo più volte sottolineato, i dati INVALSI indicano esiti che in taluni casi costituiscono un campanello di allarme rispetto alla mancata acquisizione di competenze fondamentali da parte degli studenti: ciò dovrebbe indicare alle scuole gli ampi spazi di miglioramento da percorrere.

Usare i dati come una minaccia non serve e non facilita il riconoscimento della funzione di servizio svolta dal nostro istituto. Malgrado ciò osservo con soddisfazione che quando si cerca di capire se il nostro sistema scolastico funziona o meno ormai tutti si affidano anche ai nostri dati. Posso essere dispiaciuta che alcuni lo facciano in modo acritico, ma mi fa piacere che si avverta l’indispensabilità di uno strumento attendibile, se pur parziale, come il nostro”.

Quando e in che modo i test Invalsi entreranno nell’Esame di Maturità? Sarà un ingresso in punta di piedi?

“La discussione su come e quando inserire le prove INVALSI per la maturità ci interessa molto e per ora l’istituto ha condotto solo delle sperimentazioni. E’ una scelta complessa che non attiene all’INVALSI ma al MIUR sulla base di una decisione politica. Ci ripromettiamo di promuovere una iniziativa seminariale per approfondire gli aspetti tecnici della questione a settembre, alla ripresa delle attività”.

Ci sono tante lacerazioni nel mondo della scuola, e i test Invalsi quest’anno sono stati utilizzati per scavarne di profonde. Lei si è sorpresa per quanto è avvenuto o dava per scontato che i quiz sarebbero stati presi così pesantemente di mira?

“Intanto ribadisco che non si tratta di quiz. Devo dire che nell’acceso dibattito politico che ha caratterizzato il varo della legge sulla Buona Scuola, mi aspettavo ripercussioni anche sulle prove INVALSI. Il fatto che siano state utilizzate in funzione oppositiva da molte scuole meridionali ove si registrano solitamente i risultati più bassi, è motivo di preoccupazione, per le ragioni espresse sopra, ma non mi sono meravigliata”.

Qual è il suo bilancio di questo primo anno e mezzo di presidenza dell’Istituto? Quali obiettivi ritiene di aver raggiunto e quali ha stabilito per i prossimi mesi?

“E’ stato per me un periodo molto impegnativo – e come non sarebbe potuto esserlo? – soprattutto perché l’aver studiato a lungo i problemi della valutazione durante tutta la mia carriera universitaria ha costituito una condizione necessaria ma non sufficiente per dirigere un istituto così complesso che ha attraversato molte difficoltà operando per anni in una situazione di grave precarietà. D’altra parte il frequente avvicendamento dei vertici ha ostacolato la realizzazione di una politica di consolidamento e sviluppo di cui l’Istituto aveva bisogno. Oggi invece il vertice si è stabilizzato, l’arrivo di un direttore generale, il dr. Paolo Mazzoli, con una lunga esperienza gestionale e didattica, ma anche con una recente esperienza di collaborazione tecnico-politica, ha consentito di creare un clima collaborativo di cui si è giovato l’istituto.

Oltre a ciò finalmente l’INVALSI ha ottenuto un finanziamento di lungo termine, anche se in misura un po’ minore rispetto al necessario, che ha consentito il rinnovo biennale del contratto di lavoro del suo personale precario. Dico questo per connotare lo sfondo della mia presidenza che ho sempre interpretato come azione condivisa non solo con il direttore generale ma anche con il responsabile dell’area della ricerca, il dott. Roberto Ricci, e gli altri responsabili delle aree di ricerca e dei servizi tecnici e amministrativi.

Gli obiettivi che mi prefiggevo al momento del mio insediamento erano diversi. Il più importante riguardava la funzione di servizio alle scuole che l’INVALSI vuole svolgere. Per tale ragione lo scorso dicembre abbiamo organizzato un convegno “Dieci anni di prove INVALSI” allo scopo di mettere in luce proprio i cambiamenti realizzati nel tempo grazie al confronto con le scuole.

Un altro obiettivo riguardava il trasferimento a Roma della sede INVALSI perché la bella Villa Falconieri del XVI secolo non rispondeva più alle esigenze di un ente di ricerca e di servizio e rendeva difficile anche l’organizzazione di incontri con esperti venuti da fuori.

In questi giorni ci siamo trasferiti a Roma nella nuova sede di via Ippolito Nievo. Lasciamo, non senza un po’ di nostalgia, quello che è stato visto da molti come il nostro rifugio, la nostra “torre d’avorio”, al riparo dalle temperie del mondo reale, ma che ha anche costituito un possibile motivo di emarginazione.

Più in generale vorrei raggiungere almeno tre altri obiettivi. Il primo riguarda la realizzazione delle prove mediante il computer perché sia possibile ridurre l’attuale pesantezza, anche in termini di lavoro di correzione da parte dei docenti, e nello stesso tempo consenta di ottenere risultati più attendibili per la drastica riduzione del cheating. Il secondo obiettivo è quello di avviare la valutazione esterna delle scuole. Sono convinta che le scuole si sentiranno valutate più adeguatamente se un team di persone preparate andrà a vedere personalmente in quale contesto ognuna di loro opera e con quali risultati complessivi. L’ultimo obbiettivo, più ambizioso, è quello di riuscire a condurre sperimentazioni di modalità di valutazione di competenze informali, vale a dire competenze non accademiche, ma che rivestono interesse perché potrebbero mettere in luce competenze di studenti meno diligenti a scuola a cui agganciarsi per promuovere l’acquisizione di quelle che si devono acquisire in classe. Faccio riferimento, ad esempio, a ciò che hanno messo in luce gli studi sulla matematica dei bambini di strada nel Sud America che avevano risultati molto insoddisfacenti a scuola proprio su quelle nozioni che mostravano di padroneggiare benissimo nella loro vita quotidiana nella quale erano costretti a vendere e comprare merci di ogni genere.

Condurre questo tipo di verifiche significa certamente inoltrarsi su un terreno più scivoloso e avventurarsi su strade poco battute dalla ricerca educativa. Se riuscissimo a condurre ricerche di questo tipo, anche solo su specifici casi, potremmo ulteriormente ampliare la funzione di servizio che vorrei connotasse l’INVALSI.

Quando sono arrivata all’INVALSI i fondi PON con cui l’istituto aveva condotto le sue attività erano in fase di rendicontazione, non si è potuto perciò programmare altre ricerche. Mi auguro che adesso con la programmazione dei fondi europei appena iniziata, sia possibile realizzare anche questo tipo di ricerche a cui sono particolarmente interessata perché ritengo fondamentale che l’INVALSI svolga anche questo tipo di attività per rendersi ancora più utile ai docenti e alle scuole.

In sintesi se la domanda mira a sapere se sono soddisfatta di questo anno di lavoro all’INVALSI, devo dire che è stato intenso e faticoso, in certi momenti ho avvertito rischi pesanti, ma complessivamente sento che si è progressivamente ampliato il numero di persone che considerano con interesse il lavoro del nostro istituto e ciò mi rende contenta”.

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